nicozippi
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lunedì 14 febbraio 2022
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film delicato e complesso
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Un film complesso, per pochi e ben preparati a confrontarsi con la lunga durata e lo stile del regista, fatto di lunghi silenzi e scene intime che portano lo spettatore all'interno della storia. Personalmente ho apprezzato la scelta del regista di non ridurre la storia della moglie del protagonista ad un banale prologo sintetico di cinque minuti, ma di raccontarne le vicende per esteso, in modo tale da creare dei personaggi con tratti psicologici profondi che verranno poi svelati, senza fretta, nel corso della narrazione, e di renderlo un antefatto in tutto e per tutto (titoli di testa a conclusione di tale "capitolo") Tempo e dialogo sono i temi fondamentali della storia: il protagonista, attore e regista teatrale, mette in scena una rivisitazione poli - linguistica di "Zio Vanja", opera di Cechov; nel corso della preparazione dello spettacolo una serie di incontri/confronti lo aiuterà ad affrontare la perdita della moglie e la complessità dei rapporti interpersonali che caratterizzavano la vita di coppia.
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Un film complesso, per pochi e ben preparati a confrontarsi con la lunga durata e lo stile del regista, fatto di lunghi silenzi e scene intime che portano lo spettatore all'interno della storia. Personalmente ho apprezzato la scelta del regista di non ridurre la storia della moglie del protagonista ad un banale prologo sintetico di cinque minuti, ma di raccontarne le vicende per esteso, in modo tale da creare dei personaggi con tratti psicologici profondi che verranno poi svelati, senza fretta, nel corso della narrazione, e di renderlo un antefatto in tutto e per tutto (titoli di testa a conclusione di tale "capitolo") Tempo e dialogo sono i temi fondamentali della storia: il protagonista, attore e regista teatrale, mette in scena una rivisitazione poli - linguistica di "Zio Vanja", opera di Cechov; nel corso della preparazione dello spettacolo una serie di incontri/confronti lo aiuterà ad affrontare la perdita della moglie e la complessità dei rapporti interpersonali che caratterizzavano la vita di coppia. Un'autista, personaggio dalla storia travagliata, lo accompagnerà, fisicamente e simbolicamente, in un percorso riflessivo condiviso di una delicatezza più unica che rara, fatto di piccole rivelazioni che arrivano a tempo debito, dopo una progressiva conoscenza reciproca maturata lungo la strada percorsa ogni giorno assieme. Scene da ricordare: monologo finale; cena dall'assistente regista.
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stefano capasso
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mercoledì 30 marzo 2022
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paura, ricerca della verità e amore
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La morte dell’amata moglie è un evento che pesa ancora troppo nella vita di Yusuke Kafusu, noto regista teatrale giapponese, grande esperto di Cechov. Quando accetta di dirigere Zio Vanja in un festival ad Hiroshima incontrerà delle persone che in qualche modo sapranno rimettere in piedi la sua vita. In particolare le conversazioni con Misaki, la sua giovane autista, con la quale condivide ricordi complessi, consentiranno all’uomo, e alla donna di elaborare le dolorose memorie del passato.
Quella di Ryûsuke Hamaguchi è una sfida al cinema mainstream, con la sua storia fatta di scene lunghissime, di silenzi altrettanto lunghi, addirittura in alcuni momenti la traccia sonora scompare del tutto, e su tutto la durata di 3 ore.
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La morte dell’amata moglie è un evento che pesa ancora troppo nella vita di Yusuke Kafusu, noto regista teatrale giapponese, grande esperto di Cechov. Quando accetta di dirigere Zio Vanja in un festival ad Hiroshima incontrerà delle persone che in qualche modo sapranno rimettere in piedi la sua vita. In particolare le conversazioni con Misaki, la sua giovane autista, con la quale condivide ricordi complessi, consentiranno all’uomo, e alla donna di elaborare le dolorose memorie del passato.
Quella di Ryûsuke Hamaguchi è una sfida al cinema mainstream, con la sua storia fatta di scene lunghissime, di silenzi altrettanto lunghi, addirittura in alcuni momenti la traccia sonora scompare del tutto, e su tutto la durata di 3 ore.
Messa in scena estremamente curata, Hamaguchi alterna continuamente pian i molto stretti a magnifici campi lunghi, proprio a sottolineare la difficoltà dei protagonisti di entrare in contatto pieno innanzitutto con le proprie emozioni. La paura che impedisce di manifestarsi in modo appropriato, che porta a creare scorciatoie comportamentali difficile da digerire e che generano solo rimpianto e amarezza. La paura do comunicare se stessi agli altri, di perdere quello che si ha, di scoprirsi estremamente vulnerabili, guida i personaggi del film fino a renderli apparentemente impassibile. Ma, di nuovo, è l’incontro con l’altro che dà la possibilità di scoprirsi e quindi di conoscersi sotto nuovi aspetti, di essere sempre più vicino al vero, condizione indispensabile per amare. La ricerca della verità, quanto è importante per le relazioni, si fonde con la paura e trova spazio nella rappresentazione teatrale che il film si propone di portare a termine, una rappresentazione che è il paradigma della stessa storia raccontata.
