ashtray_bliss
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giovedì 17 dicembre 2020
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l''assordante rumore del silenzio.
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Potente, travolgente, intimo. Questi sono i primi aggettivi che mi vengono in mente per descrivere il primo lungometraggio di D. Marder con protagonista un Riz Ahmed in ottima forma; un attore camaleontico dal talento innato che qui presta il suo volto e il suo corpo per l'occasione ricoperto di tatuaggi al personaggio di Ruben. Ruben è un batterista di un duo noise-punk che forma assieme alla sua ragazza, Lou. I due giovani girano per gli States col loro van tenendo concerti che gli permettono di sbarcare il lunario e proseguire il loro stile di vita, che ricorda un nomadismo bohemien.
Ma questa non è una storia sentimentale di due giovani che vivono di musica e per la musica, bensì il ritratto molto accurato e verosimile di un uomo che perde tutto.
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Potente, travolgente, intimo. Questi sono i primi aggettivi che mi vengono in mente per descrivere il primo lungometraggio di D. Marder con protagonista un Riz Ahmed in ottima forma; un attore camaleontico dal talento innato che qui presta il suo volto e il suo corpo per l'occasione ricoperto di tatuaggi al personaggio di Ruben. Ruben è un batterista di un duo noise-punk che forma assieme alla sua ragazza, Lou. I due giovani girano per gli States col loro van tenendo concerti che gli permettono di sbarcare il lunario e proseguire il loro stile di vita, che ricorda un nomadismo bohemien.
Ma questa non è una storia sentimentale di due giovani che vivono di musica e per la musica, bensì il ritratto molto accurato e verosimile di un uomo che perde tutto. Ruben soffre infatti di improvvisi cali dell'udito e ad un certo punto succede l'inimmaginabile; il suo udito svanisce definitivamente. Ogni suono, rumore e distorsione che lo accompagnava sino all'attimo prima svanisce nel silenzio più profondo, abissale, spaventoso e immobile. Il silenzio apportato dalla condizione di sordità, nella quale il protagonista precipita senza alcun preavviso, senza possibilità di riemergere e recuperare la sua capacità uditiva. Si delinea cosi un'immediata frattura tra passato, presente e futuro del giovane musicista il quale nonostante i tentativi di restare ancorato alla realtà che conosce, alla vita che conduce, comprende di essere posto davanti ad un bivio: accettare la sua condizione oppure risprofondare nel caos totale dal quale proveniva.
Lo smarrimento, la confusione, la rabbia e lo sgomento sono tutte emozioni che vengono perfettamente trasmesse e comunicate al pubblico grazie all'intensità espressiva ed interpretativa di un Riz Ahmed, evidentemente coinvolto nel progetto; non a caso l'attore ha imparato egli stesso la lingua dei segni americana per potersi calare meglio nel ruolo, assai impegnativo di Ruben.
E noi spettatori veniamo a nostra volta coinvolti in questo turbinio di emozioni, in questo caotico labirinto dove domina il panico, la paura, il disorientamento emotivo e psichico del protagonista, e ciò accade specialmente grazie all'uso magistrale del sound design. Il comparto sonoro infatti è in questo caso una delle colonne portanti della pellicola, al pari della regia e delle interpretazioni, in grado di trascinare lo spettatore all'interno di questo mondo, di questa condizione a noi cosi estranea e spaventosa che rappresenta la normalità e la quotidianità di moltissime persone attorno a noi le quali superano abilmente tale barriera, smettendo di concepirla in termini di "handicap", un termine oltremodo orribile per definire qualsivoglia condizione che devia dalla norma.
Questo è anche ciò che Ruben proverà a capire e accettare quando verrà ammesso all'interno di una comunità isolata di sordi, ex tossici, capitanati da un veterano di guerra il quale farà da mentore al giovane, iscrivendolo ai corsi del gruppo e tentando di fargli accettare la sua condizione senza percepirla come un ostacolo. Ma il film pone anche l'attenzione sulle ripercussioni, inevitabili, che un tale cambiamento -repentino, invasivo, inaspettato- ha sulla sfera sentimentale per la coppia Lou e Ruben. I due sono infatti uniti da un legame di amore forte nonchè da complicità e amicizia. Eppure qualcosa è destinato a incrinarsi tra loro. La distanza fisica e la nuova condizione di Ruben determinano anzitutto la fine della loro band e un drastico cambiamento dello stile di vita della ragazza, e della sua percezione del mondo. Molto rappresentativa è in tal senso la scena finale in cui Lou, d'impeto e nervosamente, incomincia a grattarsi e ferirsi il braccio non appena Ruben le confessa di voler riprendere la vita on the road. Una scena molto potente, emotivamente struggente ed emblematica del percorso che ognuno dei due è destinato a seguire. Un percorso separato, indipendente, diverso.
