Una madre, una figlia

Un film di Mahamat-Saleh Haroun. Con Achouackh Abakar Souleymane, Rihane Khalil Alio, Youssouf Djaoro, Briya Gomdigue.
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Titolo originale Lingui. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 88 min. - Ciad, Francia, Germania, Belgio 2021. - Academy Two uscita giovedì 14 aprile 2022. MYMONETRO Una madre, una figlia * * 1/2 - - valutazione media: 2,98 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Una madre, una figlia e la sacra forza delle donne

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Molte parole sono intraducibili. Alcune sono anche invidiabili. La parola che dà il titolo a questo film di Mahamat-Saleh Haroun, "Lingui", sta infatti a indicare i legami sacri (ma non religiosi) che rinsaldano una comunità. Legami di solidarietà e mutuo soccorso che segnano una comune appartenenza. Nel Ciad basta una parola a esprimere il concetto. Nelle lingue occidentali occorrono lunghe parafrasi. Per questo forse le immagini del nono film di Haroun (qualcuno ricorderà il suo bellissimo "Daratt - La stagione del perdono"), in concorso a Cannes 2021, sono così limpide e profonde. Lo schermo panoramico e i colori luminosi di Haroun tengono infatti insieme due mondi. Il mondo reale e quello del possibile. Nel primo una ragazza di 15 anni si scopre incinta, una madre single teme che il suo destino di emarginazione si ripeta, una società ancora profondamente patriarcale si chiude contro queste due donne in difficoltà. Nel secondo, messo a fuoco con un pizzico di ottimismo della volontà, madre e figlia trovano un linguaggio comune. Scoprono che esistono dottori disposti a aiutarle. E che perfino contro l'abominevole pratica dell'infibulazione o circoncisione femminile, ancora così radicata in Africa, esistono rimedi fantasiosi (chi volesse approfondire cerchi in rete il documentario "Female pleasure" della svizzera Barbara Miller, una bibbia in materia di repressione del femminile in culture molto diverse). Il resto lo fa il cinema così concreto e insieme metaforico di Mahamat-Saleh Haroun, che nei gesti di Amina e di sua figlia Maria, nella loro casa col pavimento in terra battuta, nelle strade sempre trafficate di N'Djamena, rintraccia le coordinate essenziali di un continente dimenticato quanto vicino. E capace di contraddizioni incredibili se, come ricorda il regista, accanto alle donne che per sopravvivere intrecciano cestini col fil di ferro estratto da vecchi copertoni, come la protagonista, in Ciad esiste tutta una nuova classe di donne istruite, indipendenti, dotate di cultura e lavori ben remunerati, ma proprio per questo condannate alla solitudine. Almeno per ora. Che un film come questo, in un cinema sempre più formattato come quello attuale, riesca a essere prodotto e distribuito in Paesi sempre più indifferenti al Sud del mondo, è quasi un miracolo. Speriamo che non vada sprecato.
Da L'Espresso, 17 aprile 2022


di Fabio Ferzetti, 17 aprile 2022

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