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francesco
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lunedì 11 ottobre 2021
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rallentare un po’ per arrivare in posti nuovi...
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DRIVE MY CAR è un bellissimo film da vedere, ma richiede di andarci preparati e pronti.
Lo spettatore deve essere preparato a 3 ore intense, fatto di dialoghi e pochi anzi pochissimi accadimenti, sui quali si costruisce il viaggio, personale più che fisico, richiamato dal titolo del film.
Lo spettatore deve anche essere pronto ad accogliere la delicatezza espressiva, i volti fissi, i silenzi e un insieme di strumenti espressivi non verbali.
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DRIVE MY CAR è un bellissimo film da vedere, ma richiede di andarci preparati e pronti.
Lo spettatore deve essere preparato a 3 ore intense, fatto di dialoghi e pochi anzi pochissimi accadimenti, sui quali si costruisce il viaggio, personale più che fisico, richiamato dal titolo del film.
Lo spettatore deve anche essere pronto ad accogliere la delicatezza espressiva, i volti fissi, i silenzi e un insieme di strumenti espressivi non verbali. Tutto questo ci racconta, in modo più efficace e diretto delle parole.
Il film ha anche il pregio di unire diversi piani narrativi, il teatro di Chekov, la narrazione ermetica e visionaria di Murakami ed il cinema alla Wenders dei tempi d’oro.
E’ un viaggio interiore che i protagonisti compiono per accettare il proprio destino ed abbandonare una volta per tutto il passato che ne imprigiona i sentimenti.
E’ un viaggio in cui anche lo spettatore deve lasciarsi guidare, per riflettere e pensare anche lui, immedesimarsi in quello stesso percorso emotivo, lento e lungo che i protagonisti devono compiere per superare i propri traumi.
Ed il linguaggio è al centro di questo viaggio, stravolto come nel teatro del protagonista che mette in scena opere in cui ognuno degli attori parla un lingua diversa.
Il teatro di Kafuku e’ una metafora della vita reale, in cui ognuno parla un linguaggio diverso e solo facendo lo sforzo di andare oltre le parole si riesce a comprendersi.
E’ un film lento, ma anche la lentezza è un linguaggio. Lo si capisce forse solo dopo che si è finito di vedere il film, ma ne vale a mio parere davvero la pena.
In fin de conti, ogni tanto possiamo permetterci di rallentare un po’ per arrivare in posti nuovi….
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peer gynt
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martedì 22 febbraio 2022
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il testo ti interroga
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Il regista teatrale Yusuke ama riamato la moglie Oto. Ma fra loro si è creato un abisso dalla morte prematura della loro figlia. Una sera Yusuke, che sa che la moglie pur amandolo lo tradisce, torna a casa tardi e la trova morta di emorragia cerebrale. Questo prologo, di ben 40 minuti, precede i titoli e il resto della storia. Yusuke accetta di recarsi ad Hiroshima per un progetto teatrale impegnativo: rappresentare lo Zio Vanja di Cechov con attori che parlano lingue diverse. Durante la selezione del cast compie anche delle scelte coraggiose, anche se forse discutibili: sceglie ad interpretare Sonja (il personaggio che nel testo cechoviano ha il privilegio del lungo monologo finale) un’attrice sordomuta che recita usando il linguaggio dei segni, mentre per il maturo zio Vanja sceglie un giovane attore che aveva interpretato i lavori della moglie Oto e di cui sospetta sia stato anche l’amante.
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Il regista teatrale Yusuke ama riamato la moglie Oto. Ma fra loro si è creato un abisso dalla morte prematura della loro figlia. Una sera Yusuke, che sa che la moglie pur amandolo lo tradisce, torna a casa tardi e la trova morta di emorragia cerebrale. Questo prologo, di ben 40 minuti, precede i titoli e il resto della storia. Yusuke accetta di recarsi ad Hiroshima per un progetto teatrale impegnativo: rappresentare lo Zio Vanja di Cechov con attori che parlano lingue diverse. Durante la selezione del cast compie anche delle scelte coraggiose, anche se forse discutibili: sceglie ad interpretare Sonja (il personaggio che nel testo cechoviano ha il privilegio del lungo monologo finale) un’attrice sordomuta che recita usando il linguaggio dei segni, mentre per il maturo zio Vanja sceglie un giovane attore che aveva interpretato i lavori della moglie Oto e di cui sospetta sia stato anche l’amante. A Yusuke però viene imposta un’autista che lo accompagna tutti i giorni al lavoro: una norma contrattuale di sicurezza che lui, a malincuore, deve accettare. La sua autista è una giovane ragazza di 23 anni, Misaki, che ha più o meno l’età che avrebbe avuto sua figlia se fosse sopravvissuta. All’inizio il rapporto fra i due è freddo e distaccato, ma poi lentamente i due si aprono l’uno verso l’altro. Anche Misaki, infatti, pensa continuamente a una persona di famiglia morta: per le è sua madre, con la quale viveva un rapporto complesso, fatto di odio (perché la picchiava) e di riconoscenza (perché l’ha costretta ad imparare a guidare benissimo e quindi è alla severità della madre che deve il suo lavoro).
