bacieabbracci
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domenica 3 febbraio 2019
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una nuova forza nella rappresentazione di un mito
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Il cinema italiano ha creato un prodotto fuori dai suoi schemi tradizionali, potente e innovativo. Matteo Rovere ha sicuramente dedicato una grande energia a questa realizzazione. Il mito della nascita di Roma è stato reinterpretato in modo originale per arrivare alla tragica conclusione che tutti conosciamo. Un'attenzione particolare all'autenticità di tutti gli elementi del film: la location nelle vicinanze della città eterna, l'utilizzo esclusivo della luce naturale, uno studio meticoloso delle caratteristiche dei suoni, e soprattutto l'uso del protolatino sottotitolato per i dialoghi (come in The Passion e Apocalypto, film che avevo ammirato). Certo si rimane colpiti dall'aspetto "primitivo" delle popolazioni della narrazione, anche se i guerrieri di Alba appaiono più vicini alle rappresentazioni tradizionali.
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Il cinema italiano ha creato un prodotto fuori dai suoi schemi tradizionali, potente e innovativo. Matteo Rovere ha sicuramente dedicato una grande energia a questa realizzazione. Il mito della nascita di Roma è stato reinterpretato in modo originale per arrivare alla tragica conclusione che tutti conosciamo. Un'attenzione particolare all'autenticità di tutti gli elementi del film: la location nelle vicinanze della città eterna, l'utilizzo esclusivo della luce naturale, uno studio meticoloso delle caratteristiche dei suoni, e soprattutto l'uso del protolatino sottotitolato per i dialoghi (come in The Passion e Apocalypto, film che avevo ammirato). Certo si rimane colpiti dall'aspetto "primitivo" delle popolazioni della narrazione, anche se i guerrieri di Alba appaiono più vicini alle rappresentazioni tradizionali. Siamo lontani anni luce dai "peplum" e sicuramente molto più verosimili. Le scene violente si susseguono, come doveva certamente avvenire in quei tempi. Giusta enfasi al profondo sentimento religioso.. Gli interpreti sono perfetti nelle loro parti, la fotografia superba, la musica assolutamente evocativa. Il ritmo mantiene vivo l'interesse per la storia e in un paio di momenti sono rimasto commosso, data la mia passione per la storia di Roma. Spero possa avere un'ampia distribuzione e il successo che merita
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uppercut
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domenica 3 febbraio 2019
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un'impresa regale
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Il primo re è innanzitutto un grandissimo lavoro. "Grande" sia per quantità che per qualità. Si coglie in ogni fotogramma uno sforzo professionale generosissimo da parte di ogni componente del cast, sia tecnico che artistico. Si coglie, però, anche una irrefrenabile voglia di arrivare al set, vero cerchio del fuoco in cui sprigionare ogni energia creativa. A discapito, forse, di un tempo di pensiero in più in fase di scrittura. L'idea è potente, assimilabile a Gangs of New York di Martin Scorsese. Ma lo sviluppo è un po' rattrappito. Alla faccia della dirompente spettacolarità di esondazioni, battaglie, duelli, il racconto gira un po' su se stesso.
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Il primo re è innanzitutto un grandissimo lavoro. "Grande" sia per quantità che per qualità. Si coglie in ogni fotogramma uno sforzo professionale generosissimo da parte di ogni componente del cast, sia tecnico che artistico. Si coglie, però, anche una irrefrenabile voglia di arrivare al set, vero cerchio del fuoco in cui sprigionare ogni energia creativa. A discapito, forse, di un tempo di pensiero in più in fase di scrittura. L'idea è potente, assimilabile a Gangs of New York di Martin Scorsese. Ma lo sviluppo è un po' rattrappito. Alla faccia della dirompente spettacolarità di esondazioni, battaglie, duelli, il racconto gira un po' su se stesso. A mancare è sopprattutto la linfa che avrebbe potuto portare alla narrazione una più incisiva presenza femminile. E' in parte mancato il coraggio di far uscire la donna dall'angolo di "reggi braciere" per inondarla della stessa forza primitiva da cui sono invece pervasi i persanaggi maschili. Il film merita comunque massima attenzione, al di là di ogni sterile discussione riguardo alla sua natura più o meno italiota...Che dire? davvero un'impresa regale.
