temat825
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domenica 23 febbraio 2025
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una vena di autenticit? tra le sorrentinate
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Immersa, quasi sommersa, tra le sorrentinate, c'è una vena di autenticità che ai miei occhi salva il film, altrimenti eccessivamente zavorrato dal solito apparato visivo e retorico cui ci ha abituati il regista. Vena tutt'altro che originale, il film è quasi la versione femminile del Ferito a morte di La Capria, ma io la avverto genuina anche perché già presente, pur diversamente declinata, in È stata la mano di Dio. È il tema struggente della dissipazione della giovinezza, dell'immensa forza e dell'immensa bellezza che porta con sé, di cui ciascun umano si accorge inevitabilmente troppo tardi dopo averle scioccamente e spesso tragicamente lasciate esaurire.
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Immersa, quasi sommersa, tra le sorrentinate, c'è una vena di autenticità che ai miei occhi salva il film, altrimenti eccessivamente zavorrato dal solito apparato visivo e retorico cui ci ha abituati il regista. Vena tutt'altro che originale, il film è quasi la versione femminile del Ferito a morte di La Capria, ma io la avverto genuina anche perché già presente, pur diversamente declinata, in È stata la mano di Dio. È il tema struggente della dissipazione della giovinezza, dell'immensa forza e dell'immensa bellezza che porta con sé, di cui ciascun umano si accorge inevitabilmente troppo tardi dopo averle scioccamente e spesso tragicamente lasciate esaurire. Per me è questa sensibilità che fa di Sorrentino un grande autore e se un giorno la vedrò raccontata in modo più sincero sarò felice di gridare anch'io al capolavoro.
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paola sgrillo
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domenica 16 febbraio 2025
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parthenope: citt? non amata, ma da amare per forza
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Il film è un’ iperbole, con i suoi eccessi contrastanti la silenziosa bellezza del mare. Situazioni parossistiche svelano il fanatismo dei credenti, ancorchè pronti alla profanazione; la bruttezza esteriore del prete candidato a papa e in procinto di accoppiarsi in un luogo sacro, indigna, come pure l’iperattività visiva di chi costringe una giovane coppia ad un atto sessuale, per ottenere un sodalizio criminale.
Le irriguardose parole dell’attrice eccentrica, quasi calva e consumata, ormai priva della sua avvenenza, contribuiscono a riflettere le bizzarre
tessiture delle emozioni umane e a conferire alla pellicola un climax sempre più delirante.
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Il film è un’ iperbole, con i suoi eccessi contrastanti la silenziosa bellezza del mare. Situazioni parossistiche svelano il fanatismo dei credenti, ancorchè pronti alla profanazione; la bruttezza esteriore del prete candidato a papa e in procinto di accoppiarsi in un luogo sacro, indigna, come pure l’iperattività visiva di chi costringe una giovane coppia ad un atto sessuale, per ottenere un sodalizio criminale.
Le irriguardose parole dell’attrice eccentrica, quasi calva e consumata, ormai priva della sua avvenenza, contribuiscono a riflettere le bizzarre
tessiture delle emozioni umane e a conferire alla pellicola un climax sempre più delirante. L’eccesso è nella malattia, oltremodo trasfigurata, a rappresentare l’intima sofferenza di un professore universitario. I saggi insegnamenti di quest’ultimo, culminano nella visione epifanica del figlio disabile, cui viene sottoposta la studentessa prescelta, audace protagonista del film. Il suo nome è Parthenope e la sua conturbante bellezza condiziona gli eventi, deviandoli inesorabilmente. La più grande verità a cui il film magistralmente ambisce è che l’amore giovanile è caduco oppure, più tristemente ancora, impossibile. In un coacervo di sfumature, si legge l’amore negato dai genitori, quello effimero del fidanzato e quello proibito del fratello, giammai banalmente incestuoso. L’amore muore nel film, annegato nell’acqua, pur fonte di vita e di stupore. Le relazioni passionali sono anche frivole e curiosamente controcorrente, come quelle che vive Parthenope, attratta dall’inconsueto e dal bizzarro, nella sua ricerca spasmodica della verità. Nel prolungarsi di lenta cinematografia si snoda il momento cruciale del film che poetizza il sentimento amoroso; sulle note di Cocciante lo spazio e il tempo si dilatano, in una sinestesia di tatto e sguardi, fonte primaria di conoscenza empirica. Da qui la consapevolezza che la vita scorre tra il piacere e il dolore, nel susseguirsi di comportamenti involontari e cinici, prodighi e abneganti; l’osservazione e la sperimentazione plasmano la protagonista, sempre più resiliente e quasi mai vacillante. Da studentessa capisce che solo la vita vissuta e sofferta può spiegare il suo significato antropologico, scevro da ogni forma di pregiudizio estetico. La vita è bella anche nella sua bruttezza ed è sempre affascinante e arricchente. Parthenope si evolve dal punto di vista caratteriale e culturale, attingendo sapienza ed elargendola, nel corso degli anni, in qualità di docente universitaria. L’ellissi temporale crea un effetto sorpresa: ora la donna sirena, nata dalle acque del mare, è una donna matura, con un atteggiamento di distensione e di speranza. Nel finale, il sorriso e lo sguardo fiero di Parthenope si spalancano sullo sfondo di Napoli, molto somigliante a lei. La città è magnetica e irresistibile, a volte impietosa e irriverente e spesso contraddittoria: una città non amata, ma da amare per forza. Necessariamente!
