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PARASITE
Colleziona ben 4 Oscar (tra cui quello prestigiosissimo di miglior film, primo caso per un’opera straniera) la bella commedia che “racconta con classe la lotta di classe” (come ha scritto qualcuno). Basterebbe già questo a definirlo un piccolo capolavoro, se la trama non sfociasse anche nel thriller d’autore.
A un certo punto, infatti, la situazione precipita e questa satira sociale si tinge di rosso (letteralmente), lasciandoci assistere a una violenza che sembra insensata: in realtà, anche il finale scelto dal regista coreano Bong Joon-ho ha un disegno preciso, con i destini dei protagonisti che convergono nello stesso punto.
Ma riavvolgiamo il nastro. Come può riscattarsi una famiglia di umile estrazione, che vive di espedienti in un seminterrato di Seul? La risposta si materializza in un ragazzo, Min, che arriva portando in dono una pietra (che dovrebbe essere un portafortuna, ma si trasforma in arma) e una proposta per l’amico, Ki-woo: un lavoro come insegnante di inglese presso una famiglia molto facoltosa. L’occasione, ghiotta, fa l’uomo ladro, e così i quattro componenti della famiglia derelitta, come parassiti, si introducono nella casa e nella vita della famiglia benestante, composta anch’essa da quattro elementi, e ne sfruttano gli agi.
Ma i ricchi signori Park non sono vittime del tutto innocenti, bensì artefici inconsapevoli della propria disgrazia. La giovane moglie, troppo ingenua, si fa abbindolare facilmente dalla sorella di Ki-woo, Ki-Jun, e il perbenismo esasperato del marito completa l’opera, senza contare che la civettuola figlia odia il fratellino prodigio e si innamora proprio del suo giovane insegnante.
C’è, però, un dietro le quinte, un seminterrato, da cui il piccolo di casa Park ha visto emergere l’uomo dei suoi incubi e che è teatro di un’ulteriore lotta di classe fra poveri. Ed è da questo punto in poi che il climax ascendente del film, costruito nei minimi dettagli come un’opera teatrale, porta a compimento la narrazione in maniera simbolica, ma certamente efficace.
Se ognuno pensa a sé stesso, senza curarsi delle conseguenze, ignorando che l’imprevisto è sempre dietro l’angolo, pronto a travolgere e sovvertire l’ordine del reale, capiamo bene le parole del signor Ki-Taek (“Il miglior piano nella vita è non farsi mai piani”) che esprimono l’incapacità di adeguarsi alle circostanze quando le condizioni non siano poste da noi.
Una visione talmente disillusa della realtà non può avere un lieto fine. Il problema, infatti, sono le zone di comfort in cui a volte ci adagiamo senza volerlo, e soprattutto, senza saperlo. Sono le idiosincrasie dei personaggi, magnificamente descritte, come nel caso del cattivo odore di uno di loro, o semplicemente lasciate intuire, a rivelare il significato sotteso a tutta la trama ed esplicitato dalle azioni dei protagonisti.
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