temat825
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domenica 17 marzo 2024
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accozzaglia di stereotipi con deriva thriller
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Accozzaglia di tutti gli stereotipi sulla struttura classista della società inglese (aristocratici ossessionati dalle forme ma pronti a sbracare indecorosamente alla prima pinta di gin, classi inferiori rose dall'invidia ma proprio per questo psicologicamente succubi, servitù inquietante ecc.) che nella prima ora e mezza era salvata dalle dinamiche ambigue tra i due protagonisti ma poi ha voluto rovinarsi con una deriva thriller finale assolutamente improbabile e quasi offensiva per lo spettatore che infatti, almeno nel mio caso, anziché restare ammaliato da tanto luciferina macchinazione, non può trattenersi dall'esplodere alla fine in uno scurrile invito molto mediterraneo.
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Accozzaglia di tutti gli stereotipi sulla struttura classista della società inglese (aristocratici ossessionati dalle forme ma pronti a sbracare indecorosamente alla prima pinta di gin, classi inferiori rose dall'invidia ma proprio per questo psicologicamente succubi, servitù inquietante ecc.) che nella prima ora e mezza era salvata dalle dinamiche ambigue tra i due protagonisti ma poi ha voluto rovinarsi con una deriva thriller finale assolutamente improbabile e quasi offensiva per lo spettatore che infatti, almeno nel mio caso, anziché restare ammaliato da tanto luciferina macchinazione, non può trattenersi dall'esplodere alla fine in uno scurrile invito molto mediterraneo.
Ogni accostamento a Parasite dovrebbe essere penalmente sanzionato.
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felicity
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martedì 5 marzo 2024
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ambivalente in modo sfacciato e plateale
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“Saltburn” rischia di apparire davvero una scemenza all british, invece l’arrampicata sociale del giovane Oliver Quick, incarnato dall’inquietante Barry Keoghan, è raccontata secondo i modi di un apologo morale, fosco e sensuale, dalle connotazioni perverse e classiste, che parte dal mondo universitario di Oxford per approdare, appunto, alla lussuosa tenuta inglese di Saltburn, una sorta di pomposo Xanadù, che diventa terreno di caccia per il presunto proletario, ma forse tale non è, scaltro, basso e muscoloso, forse bisessuale, introdotto in quel gaudente mondo di aristocratici ricchi ed eccentrici, belli e alti, annoiati e fresconi.
Il sesso è molto evocato, più che mostrato, anche in chiave feticistica, pure nei suoi aspetti biologici per alcuni forse respingenti, ma direi lo sguardo della regista è solo finalizzato a precisare il mix di attrazione e cinismo attraverso il quale Oliver si farà strada, tra bugie e intoppi, in quel Palazzo dei Sogni.
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“Saltburn” rischia di apparire davvero una scemenza all british, invece l’arrampicata sociale del giovane Oliver Quick, incarnato dall’inquietante Barry Keoghan, è raccontata secondo i modi di un apologo morale, fosco e sensuale, dalle connotazioni perverse e classiste, che parte dal mondo universitario di Oxford per approdare, appunto, alla lussuosa tenuta inglese di Saltburn, una sorta di pomposo Xanadù, che diventa terreno di caccia per il presunto proletario, ma forse tale non è, scaltro, basso e muscoloso, forse bisessuale, introdotto in quel gaudente mondo di aristocratici ricchi ed eccentrici, belli e alti, annoiati e fresconi.
Il sesso è molto evocato, più che mostrato, anche in chiave feticistica, pure nei suoi aspetti biologici per alcuni forse respingenti, ma direi lo sguardo della regista è solo finalizzato a precisare il mix di attrazione e cinismo attraverso il quale Oliver si farà strada, tra bugie e intoppi, in quel Palazzo dei Sogni.
Come un tarlo capace di rosicchiare e infine sbriciolare le residue difese di quella nobile famiglia logorata dagli agi, ormai esangue nonostante l’esibito fasto, a suo modo vampiresco (ma c’è sempre qualcuno dai denti più aguzzi in cerca di sangue fresco).
