matteo
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domenica 9 febbraio 2025
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noioso, vuoto ed autoreferenziale
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Una bella fotografia (solo a tratti, perch? a un certo punto sembra un posto al sole) ed una regia sapiente non bastano a tenere in vita un film terribilmente lungo e poco emozionante. Un film surreale in cui napoli viene ritratta come un luogo silenzioso, magico, elegante come la costa azzurra e con la densit? popolativa della groenlandia. Un iperuranio in cui i personaggi si esprimono soltanto per massime. La sceneggiatura sembra infatti una raccolta di epigrammi, praticamente sono tutti filosofi, compostamente meditabondi per tutta l?infinita durata. Il senso di questo film mi ? risultato incomprensibile, mi ? rimasta in mente soltanto la noia e lo sguardo costantemente triste, forzatamente perso nel vuoto di parthenope, che dovrebbe essere un personaggio profondo, ma sembra spesso superficiale, etereo e frivolo, in una parola fastidioso perch? parthenope non sa amare, sa soltanto darla a tutti, anche ai personaggi pi? sinistri, senza senso.
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Una bella fotografia (solo a tratti, perch? a un certo punto sembra un posto al sole) ed una regia sapiente non bastano a tenere in vita un film terribilmente lungo e poco emozionante. Un film surreale in cui napoli viene ritratta come un luogo silenzioso, magico, elegante come la costa azzurra e con la densit? popolativa della groenlandia. Un iperuranio in cui i personaggi si esprimono soltanto per massime. La sceneggiatura sembra infatti una raccolta di epigrammi, praticamente sono tutti filosofi, compostamente meditabondi per tutta l?infinita durata. Il senso di questo film mi ? risultato incomprensibile, mi ? rimasta in mente soltanto la noia e lo sguardo costantemente triste, forzatamente perso nel vuoto di parthenope, che dovrebbe essere un personaggio profondo, ma sembra spesso superficiale, etereo e frivolo, in una parola fastidioso perch? parthenope non sa amare, sa soltanto darla a tutti, anche ai personaggi pi? sinistri, senza senso. E poi questo luogo comune che napoli ? la meravigliosa madre incoerente del mondo ha davvero stufato, sorrentino si dimostra ancora una volta provinciale e ripetitivo. Unica nota positiva delle musiche, Cocciante.
Giudizio finale: non lo rivedrei nemmeno sotto tortura.
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paolorol
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sabato 8 febbraio 2025
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sotto la forma niente
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Ho visto il film ieri sera e questa mattina, al risveglio, non ricordavo neppure più come avevo trascorso la serata. Un vuoto totale. Ecco cosa mi ha trasmesso questo brutto scivolone di Sorrentino : niente.
Un Fellini rimasto a secco di inventiva seppe trasformare, con 8 e Mezzo, il suo smarrimento in un capolavoro . Sorrentino no, non ci è riuscito. Un film noioso, che pare non finire mai, dove non succede nulla di minimamente interessante o avvincente.
Una figura scialba e artificiale, quella della protagonista, interpretata da un'attrice tanto osannata (non da me) per la sua bellezza e per le sue doti attoriali.
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Ho visto il film ieri sera e questa mattina, al risveglio, non ricordavo neppure più come avevo trascorso la serata. Un vuoto totale. Ecco cosa mi ha trasmesso questo brutto scivolone di Sorrentino : niente.
Un Fellini rimasto a secco di inventiva seppe trasformare, con 8 e Mezzo, il suo smarrimento in un capolavoro . Sorrentino no, non ci è riuscito. Un film noioso, che pare non finire mai, dove non succede nulla di minimamente interessante o avvincente.
Una figura scialba e artificiale, quella della protagonista, interpretata da un'attrice tanto osannata (non da me) per la sua bellezza e per le sue doti attoriali. Celeste Dalla Porta è bella, ma non bellissima, ha una fisicità da modellina anoressica, recita in modo quasi amatoriale, con una pronuncia pessima ed un accento fasidioso, si muove a scatti sgraziata come un burattino. La Sandrelli la sostituisce nelle ultime scene, dove il suo personaggio è presentato invecchiato, e in quei pochi minuti la sotterra. Gli altri attori: quasi tutti bravi ed irresponsabili del naufragio registico.
La sceneggiatura è decisamente irritante, con dialoghi artificiosi, supponenti e para filosofici, profondi come i pensierini dei cioccolatini. L'abuso di frasi ad effetto e di aforismi è pervasivo e ricorda da vicino i ridicoli preziosismi di un certo cinema intellettuale degli anni Sessanta..