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elgatoloco
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giovedì 17 ottobre 2019
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da accogliere com'è
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In questo"IL primo re"(2019, Matteo Rovere)troviamo elementi tipici di una cultura e di forme espressive(intendendo non solo e neppure primariamente la lingua, ma gestualità, mimica, prossemica)che si basano fortemente sulla ritualità, sulla sacralità .dove vale la frase posta come incipit di Somerset Maugham secondo la quale"Un dio che può essere compreso non è tale", ma aggiungerei anche il"mysterium tremendum et ineffabile"di Rudolf Otto, grande storico delle religioni), in un tempo(753 a.C., secundum traditionem), nel quale questi elementi, tra i quali è ancora invalsa la violenza rituale fino all'omicidio rituale(Romolo e Remo, un patto problematico ma comunque concluso-"sancito"come tale), dove valgono naturalmente le interpretazioni classiche e in qualche modo "inamovibili" del tribalismo e del totemismo di Freud e di Leo Frobenius, senza che vi si possa aggiungere molto.
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In questo"IL primo re"(2019, Matteo Rovere)troviamo elementi tipici di una cultura e di forme espressive(intendendo non solo e neppure primariamente la lingua, ma gestualità, mimica, prossemica)che si basano fortemente sulla ritualità, sulla sacralità .dove vale la frase posta come incipit di Somerset Maugham secondo la quale"Un dio che può essere compreso non è tale", ma aggiungerei anche il"mysterium tremendum et ineffabile"di Rudolf Otto, grande storico delle religioni), in un tempo(753 a.C., secundum traditionem), nel quale questi elementi, tra i quali è ancora invalsa la violenza rituale fino all'omicidio rituale(Romolo e Remo, un patto problematico ma comunque concluso-"sancito"come tale), dove valgono naturalmente le interpretazioni classiche e in qualche modo "inamovibili" del tribalismo e del totemismo di Freud e di Leo Frobenius, senza che vi si possa aggiungere molto. Le immagini possono essere"dure", quasi da"pugno nello stomaco", a tratti,. ma, rispettando naturalmente la libertà artistica, che prescinde da una"riproduzione esatta degli eventi"che peraltro non sarebbe in alcun modo possibile, essendo solamente"mitiche"le fonti, sono le uniche che siano compatibili con quel tipo di"cultura"(uso strettamente il termine in accezione antropologica) e come noi possiamo "leggerla", senza incensamenti o denigrazioni eccessivi/e entrambi/e. Alessio Lapice e Alessandro Borghi, ridando le due figure chiave, sono decisamente espressivi, come anche Tania Garribba, quale sacerdotessa-Vestale. Il latino usato(protoitalico viene definito, forse più opportunamente nelle note registiche)appare sostanzialmente adeguato al tempo e alla cutlura, precisando che la traduzione apposta non rende sempre(meglio: non può rendere sempre)la concisione e secchezza dell'originale. El Gato
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lbavassano
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domenica 3 febbraio 2019
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ambizioso
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L'impasto di fango e di sangue da cui scaturisce una civiltà millenaria, la violenza che ne costituisce le fondamenta, l'orrore ed il terrore del sacro e del fato. Alieno però, almeno apparentemente, alle speculazioni filosofiche, occultate nella materia della narrazione, nei clichè dello splatter, nell'enfasi, a tratti imbarazzante, della recitazione. Volutamente sgradevole nelle parti migliori, perchè non può non essere sgradevole l'esplorazione delle nostre radici, del nostro essere umani. Ottima, al di là di ogni dubbio, la fotografia di Daniele Ciprì, francamente banale, ridondante, e brutta, la colonna sonora.