Yusuke e Misaki sono insomma quelli che sopravvivono ma continuano a pensare ai loro morti. Sono, in questo, molto simili ai personaggi del dramma di Cechov, personaggi dominati dal rimpianto per ciò che non è stato e per ciò che non hanno potuto fare, ed è questo rimpianto che li porta all’immobilismo paralizzante delle loro vite.
Sarà proprio il testo di Cechov, che con la sua profondità ti interroga e ti mette di fronte al te stesso più nascosto, che li porterà a decidere qualcosa, ad abbandonare i rimpianti. In una scena molto coinvolgente, il monologo di Sonja recitato a gesti dall’attrice sordomuta (e compreso dagli spettatori grazie alle parole di Cechov che scorrono su un grande schermo), viene “ascoltato” (in questo caso è un vero e proprio ascolto interiore, visto che il testo nella sua presenza sonora è scomparso per farsi gesto) sia da Yusuke, che lo vive sul palco nella parte di Vanja, sia dalla sua autista Misaki, inquadrata mentre segue attentissima in mezzo al pubblico.
E cosa dice il testo? Come ti interroga? Come ti incalza? Ti invita a vivere, ad affrontare con pazienza tutte le sfide, a lavorare per gli altri, a soffrire, a piangere, e infine a morire in silenzio, e con questo a guadagnarti lo sguardo benevolo e la misericordia di Dio.
Ha ragione chi dice che il film è lento e molto parlato, e che quindi potrebbe mettere a dura prova la pazienza dello spettatore, ma basta solo l’intuizione di questa scena, di questo monologo muto, di questo momento in cui un cinema tutto parlato si fa cinema del silenzio e del gesto, per intuire che ci troviamo di fronte ad un’opera di grande profondità e di grande ricchezza umana. Un’opera che fa bene al cinema e anche a chi ha la voglia e la pazienza di porvisi di fronte e farsi interrogare da essa.
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martedì 5 aprile 2022
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due anime in pena che si confortano a vicenda
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Yûsuke Kafuku è un attore e regista teatrale, che ha da poco perso la moglie per un'emorragia cerebrale. Anche per superare la drammatica separazione, decide di accettare di dirigere a Hiroshima l'allestimento dello Zio Vanja di Cechov. Il quale prevede, oltre ai dialoghi in giapponese, anche in coreano, cinese, filippino e un personaggio sordomuto. Dovrà però rinunciare a guidare la sua amata auto, dove tramite una musicassetta, dialoga con la moglie. La compagnia teatrale gli affida una giovane autista, altra anima tormentata. I due si conosceranno gradualmente, anche per il carattere algido di lei. Ma nei drammi che si portano dentro, troveranno anche un punto di unione. Vincitore del Premio Oscar come Migliore film straniero, questa pellicola sembra però sforzarsi troppo di ergersi a poesia sofisticata.
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Yûsuke Kafuku è un attore e regista teatrale, che ha da poco perso la moglie per un'emorragia cerebrale. Anche per superare la drammatica separazione, decide di accettare di dirigere a Hiroshima l'allestimento dello Zio Vanja di Cechov. Il quale prevede, oltre ai dialoghi in giapponese, anche in coreano, cinese, filippino e un personaggio sordomuto. Dovrà però rinunciare a guidare la sua amata auto, dove tramite una musicassetta, dialoga con la moglie. La compagnia teatrale gli affida una giovane autista, altra anima tormentata. I due si conosceranno gradualmente, anche per il carattere algido di lei. Ma nei drammi che si portano dentro, troveranno anche un punto di unione. Vincitore del Premio Oscar come Migliore film straniero, questa pellicola sembra però sforzarsi troppo di ergersi a poesia sofisticata. Cosa che del resto è nelle corde del cinema giapponese. Tuttavia, 3 ore appaiono una esagerazione, così come i ritmi lenti e sornioni. La storia è sicuramente toccante, tratta da un racconto di Murakami Haruki presente nella raccolta "Uomini senza donne". Ma lo spettatore rischia di trovarsi davanti un mattone del quale perde di tanto in tanto il filo.
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