
Titolo originale | Gimtine |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Lituania, Lettonia, Germania, Grecia |
Durata | 97 minuti |
Regia di | Tomas Vengris |
Attori | Matas Metlevski, Severija Janusauskaite, Dainius Gavenonis, Darius Gumauskas, Barbora Bareikyte, Viktorija Kuodyte, Pranciskus Brazdziunas, Linas Ryskus, Renata Veberyte Loman, Ricardas Vitkaitis . |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | Valutazione: 4,00 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 12 novembre 2020
Un dramma ambientato nella Lituania post-sovietica e visto attraverso gli occhi curiosi del giovane Kovas.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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1992. L'Unione Sovietica si è da poco dissolta e Viktorija, con il figlio dodicenne Kovas, fa ritorno in Lituania dopo aver scelto l'autoesilio 20 anni prima andando a vivere negli Stati Uniti. All'epoca i suoi genitori erano stati mandati in un campo di lavoro e la loro proprietà confiscata. Ora la donna vorrebbe tornarne in possesso anche perché ciò che aveva costruito negli Usa sta per essere vanificato da una causa di divorzio a lei non favorevole. Per lei quei luoghi e quelle persone sono la madrepatria ma per il figlio...
Tomas Vengris, che ha alle spalle un'esperienza sia come sceneggiatore che come montatore, esordisce nel lungometraggio con un'opera che fonde con sapienza più elementi di rilievo. Si presenta fondamentalmente come un 'coming of age' anticipato per il protagonista Kovas attraverso il cui sguardo osserviamo la vicenda. Il ragazzo è americano e a una prima curiosità per questo mondo nuovo e per lui totalmente sconosciuto (anche se ne conosce e ne parla la lingua) fa seguito un progressivo sconcerto causato dal senso di isolamento ma anche da quanto viene progressivamente scoprendo su sua madre.
Tutto ciò inserito in una narrazione che fa riferimento alle fairy tales in cui non ci sono solo fate ma anche streghe. Se però questo è l'elemento di base non di minore importanza si rivela la riflessione su un cambiamento politicamente epocale che però non provoca un altrettanto epocale mutamento nelle dinamiche sociali. Viktorija, convinta che caduto il comunismo possa essere facile tornare in possesso di ciò che apparteneva alla sua famiglia avrà modo di scoprire che la corruzione, il maschilismo e l'esibizione della forza si manifestano con virulenza forse ancora maggiore ora che la 'libertà' è stata conquistata. Sembra di sentire gli ormai lontani echi della riflessione che Kieslowski aveva esposto in Tre colori-Film bianco quando suggeriva che la caduta dei muri stava portando a un livellamento al basso tra i due modelli di società. Perché la madrepatria è un concetto che può venarsi di nostalgia o di romanticismo che necessita di una verifica e di un confronto con la realtà. Non sempre quest'ultimo corrisponde all'idea che chi se n'era andato aveva coltivato.
Tomas Vengris, lituano d'origine, cresciuto negli Stati Uniti e qui al suo esordio, sa esattamente cosa vuole dal suo film (anche dal suo cinema?). Motherland è già manuale, consapevole uso del cinema, perfetta sintesi tra idea e forma, tra progetto e manufatto, tra scrittura e immagine. Il giovane regista ha idee chiare e soprattutto stupisce in un esordiente la manifesta maturità artistica con cui [...] Vai alla recensione »