In effetti, vedendo “Saltburn”, mi sono chiesto fin dove questo novello Tom Ripley, dal talento innegabile, si sarebbe spinto nel suo diabolico piano di conquista.
Il direttore della fotografia ha fatto un gran lavoro, immergendo tutto il film in un’elegante luce naturale, sia negli oscuri interni sia negli abbacinanti esterni della tenuta di campagna, come se assistessimo a un feuilleton ottocentesco con qualche digressione pseudo-shakespeariana.
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biox
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venerdì 16 febbraio 2024
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irrisolto, quasi un capolavoro
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Un film imbastito su riferimenti (letterari, visivi e visionari, musicali, fotografici, storici) mischiati e sedimentati in un racconto torbido, volutamente complesso ma infine irrisolto. Cominciando dal protagonista (Keoghan) perfetto fisicamente (una spanna più basso dell'affascinante Felix), espressivamente ambiguo, uno sguardo inquietante. Per tutto il film seguiamo le sue gesta e le sue contraddizioni, i suoi gesti estremi, la sua emotività trattenuta, fino al ballo finale (era tutto programmato fin dall'inizio ?). Grazie ad una sceneggiatura ben cadenzata e a una regia sopraffina veniamo travolti dal clima e dal luogo (la magione di Saltburn), la recitazione dei protagonisti è eccezionale, persino i dialoghi, le scene, le luci, la musica, la fotografia, indissolubilmente creano una atmosfera speciale.
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Un film imbastito su riferimenti (letterari, visivi e visionari, musicali, fotografici, storici) mischiati e sedimentati in un racconto torbido, volutamente complesso ma infine irrisolto. Cominciando dal protagonista (Keoghan) perfetto fisicamente (una spanna più basso dell'affascinante Felix), espressivamente ambiguo, uno sguardo inquietante. Per tutto il film seguiamo le sue gesta e le sue contraddizioni, i suoi gesti estremi, la sua emotività trattenuta, fino al ballo finale (era tutto programmato fin dall'inizio ?). Grazie ad una sceneggiatura ben cadenzata e a una regia sopraffina veniamo travolti dal clima e dal luogo (la magione di Saltburn), la recitazione dei protagonisti è eccezionale, persino i dialoghi, le scene, le luci, la musica, la fotografia, indissolubilmente creano una atmosfera speciale. La regista, come detto, inserisce riferimenti a iosa, spesso in maniera barocca, per sovrapposizione ma il ritmo non ne risente, si è rapiti, intorpiditi (cosa potrà succedere ancora ?). Come ogni grande opera esistono vari piani di lettura, la fantasmagoria degli elementi apre alle interpretazioni. Semmai questo insieme eclettico rischia di perdere il senso, a tratti sembra un esercizio stilistico ed intellettuale che si astrae dalla realtà, un sogno (a volte un incubo, gotico, persino horror), un sesso che non è sesso (strabordante eppure irrisolto, morboso, metaforico), una violenza accennata di cui cogliamo solo le conseguenze (il sangue). Il rischio è un esercizio estetico che perde il filo delle personalità (a cominciare dal protagonista), delle motivazioni, dei significati. L'intento è lasciare allo spettatore l'indirizzarsi verso una metafora sociologica, psicanalitica, letteraria, oppure crogiolarsi nel thriller, perdendosi nel labirinto senza meta. La scena finale del ballo goffo nella magione deserta esemplifica l'irresolutezza del finale aperto : forse ha ottenuto ciò che voleva (distruggere ed impossessarsi, manipolare per ottenere il potere), forse un ballo arlecchinesco della follia (solo e nudo alla meta, con un capitale privo di senso, in mezzo ai fantasmi della morte). Manca qualcosa per essere un capolavoro.