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L'impasto di fango e di sangue da cui scaturisce una civiltà millenaria, la violenza che ne costituisce le fondamenta, l'orrore ed il terrore del sacro e del fato. Alieno però, almeno apparentemente, alle speculazioni filosofiche, occultate nella materia della narrazione, nei clichè dello splatter, nell'enfasi, a tratti imbarazzante, della recitazione. Volutamente sgradevole nelle parti migliori, perchè non può non essere sgradevole l'esplorazione delle nostre radici, del nostro essere umani. Ottima, al di là di ogni dubbio, la fotografia di Daniele Ciprì, francamente banale, ridondante, e brutta, la colonna sonora.
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(di dan84imola)
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inesperto
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lunedì 4 febbraio 2019
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quello giusto era remo...
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Quest'opera imperiosa è prodotta dal cinema italiano. Siamo tutti abituati a guardare con ammirazione alle grandi produzioni americane e britanniche. Ebbene, qui siamo di fronte a qualcosa che travalica i nostri confini, che strappa rispetto alla nostra ormai stanca tendenza di darci alle sole commedie perchè in altro non siamo bravi. Noi siamo bravi, e lo siamo tanto. Forse siamo poveri, e anche pigri, ma abbiamo qualità notevoli. Interamente recitate in un linguaggio proto-latino, punto di gran merito per gli attori, le vicende che si trovano ad affrontare i celebri fratelli sono vive e fortemente incisive. La colonna sonora che le accompagna è intensa ed emozionante.
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Quest'opera imperiosa è prodotta dal cinema italiano. Siamo tutti abituati a guardare con ammirazione alle grandi produzioni americane e britanniche. Ebbene, qui siamo di fronte a qualcosa che travalica i nostri confini, che strappa rispetto alla nostra ormai stanca tendenza di darci alle sole commedie perchè in altro non siamo bravi. Noi siamo bravi, e lo siamo tanto. Forse siamo poveri, e anche pigri, ma abbiamo qualità notevoli. Interamente recitate in un linguaggio proto-latino, punto di gran merito per gli attori, le vicende che si trovano ad affrontare i celebri fratelli sono vive e fortemente incisive. La colonna sonora che le accompagna è intensa ed emozionante. Da ciò che viene narrato, viene fuori molto meglio la figura di Remo; per quanto ad un certo punto sia obnubilato da smania di potere, egli dimostra costantemente la sua capacità di guerriero, salva il fratello quando è un peso per tutti, si rifiuta di ucciderlo quando la portatrice del fuoco sacro gli comunica il volere del dio e dubita, di conseguenza (unico tra tutti), dell'esistenza di alcuna divinità. Al suo confronto, Romolo, che per gran parte del tempo è fuori combattimento, si rivela timoroso ed obbediente al presunto volere degli dei (come tutti peraltro) e non esita ad uccidere il fratello quando questo mette in dubbio le credenze generali. Fra anni questo film sarà considerato un cult del genere.
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angeloumana
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domenica 17 febbraio 2019
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credere e non credere
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Una forse personalissima lettura del film Il Primo Re lo fà leggere, letteralmente, come un film religioso, o delle religioni, del credere e non credere, che Lassù qualcuno mi ama e quaggiù ci protegga. Quello era un altro film, ma anch'esso parlava della forza e delle decisioni dell'uomo, il suo riscatto, la sopravvivenza (si trattava di Paul Newman alias Rocky Graziano). Sovvengono le parole di Margherita Huck, e di chissà quanti altri scienziati, che la religione aiuta a, o finge di, dare delle risposte che la scienza non è ancora riuscita a dare.
Più di questo si tratta che dell'epopea della nascita di Roma nel 753 a.
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Una forse personalissima lettura del film Il Primo Re lo fà leggere, letteralmente, come un film religioso, o delle religioni, del credere e non credere, che Lassù qualcuno mi ama e quaggiù ci protegga. Quello era un altro film, ma anch'esso parlava della forza e delle decisioni dell'uomo, il suo riscatto, la sopravvivenza (si trattava di Paul Newman alias Rocky Graziano). Sovvengono le parole di Margherita Huck, e di chissà quanti altri scienziati, che la religione aiuta a, o finge di, dare delle risposte che la scienza non è ancora riuscita a dare.