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xerox
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giovedì 13 febbraio 2025
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l''indimenticabile stefano...
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Allora…. prima di tutto, dopo aver visto il film, ho dovuto aprire per tre giorni la porta finestra del soggiorno per riarieggiare l'ambiente dopo le tonnellate di sigarette che si sono fumate nel film. E mezza giornata per scopare via tutti i mozziconi. Ma quanto fumate, Sorrentino????? Se per ogni film che fai vi dovete fumare il Mato Grosso, temo serissimamente per la sopravvivenza del pianeta. Il film… Per me siamo sempre a Dante. Abbiamo Parthenope-Virgilio che ci porta in giro per Napoli. Col mito, a parte (nope) la nascita, mi pare che non ci siano molti riferimenti. Faticosa la prima ora di film, in cui non si capisce granchè su che cosa facciano nella vita questo gruppo di ragazzi, tranne fumare e passare da una festa all'altra.
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Allora…. prima di tutto, dopo aver visto il film, ho dovuto aprire per tre giorni la porta finestra del soggiorno per riarieggiare l'ambiente dopo le tonnellate di sigarette che si sono fumate nel film. E mezza giornata per scopare via tutti i mozziconi. Ma quanto fumate, Sorrentino????? Se per ogni film che fai vi dovete fumare il Mato Grosso, temo serissimamente per la sopravvivenza del pianeta. Il film… Per me siamo sempre a Dante. Abbiamo Parthenope-Virgilio che ci porta in giro per Napoli. Col mito, a parte (nope) la nascita, mi pare che non ci siano molti riferimenti. Faticosa la prima ora di film, in cui non si capisce granchè su che cosa facciano nella vita questo gruppo di ragazzi, tranne fumare e passare da una festa all'altra. Pagheranno mai una bolletta alla posta? Compreranno i broccoletti al mercato? Boh! Non si sa. Ma arriva Luisa Ranieri-Sofia che pronuncia un discorsetto sui napoletani che mi pare faccia togliere parecchi sassolini dalle scarpe di Sorrentino. La mescolanza di vita privata e sociale di Parthenope è un amalgama felice nel film? Ognuno dia la sua risposta. La mia è no. Quindi passiamo in seguito nel girone delle superstizioni popolari, dei camorristi, e infine possono mancare? Dei tifosi d'o pallon, dei figli di Maradona….
Tutti gli incontri tappezzati di citazioni vaste, profonde… Con le citazioni, nei films, bisogna sempre stare molto attenti: si rischia SEMPRE l'effetto "intellettuale a vapore", che piace tanto in Francia. Ma che in Italia possono sempre virare sul: "Ma che cazzo vuole dire?" Parlano tutti per aforismi, come lo scrittore, il vescovo, e anche Luisa-Sofia, per non parlare del professor Orlando. Leggendo i commenti noto parecchie reazioni piccate di baciapile che si sono risentiti per le chiappe del vescovo, e questa quindi è cosa buona e giusta. Due particolari miei personali: il brano "Harvester of Sorrow" di Little Kruta& Jenn Mundia, molto bello, e la trovata di Stefano! BELLISSIMA! Ho subito pensato a Bunuel, a Magritte, a un sacco di cose! Penso che sarà la cosa che più ricorderò di questo film.