La fotografia è la cosa che potremmo salvare se solo Parthenope fosse non già un film d'autore ma uno spot pubblicitario per un qualche marchio fashion. Curatissima, con un'attenzione maniacale per le inquadrature e gli accostamenti cromatici sempre perfettamente azzeccati e troppo estetizzanti, in una parola stucchevole. L'impianto del film è di stampo teatrale, decisamente antiquato, forse idoneo alla rappresentazione di situazioni e concetti distanti dalla realtà.
Non salvo quindi nulla. Potrei continuare a snocciolare le mille ragioni per le quali per la prima volta Sorrentino mi ha deluso ma non ho più voglia di scrivere. Un film che non vale la pena di vedere (e neppure di recensire).
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(di lizzy)
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eusebio55
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venerdì 7 febbraio 2025
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...? solo l''opinione di uno spettatore.
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Una storia di benestanti, condita con citazioni da Fellini (sempre abbondanti in Sorrentino) e buttando un'occhio pigro ai miti greci.
Spesso banale e sentenzioso, non riesce a scivolare via, perché è spesso irritante.
Se fosse stato un film francese o iraniano me ne sarei andato dopo mezz'ora, invece ho voluto vederlo perché pretende di parlare di noi, di Napoli.Un film immobile, che purtroppo non riesce a non esprimere nulla, altrimenti potrebbe essere anche sublime.
Ma è solo l'opinione di uno spettatore, appassionato di cinema, uno dei tanti, tantissimi...
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tony
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venerdì 7 febbraio 2025
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sacro e profano in un miracolo cinematografico
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia nascosta in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia nascosta in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
Partenope non è solo una protagonista, è una figura archetipica, quasi mitologica, che incarna l’essenza stessa di Napoli. La città e la donna si fondono in un’unica identità, costruendo un racconto in cui il sacro e il profano si mescolano senza soluzione di continuità. Come Napoli, Partenope è magnetica e sfuggente, divina e carnale, dolente e luminosa. Sorrentino esplora questo dualismo con la maestria di chi sa che nella cultura partenopea il confine tra il divino e l’umano è sempre stato labile, permeabile, capace di trasformare il quotidiano in rito, l’ordinario in prodigio.
L’antropologia adattata che emerge dal film è quella di un popolo che ha fatto della propria sofferenza una forma d’arte e della propria capacità di sopravvivere un atto di fede. Il dolore in Partenope non è mai sterile, ma genera significato, diventa motore della trasformazione, così come la bellezza non è mai semplice estetica, ma una condizione dell’essere. E la follia? È la chiave per accedere al mistero, quel ponte tra l’invisibile e il tangibile che Sorrentino disegna con immagini potenti, fatte di contrasti e armonie, di pieni e vuoti, di vita e assenza.
In questa narrazione, il miracolo non è solo una suggestione religiosa, ma una categoria esistenziale: esistere è già un miracolo, attraversare il dolore e trasformarlo in bellezza è un atto sacro. Napoli e Partenope vivono in questo spazio sospeso tra l’elevazione e la rovina, tra il sogno e la disperazione, tra l’eterna promessa di redenzione e la dolce accettazione della caduta.
Sorrentino ci consegna un film che è rito e preghiera, carne e spirito, un affresco contemporaneo che celebra il sacro nascosto nel profano e la poesia racchiusa nella follia. Partenope non è solo cinema: è una liturgia dell’esistenza, un inno alla Napoli che resiste e rinasce, un capolavoro che lascia il segno nell’anima di chi lo guarda.
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tony
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venerdì 7 febbraio 2025
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un miracolo cinematografico
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia che si nasconde in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
Partenope non è solo una protagonista, è una figura archetipica, quasi mitologica, che incarna l’essenza stessa di Napoli.
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia che si nasconde in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
Partenope non è solo una protagonista, è una figura archetipica, quasi mitologica, che incarna l’essenza stessa di Napoli. La città e la donna si fondono in un’unica identità, costruendo un racconto in cui il sacro e il profano si mescolano senza soluzione di continuità. Come Napoli, Partenope è magnetica e sfuggente, divina e carnale, dolente e luminosa. Sorrentino esplora questo dualismo con la maestria di chi sa che nella cultura partenopea il confine tra il divino e l’umano è sempre stato labile, permeabile, capace di trasformare il quotidiano in rito, l’ordinario in prodigio.