Ma sopratutto, Sound of Metal, è uno sguardo accurato, intimo e delicato sulla resilienza e resistenza umana che si trova a dover affrontare situazioni impreviste, inaspettate, profondamente alienanti ed emotivamente devastanti. Attraverso un personaggio che vive avvolto dal rumore potente e frastornante della musica punk, conducendo uno stile di vita sregolato e anarchico si assiste al cambiamento di rotta e crescita interiore di un uomo che deve salvarsi da solo, mettendo in ordine i pezzi della propria esistenza, sostituendo il caos con schemi di vita abituali, precisi, ordinati. Mentre s'addentra in un mondo in precedenza a lui estraneo e accettando, forse per la prima volta, se stesso esattamente per come è.
Una considerazione che nel corso del film viene espressa soltanto in fondo, con la sequenza conclusiva della pellicola, in cui il protagonista, ormai consapevole del fatto che la sua vita precedente non potrà mai tornare, si toglie gli apparecchi uditivi di supporto, entrando volontariamente ormai, e di fatto, in un mondo dominato dal silenzio più assoluto e assordante. Un silenzio che tuttavia lo accoglie permettendogli di riconsiderare le scelte di vita e i progetti futuri, liberandolo definitivamente dall'illusione che lo teneva prigioniero. L'illusione di poter tornare indietro, riprendere la sua vita come se nulla fosse mai successo.
Non è certamente un lieto fine quello del film di Marder. E' un finale amaro, disilluso, nichilista per certi versi ma indubbiamente liberatorio e catartico.
Un film che funziona su tutti i livelli, dunque, e che si avvale di una regia solida, che segue uno schema documentaristico per raccontare una storia di profonda solitudine, smarrimento, confusione, crisi esistenziale ma forse alla fine del tunnel c'è una luce che indica l'inizio di un nuovo percorso, lontano dall'autodistruzione del passato, dai trascorsi intrinsecamente punk di un tempo, che indicano -presumibilmente ma non è dato saperlo- l'inizio di un nuovo capitolo; un percorso di accettazione ed elevazione personale che inizia col rifiutarsi di tornare indietro, alla normalità, di tornare nel mondo dei suoni e dei rumori che caratterizzavano il prima, inclusa sopratutto Louise.
Non a caso il suono prodotto dagli impianti acustici di Ruben è ovattato, distorto, gracchiante, incapace di restituirgli serenità ma, al contrario, amplificando il suo tormento, la sua inquietudine e la certezza di essere ormai un estraneo, una comparsa all'interno di un mondo che non gli appartiene più.
Bravissimo, come già sottolineato, Riz Ahmed, che restituisce un ritratto emotivamente coinvolgente di un uomo che deve affrontare una tragedia personale, provando a rimettere insieme i pezzi della sua vita ed evitando di andare, definitivamente, a fondo. Molto brava anche Olivia Cooke, convincente nel ruolo di artista tormentata e fidanzata premurosa che cerca di aiutare e sostenere il partner, fino al momento in cui i loro destini smettono di essere incrociati, ed egli stessa elimina quei comportamenti nocivi ed autodistruttivi che la caratterizzavano.
Un film incisivo sul cambiamento e le conseguenze, devastanti o meno, che esso apporta. Ma anche sulla crescita interiore, sull'accettarsi e accettare gli altri a prescindere delle condizioni che li caratterizzano. Il saper cogliere e vedere oltre la disabilità e magari sfruttarla per ricominciare da capo, per ripartire da zero. Coinvolgente e apprezzabile. Voto: 3,5/5.
Ps. Sullo stesso argomento, consiglio liberamente il film ucraino The Tribe (2014). Un'immersione pura nel silenzio e nella sordità, ma altresì nella violenza, con un film ruvido e penetrante, sconvolgente e incisivo sotto ogni aspetto.