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domenica 9 febbraio 2025
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continua il mistero sorrentino
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Abbiamo gi? visto le meraviglie della fotografia, la presenza - cos? prepotente da diventare irritante- delle pause e dei silenzi. Lo sguardo stralunato di molti attori, Inquadrature e situazioni oniriche. La cifra stilistica di Sorrentino marca i suoi film come pochi altri. Entrare nei dettagli ? Impresa ardua, per non dire inutile. Immancabili, ma mai sporprendenti gli echi felliniani. Un inno alla bellezza? S?, ma con un?assenza fondamentale: le emozioni.
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lizzy
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domenica 9 febbraio 2025
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la grande bruttezza...
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Dev'essere vero che la fama ed il successo spesso danno alla testa.
A mio avviso ne è la riprova il fatto che dopo "La Grande Bellezza", se eccettuiamo la parentesi di "Loro" (un film comunque basato su fatti reali, anche se romanzati "alla Sorrentino") il regista qui messo sotto osservazione non è più riuscito a creare qualcosa di veramente bello e coinvolgente.
Certo, si dice anche che dopo il capolavoro della vita non si riesca più nemmeno lontanamente ad andarci vicino, ma, perdindirindina, nemmeno a fare certe povere cose, direi io, visto che una certa esperienza si dovrebbe avere.
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Dev'essere vero che la fama ed il successo spesso danno alla testa.
A mio avviso ne è la riprova il fatto che dopo "La Grande Bellezza", se eccettuiamo la parentesi di "Loro" (un film comunque basato su fatti reali, anche se romanzati "alla Sorrentino") il regista qui messo sotto osservazione non è più riuscito a creare qualcosa di veramente bello e coinvolgente.
Certo, si dice anche che dopo il capolavoro della vita non si riesca più nemmeno lontanamente ad andarci vicino, ma, perdindirindina, nemmeno a fare certe povere cose, direi io, visto che una certa esperienza si dovrebbe avere.
Qua manca il lampo di genio de "L'amico di famiglia", il totale mistero di "Le conseguenze dell'amore", anche le tristi solitudini di "L'uomo in più".
Perfino "È stata la mano di Dio", a me completamente indifferente, risulta migliore (di un pelino, suvvia...) di questo Parthenope.
Chiariamo una cosa: cinematograficamente io ho visto e, specialmente, ho digerito proprio di tutto e non a caso ho voluto vedere anche immonde schifezze per giudicare io stesso se immonde schifezze queste fossero.
Ho difeso a spada tratta "La Grande Bellezza" proprio da quegli elementi che dicevano che non si capiva una mazza, che non c'era un vero senso, che certi dialoghi facevano pena.
Colpa anche di Sorrentino che, tagliuzzando qua e la, ha impedito anche ai meno svegli di capire la base portante del film (E il taglio dell'intervista al regista che parla del primo semaforo installato a Milano, con la quale scena si capisce il titolo del film e a cosa dovrebbe esser riferito, è una grande e pesante colpa).
Eppure dove "La Grande Bellezza" primeggiava, quindi certe scene oniriche, certi scorci pittoreschi, certi momenti anche nonsense, Parthenope fallisce miseramente.
Non bastano le immagini da cartolina dei dintorni partenopei, non servono le improbabili follie di sceneggiatura come figlio di Marotta, non hanno senso certe scene come quella fra Tesorone e Parthenope se poi mi censuri tutto.
Mi illustri relativamente bene lo squallido accoppiamento dei due figli di malavitosi e poi cincischi proprio sul più pietoso forfait della giovane protagonista con il libidinoso religioso.
Però ci infili lo stesso San Gennaro che si "scioglie" davanti un improbabile orgasmo...
Quindi che volevi fare, caro Paolino, creare lo scandaletto solo per far parlare del film, ma non andar oltre per non urtare la pubblica sensibilità?
"Un porno limitato" ho letto come definizione di questo Parthenope.
A me sa che la definizione non è tanto peregrina.
E che dire di Gloria Cool che gli piace sempre nel Cool (ma anche all'amica Flora Malva pare dia piacere la medesima pratica), chiaramente una Loren ante litteram (sembrano uguali a parte la voce) che come personaggio non apporta nulla alla dinamica del percorso di Parthenope se non di essere un'ulteriore denuncia il modo di essere di Napoli e dei suoi cittadini.
Ma alla fin fine di che parla Parthenope se non di una ragazza qualunque che parte con i soliti sogni di gloria per finire a tornare sui suoi passi, vecchia e pensionata, e concludere tristemente l'esistenza da dov'era partita?