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giuseppelct@libero.it
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martedì 30 gennaio 2024
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troppo simile a sangue blu con alec guinness
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Perchè nessuno cita il riferimento palese a un film del 1949 con Alec Guinness Sangue Blu (titolo originale Kind Hearts and Coronets) che ha una simile struttura narrativa e simile svolgimento: un duca diseredato elimina ad uno ad uno tutti i parenti più prossimi per conquistare l'eredità perduta. Il film è piacevole ma le analogie con Sangue Blu sono troppe. Golden Globe meritato per l'interpretazione stupefacente di Berry Kehogan.
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carlottacorday
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sabato 20 gennaio 2024
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incredibile
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Anch'io ho pensato a Il servo di Losey!
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luca scialo
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giovedì 11 gennaio 2024
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soporifero, prova a sorprendere nel finale
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Nella prestigiosa Università di Oxford due ragazzi si conoscono: uno proviene da una famiglia difficile, l'altro dalla tipica famiglia inglese benestante.Quest'ultimo decide di invitarlo a casa sua per l'estate impietosito dalla sua situazione e tra i 2 nasce una profonda complicità, così come tra gli altri stravaganti e viziati membri della famiglia. Ma qualcosa si inceppa, innescando conseguenze devastanti. Film soporifero per quasi un'ora e mezza poi la svolta con sorpresa finale. Ma forse lo spettatore si è già addormentato o ha rinunciato a guardarlo...
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folgore94
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mercoledì 10 gennaio 2024
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notevole
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mauro@lanari
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mercoledì 3 gennaio 2024
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la morte dell'antagonismo sociale
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Non siamo più negl'anni '70 dopo gl'esperimenti di Tajfel e il dittico cinematografico "Come eravamo" (Pollack '73) e "C'eravamo tanto amati" (Scola '74), quando a chi s'integrava (Redford, Gassman) venivano ancora contrapposti i cercatori d'un migliore paradigma civile e socioeconomico. Quest'ultimi non esistono più. Il senso di dignità dell'antagonismo è scomparso mentr'è prevalso il conformistico senso di vergognosa inferiorità per chi non gode degli stessi benefici dei privilegiati ormai assurti a modello ideale. Nuovi abominevoli film stanno indicando quest'ulteriore imbarbarimento, da "Parasite" a "Saltburn": la lotta di classe perversamente intesa come rivalsa o "revenge movie".
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mauro@lanari
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mercoledì 3 gennaio 2024
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la morte dell'antagonismo sociale
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Non siamo più negl'anni '70 dopo gl'esperimenti di Tajfel e il dittico cinematografico "Come eravamo" (Pollack '73) e "C'eravamo tanto amati" (Scola '74), quando a chi s'integrava venivano ancora contrapposti i cercatori d'un migliore paradigma civile e socioeconomico. Quest'ultimi non esistono più. Il senso di dignità dell'antagonismo è scomparso mentr'è prevalso il conformistico senso di vergognosa inferiorità per chi non gode degli stessi benefici dei privilegiati ormai assurti a modello ideale. Nuovi abominevoli film stanno indicando quest'ulteriore imbarbarimento, da "Parasite" a "Saltburn": la lotta di classe perversamente intesa come rivalsa o "revenge movie".
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fabal
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martedì 2 gennaio 2024
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nemesi dell''upper class
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(Tre stelle e mezzo). E' difficile integrarsi ad Oxford, specie per uno studente di umile famiglia che si sente catapultato nel feudo universitario della upper class. Oliver Quick socializza con difficoltà e non è certo popolare nel college. Finché, un giorno, l'aristocratico e very popular Felix Catton fora la ruota della bici e viene aiutato proprio da Oliver: è l'inizio di un rapporto di amicizia ambiguo e sbilanciato. Sulle prime Oliver sembra agire al solo scopo di elemosinare l'approvazione del compagno di studi, poi l'amicizia diventa un'ossessione. Quando Oliver confessa al ricco amico i suoi problemi familiari, Felix lo invita a trascorrere l'estate con la sua famiglia, nella principesca tenuta di Saltburn.
