
Thomas Cailley, al suo secondo film dopo The Fighters, dirige un coming of age fantasy-horror che rilegge il trauma della pandemia. Dal 13 giugno al cinema.
di Roberto Manassero
In Francia, dove è uscito lo scorso ottobre dopo l’anteprima mondiale al Certain Regard di Cannes del 2023, The Animal Kingdom ha incassato oltre 8 milioni di euro, poco meno di altri due film d’autore di straordinario successo della passata stagione, Mon Crime - La colpevole sono io e la Palma d’oro e premio Oscar Anatomia di una caduta.
Al suo secondo film appena, con un budget consistente di 14 milioni e mezzo e un’ampia disponibilità di effetti speciali, il regista Thomas Cailley ha ritrovato l’unanime consenso di pubblico e critica della sua opera prima, The Fighters – Addestramento di vita (2014, Scoprilo su MYmovies ONE), cogliendo ancora una volta le tensioni e le energie creative della società contemporanea, aggiornando però genere e forme di racconto.
The Animal Kingdom è una storia distopica, come decine d’altre del cinema commerciale e d’autore negli ultimi anni; è ambientata in un futuro prossimo, come un racconto di fantascienza; e ha una trama fantasy-horror in cui l’umanità viene colpita da un misterioso virus che trasforma alcune persone in animali antropomorfizzati, senza distinzione di sesso o genere. Con un tono tra il drammatico e l’assurdo, il film rilegge dunque il trauma della recente pandemia e rielabora il tema della mutazione genetica, nonostante il suo regista abbia dichiarato di non essere affatto interessato al body horror: «Sarei tentato di dire che non ho assolutamente alcun interesse per la questione. Non sono un esperto di questo genere di cose e non saprei nemmeno citare dieci film sui mutanti…».
Eppure il successo del film deriva proprio dal modo originale e insieme tradizionale con cui Cailley ha messo in scena gli elementi fantascientifici e orrorifici (stravolgimenti fisici, scoppi di violenza, costante sensazione di pericolo) puntando su un realismo fluido e credibile che crea un inafferrabile senso d’inquietudine. Merito soprattutto del modo con cui il regista e i suoi collaboratori hanno usato gli effetti speciali, rinunciando al green screen, girando in ambienti reali e combinando trucco prostetico, animatronics, trucchi da set (stuntman, cavi), ovviamente effetti digitali, possibilmente cambiando tecnica a seconda della bestia selvatica da realizzare (trichechi, rane, corvi, antilopi…).
The Animal Kingdom diventa in questo modo una fantasia molto concreta, un incubo che sa di realtà realizzabile, che affronta la questione del rapporto fra uomo e natura in chiave concreta e corporea. «Con l’attuale emergenza ecologica» ha detto ancora Colley, «credo sia fondamentale inventare nuove narrazioni ed esplorare il modo in cui interagiamo con il resto del mondo vivente. Non tanto per riprendere atmosfere post-apocalittiche o provare a raccontare per l’ennesima volta la fine del mondo, ma per immaginare nuove frontiere». In particolare, la nuova frontiera immaginata da Cailley e dalla sceneggiatrice Pauline Munier è quella dell’ibridazione tra fiaba ecologista e dramma familiare.
Protagonisti del film sono infatti due uomini, un padre e un figlio, rimasti soli dopo che la loro moglie e madre è diventata un animale. Il cuoco quarantenne François (Romain Duris) e l’adolescente Émilie (Paul Kircher, sempre più promessa del cinema francese dopo lo splendido Winter Boy – Le Lycéen) decidono di trasferirsi vicino al centro di cura dove la donna è stata ricoverata con altre creature come lei, cercandola poi a tutti costi quando un incidente causa la fuga degli strani e pericolosi “nuovi animali” nei boschi circostanti. Nel corso del film tra i due protagonisti emerge inevitabilmente un conflitto generazionale ed esistenziale: il padre resiste nella propria condizione di uomo, aggrappandosi a ciò che resta dell’amore per la moglie (nel frattempo sempre più ignari della vecchia vita e dei vecchi legami) e di educare il figlio, mentre quest’ultimo sente a sua volta nascere una spaventosa forza animalesca…
In questo modo The Animal Kingdom diventa soprattutto un coming of age, come il precedente The Fighters, in cui lo stile ironico e rabbioso raccontava i conflitti dell’adolescenza ribaltando i concetti di maschile e femminile. Per Cailley il vero mutante diventa l’adolescente, che sente il proprio corpo cambiare, che asseconda il nascente istinto sessuale e cerca l’evasione dal mondo chiuso della famiglia. Orfano della madre, con un padre sempre più ossessivo, Émile è anche lui un corpo incerto, una creatura pericolosa e spaventosa il cui desiderio di fuga non è altro che un umanissimo bisogno d’attenzione e di libertà. Il lato selvaggio dell’essere umano, in un film anch’esso dai toni cupi e ironici (il personaggio della poliziotta Julie, interpretato da Adèle Exarchopoulos, funziona in questo senso punto di vista razionale e sguardo dissacrante), è in definitiva ciò che porta al vero cambiamento della società.
Cailley racconta una fase di passaggio cruciale nello sviluppo di un essere umano e insieme una possibile evoluzione dell’essere umano. Il futuro dell’uomo è dunque la bestia?