Quale sarebbe l'insegnamento che dovremmo trarre da ciò, quali gli spunti di riflessione (inutile la scena della mancata liquefazione del sangue del santo se si voleva sottolineare la vacuità dei fanatismi popolari che permettono ad un fenomeno come il ritorno del ciclo ad una donna di essere interpretato come segno divino...), dove dovrebbe andare a parare Sorrentino con Parthenope???
Da nessuna parte.
Questo film è solo un copia/incolla di tante altre situazioni.
Belle certe immagini, certe inquadrature, certe atmosfere.
Ma manca un'ossatura credibile, manca il pathos e, vivaddio, mancano protagonisti degni di nota.
Qua son tutti sottotono, dalla "crista velata" Ferrari alla stracotta "reduce" Sandrelli, dal monotono Orlando alla spelacchiata Ranieri.
Per non parlare del personaggio principale, quella Celeste Dalla Porta/Parthenope (da giovane) che dovrebbe essere una sirena ammaliatrice dei nostri tempi, ma è sexy come un merluzzo congelato, dovrebbe essere attiva come una streghetta in carriera, ma è statica (e polverosa) come un soprammobile antico.
E forse qua l'unico personaggio "vero" ed entusiasmante (che poi vero non è) risulta essere proprio il figlio del Marotta (di sicuro un fallito omaggio al grande scrittore di "A Milano non fa freddo"), con quella sua risatina di compiacimento e quel essere pronto ad un eventuale esperienza sessuale proprio con Parthenope (ecco una scena che avrebbero dovuto ideare!) che non sapremo mai se ci sia stata (eppure una ideuzza io l'avrei visto che la nostra "eroina" pare essere di bocca, ed altro, anche fin troppo buona...).
Insomma: dopo "La Grande Bellezza" ho stoppato la visione di Youth dopo circa 20 minuti, ho sbadigliato per quasi tutto "È stata la mano di Dio" (tranne i pochi minuti di nudità della Ranieri che sono l'unico motivo di interesse per tutto il film per uomini, donne e via via...) e qua già dopo 10 minuti, a voler essere buoni, ero li che stavo per finire come Gloria Cool (mi stavo strappando i capelli!) e sono andata avanti solo per capire perchè Sorrentino prosegue in questo suicidio artistico.
L'unico motivo che mi sovviene è che, appunto, ubriaco di successo, il Paolo ha pensato che tutto quel che avrebbe fatto dopo "La Grande Bellezza" sarebbe stato comunque in qualche modo ottimanente incensato.
Film brutto, inutile, senza senso.
Solo per gente che vuol vedere qualcosa dove qualcosa non c'è: i virtuosi della critica tout-court.
Volete vederlo comunque?
Affari vostri (io vi ho avvisati)!
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matteo
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domenica 9 febbraio 2025
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noioso, vuoto ed autoreferenziale
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Una bella fotografia (solo a tratti, perch? a un certo punto sembra un posto al sole) ed una regia sapiente non bastano a tenere in vita un film terribilmente lungo e poco emozionante. Un film surreale in cui napoli viene ritratta come un luogo silenzioso, magico, elegante come la costa azzurra e con la densit? popolativa della groenlandia. Un iperuranio in cui i personaggi si esprimono soltanto per massime. La sceneggiatura sembra infatti una raccolta di epigrammi, praticamente sono tutti filosofi, compostamente meditabondi per tutta l?infinita durata. Il senso di questo film mi ? risultato incomprensibile, mi ? rimasta in mente soltanto la noia e lo sguardo costantemente triste, forzatamente perso nel vuoto di parthenope, che dovrebbe essere un personaggio profondo, ma sembra spesso superficiale, etereo e frivolo, in una parola fastidioso perch? parthenope non sa amare, sa soltanto darla a tutti, anche ai personaggi pi? sinistri, senza senso.
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Una bella fotografia (solo a tratti, perch? a un certo punto sembra un posto al sole) ed una regia sapiente non bastano a tenere in vita un film terribilmente lungo e poco emozionante. Un film surreale in cui napoli viene ritratta come un luogo silenzioso, magico, elegante come la costa azzurra e con la densit? popolativa della groenlandia. Un iperuranio in cui i personaggi si esprimono soltanto per massime. La sceneggiatura sembra infatti una raccolta di epigrammi, praticamente sono tutti filosofi, compostamente meditabondi per tutta l?infinita durata. Il senso di questo film mi ? risultato incomprensibile, mi ? rimasta in mente soltanto la noia e lo sguardo costantemente triste, forzatamente perso nel vuoto di parthenope, che dovrebbe essere un personaggio profondo, ma sembra spesso superficiale, etereo e frivolo, in una parola fastidioso perch? parthenope non sa amare, sa soltanto darla a tutti, anche ai personaggi pi? sinistri, senza senso. E poi questo luogo comune che napoli ? la meravigliosa madre incoerente del mondo ha davvero stufato, sorrentino si dimostra ancora una volta provinciale e ripetitivo. Unica nota positiva delle musiche, Cocciante.