Più di questo si tratta che dell'epopea della nascita di Roma nel 753 a.C. (le ultime didascalie riportano questa data), e del mito di Romolo e Remo, umili pastori travolti da una piena spettacolare del Tevere, che perdono tutto i loro averi, solo un gregge del resto, e si trovano poi nel loro vagare ad affrontare le aggressioni delle orde crudeli di Alba Longa e altri nemici, tutti in lotta per dominare un territorio. Già le tribù di allora si dedicavano a circenses di lotte tra umani: la nobile Roma dell'impero dunque li ereditò!? Con altri prigionieri e con l'astuzia si liberano degli aggressori fino a giungere alle foci del Tevere, lì il valoroso Remo morente affida il compito a Romolo di costruire una città sicura dove seppellirlo. Alessandro Borghi e Alessio Lapice sono i due attori che li impersonano, primitivi come si conviene all'epoca e che esprimono il grande amore fraterno che li lega. Un film avvincente, grandioso, drammatico, onore all'appena 37enne Matteo Rovere che l'ha concepito, diretto e sceneggiato, parlato in un oscuro e primordiale latino ma con sottotitoli che tutto spiegano, corredato di avventura ed effetti speciali da grande film.
Ma il tema è la religione, il credere a un dio, se vale più questo assunto oppure la forza della sopravvivenza e le scelte, consapevoli e non, dell'uomo. Quei prigionieri si liberano dei loro torturatori e prendono in ostaggio la loro vestale, la sacerdotessa, colei che custodisce “il fuoco sacro”, quello che non si può profanare e che bisogna custodire, non lasciar spegnere (e gli dei sanno quanto a quegli antichi la cosa fosse necessaria...). E' sempre accaduto poi che i sacerdoti interpretassero i voleri del dio di turno ma sempre a favore dei potenti del momento. E il profluvio di parole pro e contro un dio, degno dei film di Ermanno Olmi (sovvengono Il villaggio di cartone e Cento Chiodi): Nessuno può opporsi al volere degli dei, dicono quei di loro che son timorosi, o Era la nostra unica speranza, ora non abbiamo più nulla, quando il fuoco si spegne e la sacerdotessa muore. Ed invece paiono più belle e coraggiose le parole di Remo, il loro condottiero eletto sul cammino, che ha dato prova di forza e determinazione, di fiducia nei mezzi personali di ognuno, ha dimostrato pure che il terrore a volte è servito per comandare: Io sono il mio destino, E' finito il tempo in cui assecondavamo la volontà di Dio, Gli uomini temono gli dei e perciò questi li dominano o, ancora, Siamo solo noi, nessun dio di cui aver paura, Siamo noi la forza, non c'è nessun dio e, infine, Quel fuoco è la nostra distruzione.
In conclusione il film pare dare ragione a chi a un dio crede, a Romolo in questo caso, che pure Remo aveva salvato con la sua pazienza e volontà. Sia fatta la Nostra volontà dunque, quella dell'essere umano. Un film che tanti insegnanti di religione (di quale poi? Cattolica, protestante, islamica, buddista, scintoista? O puramente laica?) dovranno vedere.
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zanmar
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sabato 16 marzo 2019
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una rivisitazione deludente
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Pur recatomi al cinema animato da grande interesse e curiosità, il film ha in buona parte deluso le attese. Prima di sedermi in sala, non riuscivo a capacitarmi del fatto che, al giorno d'oggi, qualcuno avesse voluto riprendere un tema come quello della fondazione di Roma. Il film, tecnicamente interessante, ma dialetticamente molto inadeguato, è la triste immagine culturale dell’Italia contemporanea e del main stream cultural-intellettualoide che sa trasformare in letame storia, tradizioni e mito. Sul principio il ricorso alla lingua latina nella sua pronuncia scientifica e l’assenza di illuminazione artificiale affascinano. Tuttavia, scemata quella fascinazione, l’aver ridotto i pre-romani a qualcosa di simile a uomini del Paleolitico, dai quali si distinguono solo per il fatto di possedere armi ben forgiate, è una squallida operazione.