L’antropologia adattata che emerge dal film è quella di un popolo che ha fatto della propria sofferenza una forma d’arte e della propria capacità di sopravvivere un atto di fede. Il dolore in Partenope non è mai sterile, ma genera significato, diventa motore della trasformazione, così come la bellezza non è mai semplice estetica, ma una condizione dell’essere. E la follia? È la chiave per accedere al mistero, quel ponte tra l’invisibile e il tangibile che Sorrentino disegna con immagini potenti, fatte di contrasti e armonie, di pieni e vuoti, di vita e assenza.
In questa narrazione, il miracolo non è solo una suggestione religiosa, ma una categoria esistenziale: esistere è già un miracolo, attraversare il dolore e trasformarlo in bellezza è un atto sacro. Napoli e Partenope vivono in questo spazio sospeso tra l’elevazione e la rovina, tra il sogno e la disperazione, tra l’eterna promessa di redenzione e la dolce accettazione della caduta.
Sorrentino ci consegna un film che è rito e preghiera, carne e spirito, un affresco contemporaneo che celebra il sacro nascosto nel profano e la poesia racchiusa nella follia. Partenope non è solo cinema: è una liturgia dell’esistenza, un inno alla Napoli che resiste e rinasce, un capolavoro che lascia il segno nell’anima di chi lo guarda.
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luigi catapano
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giovedì 6 febbraio 2025
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stavolta sorrentino flop
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L'avevo perso al cinema.L'ho recuperato su Stavolta il talento visionario di Sorrentino diventa ingombrante ed addirittura fastidioso.Celeste Dalla Porta la protagonista è una bella ragazza,un attrice diligente,ma nulla di più."Il Comandante" una versione macchiettistica di Achille Lauro, Gary Oldman noioso con le sue "perle" di saggezza.Dispiace ma questa volta Sorrentino ha fallito clamorosamente l'appuntamento con il successo.Non si capisce quanto c'entri l'elemento autobiografico ma comunque Napoli è solo lo sfondo della vicenda.Alla fine Sorrentino in evidentemente trance creativa ci propina addirittura la visione di un mostro!
Si salvano attori del calibro di Silvio Orlando,Luisa Ranieri ed un sorprendente Peppe Lanzetta.
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L'avevo perso al cinema.L'ho recuperato su Stavolta il talento visionario di Sorrentino diventa ingombrante ed addirittura fastidioso.Celeste Dalla Porta la protagonista è una bella ragazza,un attrice diligente,ma nulla di più."Il Comandante" una versione macchiettistica di Achille Lauro, Gary Oldman noioso con le sue "perle" di saggezza.Dispiace ma questa volta Sorrentino ha fallito clamorosamente l'appuntamento con il successo.Non si capisce quanto c'entri l'elemento autobiografico ma comunque Napoli è solo lo sfondo della vicenda.Alla fine Sorrentino in evidentemente trance creativa ci propina addirittura la visione di un mostro!
Si salvano attori del calibro di Silvio Orlando,Luisa Ranieri ed un sorprendente Peppe Lanzetta.Bello il finale in cui Parthenope adulta (Stefania Sandrelli) passeggia tra i tifosi dello scudetto.
Ma niente più!
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melania
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venerdì 13 dicembre 2024
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manieristico
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Belli immagini con appicicati dialoghi da baci perugina
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silver90
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lunedì 2 dicembre 2024
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parthenope: un nome, una città
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C'è un aspetto che spesso consideriamo banale, e che invece è essenziale, e che colpisce l'occhio durante la visione di un film di Sorrentino: la contrapposizione fra la bellezza - sia essa, a seconda dei gusti, della fotografia e del montaggio, o della sceneggiatura e dei dialoghi - e l'ingiusto che la circonda, quasi fosse un alone su uno scudo istoriato in bronzo. Questa contrapposizione non può non apparire evidente, balzare agli occhi, finché un lampo di luce, un movimento sulla superficie levigata, non la illumina nuovamente, restituendo un altro senso da quello atteso. E in Parthenope accade proprio questo: la 'grande bellezza', che tocca in sorte alla giovane protagonista, è già insita nel nome che avvolge la sua figura di riferimenti concreti, a un luogo e a un tempo precisi.
