Napoli, fine anni ’60. La sensuale e sfuggente Parthenope si muove sinuosa tra i luoghi suggestivi della terra che le ha dato il nome, concedendosi o negandosi a suo piacimento agli uomini (in erba o meno giovani) che le gironzolano intorno, rovesciando continuamente le loro convinzioni. La sua apparente disinvoltura nasconde variegate fragilità, e al contempo alcune granitiche certezze su cosa ella vuole davvero dalla vita, dispensando spesso risposte ad effetto, e tuttavia senza mai dare riferimenti. Nata in una famiglia agiata, circondata da amici di famiglia spesso ingombranti come il Comandante, trascorre le sue giornate rilassate e peccaminose in una Napoli sognante e glamour, tra musiche e vestiti che lasciano intravedere una fervente ascesa culturale, in parte sopita dall’avvento degli anni ’70 e dei relativi movimenti di protesta politica e sociale. Dopo un’estate apparentemente magnifica ed irripetibile, trascorsa nella dirimpettaia Capri, la giovane donna deve fare i conti con gli amori da lei non corrisposti, alcuni dei quali impossibili, come quello del fratello Raimondo, che finisce per cedere agli insistenti impulsi autodistruttivi. I suoi incontri sono talvolta casuali (vedasi il suo scrittore preferito, uno dei pochi uomini che gli fa conoscere la sensazione del rifiuto), ma quelli decisivi sono gli incroci almeno in parte programmati e voluti, come avviene con il professore universitario Marotta, burbero e saccente uomo di cultura che nasconde segreti e risposte antropologiche che Parthenope vuole assolutamente conoscere.
Il suo cammino, mai tortuoso ma piuttosto caratterizzato da una flemma quasi autoritaria, la fa strisciare tra il mare nel quale era stata (letteralmente) messa al mondo e i luoghi sacri (e profanati) di una città a cui lei deve tutto, e da cui non vorrebbe mai staccarsi. Ma l’età adulta richiede scelte e decisioni spesso diverse da quanto si immagina durante la spensierata, bellissima ma breve giovinezza…
Paolo Sorrentino torna con un maestoso ritratto di donna, e per donna si vuole intendere le due protagoniste del film: Parthenope e Napoli. Il nuovo lavoro del regista premio Oscar non è solo un film, ma un viaggio esistenziale, un turbine epico di emozioni che difficilmente si possono trovare nel Cinema di oggi. Come usualmente sceglie di fare, Sorrentino mette in scena tante cose, spesso forti, ma come sempre non si arroga il fardello di dare risposte, lasciando il compito allo spettatore e alle singole sensibilità di ognuno. Ci sono molti richiami al suo cinema, non si può fare a meno di rintracciare un minimo comun denominatore tra La grande bellezza ed E’ stata la mano di Dio, ma quest’opera vive ampiamente di vita propria, rimescolando le carte e concedendo molteplici spunti di riflessione.
Alcune scene sono memorabili, come l’entrée della Galleria del centro dalla quale passano donne alla moda e bellezze locali intente a suscitare entusiasmi maschili, con un tappeto sonoro fantastico; una sequenza in particolare, ambientata nella carrozza-letto di Parthenope, ricorda la Deborah da giovane nel deposito in “C’era una volta in America”, anche per la bellissima melodia di sottofondo che pare uscita dal genio di Morricone; ma ce ne sono altre che restano indelebili, anche ore dopo la visione del film, che a distanza di giorni ti rimane in testa come qualcosa da elaborare. “Era già tutto previsto”, canzone di un acerbo Cocciante, fa da motivo conduttore lungo una fetta importante di film, che risulta come un’opera non di prosa ma di pura e semplice poesia, accompagnata da una colonna sonora di altissimo livello, nella quale figura anche My way di Frank Sinatra.
Capitolo extra per il cast. Come anticipato, una delle due protagoniste donna del film è la città di Napoli, meravigliosamente fotografata da Daria D’Antonio e inquadrata dalla pomposa (in senso positivo) regia di un Sorrentino che come suo solito fa lavorare gli attori al loro meglio, e questo è un dato di fatto inconfutabile anche per i suoi più acerrimi detrattori. Gary Oldman risulta talmente calato nella parte dello scrittore americano, omosessuale e alcolizzato, che sembra quasi nato per interpretarlo; per non parlare di uno strepitoso (come sempre) Silvio Orlando, deliziosamente iconoclasta e misogino ma dolcemente avvitato e incastrato in un dolore grave e maestoso, rappresentato da un figlio affetto da una non meglio specificata patologia, mnadata in scena attraverso una scena semi onirica. Peppe Lanzetta, che veste gli immancabili (per Sorrentino) panni clericali, si rivela ottimo interprete del Cardinale Tesorone, in una delle sequenze più blasfeme di sempre, tra le mura del Duomo di San Gennaro che compie si il miracolo, ma in differita, con la sua mitra e i suoi gioielli usati come oggetti del desiderio; Celeste Della Porta è davvero magnetica, sublime, anche quando si sofferma a pensare "a tutto il resto", una grande scoperta (in senso anche letterale), curiosamente somigliante ad Amanda, figlia della bravissima Stefania Sandrelli, in un ruolo di fine testo, struggente e malinconico.
L’epica e la qualità di ciò che vediamo, la fotografia, i piani sequenza, le scenografie, i cardinali dai capelli tinti intenti ad accendere due sigarette alla volta, le fusioni (sessuali) tra famiglie malavitose, la pseudo Sofia Loren interpretata meravigliosamente da Luisa Ranieri in 10 minuti di follia, i baci saffici in saune private, l’incesto, la depravazione, le depressioni risolte e quelle concluse tragicamente, la magnificenza stilistica e i meravigliosi paesaggi, l’acqua come elemento fondativo alla stregua della nascita del mito della sirena, un turbine continuo, un richiamo arcaico alle proprie radici: con questa pellicola Paolo Sorrentino fa pace col suo destino, con le sue origini e con la Donna. Davvero non capisco cosa si debba chiedere di più a un regista. Forse poteva risparmiarsi l'ultima sequenza con il carro allegorico di fede calcistica, forse poteva evitare qualche dialogo prolisso, in fondo l'opera è soggettiva, non deve piacere a tutti.
Ma più di qualsivoglia giudizio su un regista (che dovrebbe essere considerato patrimonio italiano da proteggere), mi soffermerei sulla bellezza di questo film: correte a vederlo appena possibile. Non lasciatevi sopraffare dall’essere anti sorrentiniani, e nemmeno influenzare da chi ne parla bene, compreso chi scrive. Quest’opera lascia qualcosa ad ognuno, sarete voi a capire, forse, cosa prendere e cosa lasciare, ed infine in cosa può avervi arricchito.
Concludo con una piccola considerazione: il Cinema è fatto di momenti, di singole scene che possono servire a risvegliare sentimenti e sensazioni talvolta sopite dal trascorrere del tempo. Ce n’è una in particolare a metà della pellicola, ambientata a Capri, un ballo nostalgico e malinconico a tre, che racchiude in pochi minuti un’energia talmente grande che inevitabilmente finisce per esplodere in emozione pura, costringendo chi la guarda (anche i meno emotivi) a versare almeno una lacrima, magari di nascosto: da sola, vale quasi l’intero film.
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