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Pur recatomi al cinema animato da grande interesse e curiosità, il film ha in buona parte deluso le attese. Prima di sedermi in sala, non riuscivo a capacitarmi del fatto che, al giorno d'oggi, qualcuno avesse voluto riprendere un tema come quello della fondazione di Roma. Il film, tecnicamente interessante, ma dialetticamente molto inadeguato, è la triste immagine culturale dell’Italia contemporanea e del main stream cultural-intellettualoide che sa trasformare in letame storia, tradizioni e mito. Sul principio il ricorso alla lingua latina nella sua pronuncia scientifica e l’assenza di illuminazione artificiale affascinano. Tuttavia, scemata quella fascinazione, l’aver ridotto i pre-romani a qualcosa di simile a uomini del Paleolitico, dai quali si distinguono solo per il fatto di possedere armi ben forgiate, è una squallida operazione. La truculenza trasposta sullo schermo non fa che accentuare questa rappresentazione simil-neandertaliana. Gli autori del film hanno accortamente voluto polverizzare migliaia di anni di, appunto, storia, tradizioni e mito. Credere che in un’area geografica collocata (e quindi crocevia) tra due grandi civiltà quali quella etrusca (poco a nord del Tevere Romano) e quella greca (presente dal basso Lazio sino alla Sicilia) vi fosse un “Mondo perduto” alla Conan Doyle (mancavano i dinosauri o quanto meno i mammut) risulta indigeribile. Come erronei sono i riferimenti geografici: difatti se i nostri “eroi” provenivano dall’area di Alba Longa (ovvero l’area dei castelli Romani) non è comprensibile perché per fondare Roma dovessero attraversare il Tevere che, a chi proviene da sud, offre la sponda sinistra, ovvero proprio il versante sul quale Roma è sorta (Palatino e altri colli). Insomma, gli autori, nel corso della loro italica operazione di “letamificazione” si sono realmente smarriti. Ritrovare il valore di ciò che fu, e capirne l'importanza, anche al di là della retorica, non è un compito all’altezza degli ominidi contemporanei.
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lorenzo perrucci
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martedì 5 febbraio 2019
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"il primo re": la rinascita del cinema italiano
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Il Primo Re è un film del 2019 diretto da Matteo Rovere (regista di "Veloce come il vento"). La pellicola racconta la storia di due fratelli: Romolo e Remo. Dalla loro rivalità nascerà uno degli imperi più importante al mondo: Roma. Alessandro Borghi (Remo) e Alessio Lapice (Romolo) sono calati perfettamente nella parte, come TUTTO il cast. OGNI attore è calato nella parte perfettamente, dai co-protagonisti alle semplici comparse, tutti si sono impegnati perché si sentivano parte di un qualcosa di grande. In particolare Borghi offre una prova attoriale difficile, perché è un personaggio estremamente forte, sfuggevole e grintoso. Entra a contatto con la natura, il fango, la pioggia.