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eugenio
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lunedì 12 aprile 2021
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musica e redenzione
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Cosa c’è di più doloroso di un batterista che non riesce più a sentire? Cosa c’è di più umiliante di chi ha dedicato la possibile redenzione dalla tossicodipendenza alla musica, per poi veder i suoi propositi infranti da una terribile malattia degenerativa?
Se lo domanda il regista esordiente Darius Marder che nel suo ultimo film, Sound of metal candidato ai prossimi Oscar, trova proprio nel volto cinico e tormentato di Ruben (Riz Ahmed) la risposta ai suoi interrogativi. L’attore e rapper britannico di origini pakistane dona il suo volto e il suo phisique du role dopo il fortunato Mogul Mowgli a un nuovo dramma indipendente americano firmato Amazon Prime Video in cui fondendo musica, storia d’amore e sofferenza, si muove tra i lacerti di un’esistenza fin troppo contrastata.
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Cosa c’è di più doloroso di un batterista che non riesce più a sentire? Cosa c’è di più umiliante di chi ha dedicato la possibile redenzione dalla tossicodipendenza alla musica, per poi veder i suoi propositi infranti da una terribile malattia degenerativa?
Se lo domanda il regista esordiente Darius Marder che nel suo ultimo film, Sound of metal candidato ai prossimi Oscar, trova proprio nel volto cinico e tormentato di Ruben (Riz Ahmed) la risposta ai suoi interrogativi. L’attore e rapper britannico di origini pakistane dona il suo volto e il suo phisique du role dopo il fortunato Mogul Mowgli a un nuovo dramma indipendente americano firmato Amazon Prime Video in cui fondendo musica, storia d’amore e sofferenza, si muove tra i lacerti di un’esistenza fin troppo contrastata.
E noi spettatori ne seguiamo l’evoluzione, quella di una malattia alla coclea che astrae presto dalla vicenda di un batterista del duo Blackgammon insieme alla cantante e fidanzata da quattro anni, ex depressa cronica, Lou (Olivia Cooke) in tour “rurale” in continuo nomadismo, ad una riflessione organica sui limiti dell’amore. E soprattutto della musica.
Quando infatti, la malattia permea come un sibilo acuto il lento declinar di Ruben nell’inferno in maniera irreversibile, impedendogli di dar voce alla sua vita, questi non si arrende ma inizia a frequentare una comunità di non udenti, gestita da Joe, reduce dal Vietnam, per ritrovar in essa una sorta di elaborazione lenta ma necessaria al lutto. E mentre Lou si allontana in Francia dal padre, per permettere all’amato di vivere un’elaborazione precisa ma ineluttabile di una perdita, ecco allora che Ruben, non demorde ma ricerca qualcosa che già in cuor suo è inevitabile e a cui non vi è scampo. Neanche se si hanno quei quarantamila euro per un’operazione, neanche con l’uso artificioso di micro-cuffie dal sordo eco metallico. Ecco quindi che noi spettatori assistiamo impotenti a un dramma decostruttivo e distruttivo sulla personalità di Ruben che Riz Ahmed riesce a donare con grande capacità, grazie a una perfetta mimesis nel ruolo da cui, quale assertore della musica, cerca in tutti i modi di sfuggire, rivolto a un’esperienza sensoriale completamente diversa e per converso assai più isolata.
Marder indugia nel volto scavato del protagonista, nella sua apparente serenità all’interno della comunità di non udenti, volendo in qualche modo evidenziare la lotta quotidiana di coloro che giudicati diversi, vengono spesso additati come “handicappati” da gente fin troppo superficiale, e chiaramente ne enfatizza le scelte, epurando ogni scena da una sana retorica di fondo sulla disabilità e riuscendo, in ogni caso, a creare quella difficile empatia grazie a una colonna sonora sperimentale.
Certo, l’operazione non è esente da difetti, specie nel rapporto assai discordante tra due solitudini incrociate, nello sviluppo a tratti forzato della perdita d’udito quasi estemporanea eppure, Sound of metal è una pellicola onesta, sincera, apologo di un’America che ha smarrito troppo presto il suo senso d’orientamento e che ricerca nello sguardo complice di un passante, di un amico, di un conoscente confuso tra la gente, un imponderabile vaticinio per un futuro incerto, in cui, pare dirci il regista, talune volte forse appare scelta più saggia quella di non sentire, isolandosi in un ovattato silenzio. E nel suo riparato suono.
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