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(Tre stelle e mezzo). E' difficile integrarsi ad Oxford, specie per uno studente di umile famiglia che si sente catapultato nel feudo universitario della upper class. Oliver Quick socializza con difficoltà e non è certo popolare nel college. Finché, un giorno, l'aristocratico e very popular Felix Catton fora la ruota della bici e viene aiutato proprio da Oliver: è l'inizio di un rapporto di amicizia ambiguo e sbilanciato. Sulle prime Oliver sembra agire al solo scopo di elemosinare l'approvazione del compagno di studi, poi l'amicizia diventa un'ossessione. Quando Oliver confessa al ricco amico i suoi problemi familiari, Felix lo invita a trascorrere l'estate con la sua famiglia, nella principesca tenuta di Saltburn.
Regista e sceneggiatrice, già reduce di Oscar con A promising woman, Emerald Fennell dirige un film tanto pettinato quanto brutale. La meravigliosa confezione fotografica spazia dalle quasi anacronistiche scene nel castello - cenoni in impeccabili dressage, un maggiordomo dall'aspetto torvo che si muove in severi saloni- ai riflessi solari sul laghetto esterno con tanto di ninfee. A un'ambientazione esteticamente ineccepibile fa da contraltare la spietatezza emotiva che caratterizza l'austerity dell'aristocrazia british alla quale la Fennell, cinematograficamente parlando, non è certo la prima a fare il verso. Lo fece Joseph Losey, nel trittico di opere sceneggiate da Pinter, e con simbologie ben più sofisiticate: la descrizione di un'aristocrazia dalla vocazione quasi suicidiaria (L'incidente) nonché facilmente manipolabile da un domestico che ambisce a rovesciare il rapporto con il padrone (Il servo, 1963). Al servo di Losey somiglia molto l'Oliver Quick di Saltburn: un giovane di ceto basso che si insinua nell'ambiente nobile offrendosi come confessore disinteressato a ciascun membro della famiglia, in realtà mettendoli subdolamente uno contro l'altro. Ma è forse alla logica intrusiva di Parasite il riferimento più lampante: una rivoluzione non intellettuale fondata sulla menzogna, senza impegnative allegorie politiche, che si combatte tra le mura di una lussuosa villa. Si tratta di invidiosa rivalsa verso l'upper class o desiderio di sostituirsi ad essa? Questa ambiguità è il punto di forza del film.
Tratto geniale di Saltburn è la duplice natura dell'ossessione per Felix: erotica e sociale allo stesso tempo, i due aspetti, sempre sovrapponibili, tengono all'erta lo spettatore per almeno 100 minuti, prima di un finale un po' inverosimile. Conquistare Felix, oggetto di deisderio anche sessuale, per ottenerne l'approvazione, o sostutirsi ad esso fino ad essere lui? Lo scarto tra i due obiettivi resta labile, consentendo a Saltburn di muoversi sul filo del rasoio tra la sensazione di una tragedia imminente e alcune scene al limite del cattivo gusto. Limite che, però, non viene oltrepassato da una volontà di scandalizzare ad ogni costo: nemmeno la sessualità dei protagonisti sembra, in fondo, così rilevante. Neppure quella di Oliver, sulla quale Saltburn, intelligentemente, sceglie di non ricamare scontate metafore.
L'ossessione di Oliver è certamente patologica ma rimane difficile, in certo momenti del film, non eleggerlo a nemesi di un'aristocrazia anacronistica che volentieri vorremmo veder annientata. La famiglia Catton è disfunzionale, chiusa in un'emotività austera in cui la facciata non permette alcuna concessione ai sentimenti profondi. Gli slanci di altruismo, come l'ospitalità concessa a Pamela, sono presto corretti da una sprezzante retromarcia con dichiarazioni da pelle d'oca. I bravi interpreti, in particolare il protagonista, Elordi e la Pike, entrano in sintonia parlando lo stesso linguaggio ipocrita, sia dialogico che espressivo. Le pecche sono nell'ultima parte, non tanto per la svolta thriller, intuibile ma necessaria, ma per alcune forzature di trama che rendono il climax finale piuttosto inverosimile.
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