Giudizio finale: non lo rivedrei nemmeno sotto tortura.
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paolorol
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sabato 8 febbraio 2025
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sotto la forma niente
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Ho visto il film ieri sera e questa mattina, al risveglio, non ricordavo neppure più come avevo trascorso la serata. Un vuoto totale. Ecco cosa mi ha trasmesso questo brutto scivolone di Sorrentino : niente.
Un Fellini rimasto a secco di inventiva seppe trasformare, con 8 e Mezzo, il suo smarrimento in un capolavoro . Sorrentino no, non ci è riuscito. Un film noioso, che pare non finire mai, dove non succede nulla di minimamente interessante o avvincente.
Una figura scialba e artificiale, quella della protagonista, interpretata da un'attrice tanto osannata (non da me) per la sua bellezza e per le sue doti attoriali.
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Ho visto il film ieri sera e questa mattina, al risveglio, non ricordavo neppure più come avevo trascorso la serata. Un vuoto totale. Ecco cosa mi ha trasmesso questo brutto scivolone di Sorrentino : niente.
Un Fellini rimasto a secco di inventiva seppe trasformare, con 8 e Mezzo, il suo smarrimento in un capolavoro . Sorrentino no, non ci è riuscito. Un film noioso, che pare non finire mai, dove non succede nulla di minimamente interessante o avvincente.
Una figura scialba e artificiale, quella della protagonista, interpretata da un'attrice tanto osannata (non da me) per la sua bellezza e per le sue doti attoriali. Celeste Dalla Porta è bella, ma non bellissima, ha una fisicità da modellina anoressica, recita in modo quasi amatoriale, con una pronuncia pessima ed un accento fasidioso, si muove a scatti sgraziata come un burattino. La Sandrelli la sostituisce nelle ultime scene, dove il suo personaggio è presentato invecchiato, e in quei pochi minuti la sotterra. Gli altri attori: quasi tutti bravi ed irresponsabili del naufragio registico.
La sceneggiatura è decisamente irritante, con dialoghi artificiosi, supponenti e para filosofici, profondi come i pensierini dei cioccolatini. L'abuso di frasi ad effetto e di aforismi è pervasivo e ricorda da vicino i ridicoli preziosismi di un certo cinema intellettuale degli anni Sessanta..
La fotografia è la cosa che potremmo salvare se solo Parthenope fosse non già un film d'autore ma uno spot pubblicitario per un qualche marchio fashion. Curatissima, con un'attenzione maniacale per le inquadrature e gli accostamenti cromatici sempre perfettamente azzeccati e troppo estetizzanti, in una parola stucchevole. L'impianto del film è di stampo teatrale, decisamente antiquato, forse idoneo alla rappresentazione di situazioni e concetti distanti dalla realtà.
Non salvo quindi nulla. Potrei continuare a snocciolare le mille ragioni per le quali per la prima volta Sorrentino mi ha deluso ma non ho più voglia di scrivere. Un film che non vale la pena di vedere (e neppure di recensire).
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(di lizzy)
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eusebio55
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venerdì 7 febbraio 2025
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...? solo l''opinione di uno spettatore.
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Una storia di benestanti, condita con citazioni da Fellini (sempre abbondanti in Sorrentino) e buttando un'occhio pigro ai miti greci.
Spesso banale e sentenzioso, non riesce a scivolare via, perché è spesso irritante.
Se fosse stato un film francese o iraniano me ne sarei andato dopo mezz'ora, invece ho voluto vederlo perché pretende di parlare di noi, di Napoli.Un film immobile, che purtroppo non riesce a non esprimere nulla, altrimenti potrebbe essere anche sublime.
Ma è solo l'opinione di uno spettatore, appassionato di cinema, uno dei tanti, tantissimi...