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C'è un aspetto che spesso consideriamo banale, e che invece è essenziale, e che colpisce l'occhio durante la visione di un film di Sorrentino: la contrapposizione fra la bellezza - sia essa, a seconda dei gusti, della fotografia e del montaggio, o della sceneggiatura e dei dialoghi - e l'ingiusto che la circonda, quasi fosse un alone su uno scudo istoriato in bronzo. Questa contrapposizione non può non apparire evidente, balzare agli occhi, finché un lampo di luce, un movimento sulla superficie levigata, non la illumina nuovamente, restituendo un altro senso da quello atteso. E in Parthenope accade proprio questo: la 'grande bellezza', che tocca in sorte alla giovane protagonista, è già insita nel nome che avvolge la sua figura di riferimenti concreti, a un luogo e a un tempo precisi. La sua ricerca è forse una chimera, ma una fanciulla nel fiore degli anni è piena di risorse, le dice Gary Oldman nel ruolo di uno scrittore disincantato; in effetti, anche la sua bravura all'Università, dove è iscritta ad Antropologia, stride con gli accadimenti intorno a lei, che hanno il sopravvento, almeno finché la spietatezza che ha sperimentato su di sé non le permetterà di agire quella crepa, quel graffio fondamentale sulla superficie della realtà. Sotto di essa, infatti, si raccolgono e si nascondono pensieri, immagini e suggestioni che scavano più in profondità, dentro la donna che osserva, si meraviglia e, intanto, riflette. Napoli, dal canto suo, è la quarta di un teatro, il palcoscenico ideale ove inscenare e orchestrare la messinscena perfetta, volgare e sacra, dei vizi e delle debolezze umane. La protagonista è anche la città, incastonata tra vestizioni sacre ed esibizioni profane, mentre l'attrice che interpreta Parthenope, Celeste Della Porta, sussume su di sé tutto il peso della tragicommedia appena descritta: il suo corpo di donna si muove disinvolto tra i vicoli che conservano ancora i loro tratti arcaici, primitivi, con i cestini fluorescenti calati dall'alto, e la tragedia che si consuma negli interni, dove le attrici che la città ha reso grandi e povere nello stesso tempo si accusano reciprocamente, rendendo l'odio all'amore che Parthenope invece rappresenta e forse prova. Sorrentino oscilla continuamente tra questi due registri narrativi, uno logico-realistico e un altro immaginifico, per cantare quella che in fondo è un'ode ai rimpianti e agli amori giovanili, rivolgendosi al cuore di quella napoletanità che non si sceglie ma resta addosso come il sale e l'acqua.
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silver90
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domenica 1 dicembre 2024
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un nome, una città
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Sorrentino oscilla continuamente tra questi due registri narrativi, uno logico realistico e un altro immaginifico, per cantare quella che in fondo è un'ode ai rimpianti e agli amori giovanili, rivolgendosi al cuore di quella napotelanità che non si sceglie, ma resta addosso come il sale e l'acqua.
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carlotta_new
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domenica 1 dicembre 2024
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un paradiso abitato da angeli
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Un paradiso abitato da diavoli
Detto seicentesco ma che Benedetto Croce, nel suo omonimo saggio, fa risalire a prima.
È possibile che Sorrentino abbia voluto proseguire, con altri mezzi, l’approfondimento del tema e da questa intenzione, forse, nasce l’idea della metafora dell’Antropologia.
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Un paradiso abitato da diavoli
Detto seicentesco ma che Benedetto Croce, nel suo omonimo saggio, fa risalire a prima.
È possibile che Sorrentino abbia voluto proseguire, con altri mezzi, l’approfondimento del tema e da questa intenzione, forse, nasce l’idea della metafora dell’Antropologia.
Superiamo l’interpretazione delle motivazioni intellettuali del regista e parliamo del film.
Varrebbe la pena vederlo solo per i minuti finali dove Stefania Sandrelli trasmette con minimi gesti e dolcissime espressioni l’umanità.
Cosa può e deve fare l’umanità quando affronta una mostruosità e quando la mostruosità ti appartiene.
Sorrentino ci narra tutto di Napoli senza pietà e senza severità. Non indulge e non perdona. Non espone e non nasconde.
“Io non ti giudico e tu non giudicare me” dice il professore (solo Silvio Orlando poteva interpretarlo con la misura che serviva) a Parthenope, dice l’uomo colto alla città, ed io ti vorrò bene come lo si deve ad un figlio con empatia e severità, con indulgenza e perdono, con pudicizia ed orgoglio anche se mostruoso. Con umanità. L’Umanità che riesce a spiegarci l’Antropologia quando non giudica, quando guarda e basta.
I tempi talvolta lunghi, alcune soluzioni di mestiere, l’interpretazione di Celesta della Porta non sempre all’altezza nell’esprimere “l’estraneità della città” quel suo apparente pensare a qualcosa, appena intaccano il valore dell’opera.
Mi è piaciuto molto.
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