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(di emmeci)
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tony
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venerdì 7 febbraio 2025
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sacro e profano in un miracolo cinematografico
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia nascosta in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia nascosta in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
Partenope non è solo una protagonista, è una figura archetipica, quasi mitologica, che incarna l’essenza stessa di Napoli. La città e la donna si fondono in un’unica identità, costruendo un racconto in cui il sacro e il profano si mescolano senza soluzione di continuità. Come Napoli, Partenope è magnetica e sfuggente, divina e carnale, dolente e luminosa. Sorrentino esplora questo dualismo con la maestria di chi sa che nella cultura partenopea il confine tra il divino e l’umano è sempre stato labile, permeabile, capace di trasformare il quotidiano in rito, l’ordinario in prodigio.
L’antropologia adattata che emerge dal film è quella di un popolo che ha fatto della propria sofferenza una forma d’arte e della propria capacità di sopravvivere un atto di fede. Il dolore in Partenope non è mai sterile, ma genera significato, diventa motore della trasformazione, così come la bellezza non è mai semplice estetica, ma una condizione dell’essere. E la follia? È la chiave per accedere al mistero, quel ponte tra l’invisibile e il tangibile che Sorrentino disegna con immagini potenti, fatte di contrasti e armonie, di pieni e vuoti, di vita e assenza.
In questa narrazione, il miracolo non è solo una suggestione religiosa, ma una categoria esistenziale: esistere è già un miracolo, attraversare il dolore e trasformarlo in bellezza è un atto sacro. Napoli e Partenope vivono in questo spazio sospeso tra l’elevazione e la rovina, tra il sogno e la disperazione, tra l’eterna promessa di redenzione e la dolce accettazione della caduta.
Sorrentino ci consegna un film che è rito e preghiera, carne e spirito, un affresco contemporaneo che celebra il sacro nascosto nel profano e la poesia racchiusa nella follia. Partenope non è solo cinema: è una liturgia dell’esistenza, un inno alla Napoli che resiste e rinasce, un capolavoro che lascia il segno nell’anima di chi lo guarda.
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tony
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venerdì 7 febbraio 2025
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un miracolo cinematografico
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia che si nasconde in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
Partenope non è solo una protagonista, è una figura archetipica, quasi mitologica, che incarna l’essenza stessa di Napoli.
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Recensione di Partenope di Paolo Sorrentino: il sacro e il profano in un miracolo cinematografico
Con Partenope, Paolo Sorrentino compie un vero miracolo cinematografico, restituendoci un’opera che è al tempo stesso sacra e profana, terrena e metafisica. Il film è un viaggio dentro l’anima di una città e di una donna, una rappresentazione vivida del dolore in ogni sua forma, della bellezza in ogni sua manifestazione e della follia che si nasconde in ognuno di noi, pronta a rivelarsi solo nei pochi che riescono ad accoglierla come parte della propria natura.
Partenope non è solo una protagonista, è una figura archetipica, quasi mitologica, che incarna l’essenza stessa di Napoli. La città e la donna si fondono in un’unica identità, costruendo un racconto in cui il sacro e il profano si mescolano senza soluzione di continuità. Come Napoli, Partenope è magnetica e sfuggente, divina e carnale, dolente e luminosa. Sorrentino esplora questo dualismo con la maestria di chi sa che nella cultura partenopea il confine tra il divino e l’umano è sempre stato labile, permeabile, capace di trasformare il quotidiano in rito, l’ordinario in prodigio.
L’antropologia adattata che emerge dal film è quella di un popolo che ha fatto della propria sofferenza una forma d’arte e della propria capacità di sopravvivere un atto di fede. Il dolore in Partenope non è mai sterile, ma genera significato, diventa motore della trasformazione, così come la bellezza non è mai semplice estetica, ma una condizione dell’essere. E la follia? È la chiave per accedere al mistero, quel ponte tra l’invisibile e il tangibile che Sorrentino disegna con immagini potenti, fatte di contrasti e armonie, di pieni e vuoti, di vita e assenza.
In questa narrazione, il miracolo non è solo una suggestione religiosa, ma una categoria esistenziale: esistere è già un miracolo, attraversare il dolore e trasformarlo in bellezza è un atto sacro. Napoli e Partenope vivono in questo spazio sospeso tra l’elevazione e la rovina, tra il sogno e la disperazione, tra l’eterna promessa di redenzione e la dolce accettazione della caduta.
Sorrentino ci consegna un film che è rito e preghiera, carne e spirito, un affresco contemporaneo che celebra il sacro nascosto nel profano e la poesia racchiusa nella follia. Partenope non è solo cinema: è una liturgia dell’esistenza, un inno alla Napoli che resiste e rinasce, un capolavoro che lascia il segno nell’anima di chi lo guarda.
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