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Il Primo Re è un film del 2019 diretto da Matteo Rovere (regista di "Veloce come il vento"). La pellicola racconta la storia di due fratelli: Romolo e Remo. Dalla loro rivalità nascerà uno degli imperi più importante al mondo: Roma. Alessandro Borghi (Remo) e Alessio Lapice (Romolo) sono calati perfettamente nella parte, come TUTTO il cast. OGNI attore è calato nella parte perfettamente, dai co-protagonisti alle semplici comparse, tutti si sono impegnati perché si sentivano parte di un qualcosa di grande. In particolare Borghi offre una prova attoriale difficile, perché è un personaggio estremamente forte, sfuggevole e grintoso. Entra a contatto con la natura, il fango, la pioggia. Sguardi ammalianti si susseguono sul suo volto, delineando la sua emotività in ogni inquadratura. Una cosa è certa: migliora da un'interpretazione ad un'altra. Lapice invece è meno conosciuto, ma anche lui dà prova di una grande interpretazione attoriale. Una storia che ci fanno studiare fin da piccoli, ma in questo film è tutto raccontato in modo magistrale... anche se si conosce come andrà a finire, sarà estremamente piacevole capire le varie dinamiche che confluiranno in quel finale. E' un film COMPLETAMENTE DIVERSO da tutta la cinematografia italiana moderna, per svariati motivi. Matteo Rovere gira un film davvero innovativo, sfidando il pubblico italiano e i suoi gusti, perché esce dai canoni cinematografici del nostro paese: questo film non è d'azione, si allontana dai vari prodotti come Gomorra o le solite commedie all'italiana... Qui c'è una vera e propria ventata di aria fresca. Rovere è stato chiaro con la troupe fin dall'inizio: ha spiegato il progetto, dicendo che sarebbe stato un film veramente duro nel suo genere, quindi ha invitato solo gli audaci ad aderire al progetto. E' una pellicola estremamente epica, che trasuda cinema hollywoodiano da tutti i pori. La colonna sonora è estremamente epica, di stampo tribale per immergere meglio lo spettatore in un ambiente antico. La fotografia di Daniele Ciprì è fantastica, mi ha ricordato parecchio quella di “Revenant-Redivivo”, quindi tirate voi le somme... sono presenti primi piani che danno piena importanza al volto dei personaggi, ma al contempo valorizza continuamente i paesaggi con varie inquadrature dall'alto per valorizzare la natura incontaminata. Una curiosità: le scene sono state girate sempre con luce naturale, mai artificiale. Complimenti. La scenografia è tutta naturale: non è stato ricreato nessun elemento in CGI come ormai ci hanno abituati. Il film è costato 9 milioni di euro, investiti in effetti speciali magistrali, vi dico solo che nei primi 2 minuti del film è girata la scena dello straripamento ed inondazione da parte del Tevere, una scena al cardiopalma, da cui non traspare minimamente l'effetto speciale. Un film che tiene per due ore con il fiato sospeso, senza lasciare spazio alla noia, parte con l'acceleratore e va sempre più veloce... Le atmosfere avvolgono lo spettatore, portandolo in un'altra dimensione: come afferma Rovere il cinema deve proiettare lo spettatore in altri mondi, come in una specie di sogno... il suo film fa proprio questo. Storicamente è accuratissimo, dai costumi ai pensieri ed alle usanze dei personaggi... Ma in tutte queste positività c'è un qualcosa di unico: il film è interamente recitato in proto-latino (lingua usata al tempo), il che rende il film molto diverso dagli altri. Il punto forte del film però sono i combattimenti, assolutamente brutali e reali. La sopravvivenza traspare tramite una violenza inaudita: ossa che si spezzano, arti tranciati. Una prova di vera audacia da parte di Rovere nel proporre certe scene in Italia, come nessuno avrebbe pensato di fare: proporre un realismo assoluto, sfidando i gusti dello spettatore. NON MI SONO RESO CONTO DI VEDERE UN FILM ITALIANO. Ricorda parecchio “Revenant”, “Apocalypto”, ma anche “Vikings” o “Game of Thrones”. Ho applaudito in molti momenti e certe scene sono da Cult, senza esagerare. QUESTA È LA RINASCITA DEL CINEMA ITALIANO. È stato bellissimo dimenticare di vedere un film italiano. Ed è ancor più bello ricordarselo e riempirsi d’orgoglio. Questo è ciò che mi è successo con “Il Primo Re”. Affollate le sale, se lo merita.
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michelecamero
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giovedì 7 febbraio 2019
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e se fosse da oscar?
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Mentre scorrevano le immagini del film di Rovere, non riuscivo a non pensare a REVENANT ed al termine della proiezione mi son chiesto: “perché no?” Voglio dire che, se si riuscisse a sostenere questa pellicola come merita, perché escluderla dalle opportunità dell’Oscar per il prossimo anno? Il film, nel quale gli attori recitano in latino arcaico con sottotitoli (anche questo potrebbe aiutare nel percorso verso Los Angeles) è molto bello, ruvido, primitivo. Ha alla base una sua intelligente lettura della leggenda di Romolo e Remo con la raffigurazione di quel contrasto ancora oggi così attuale nella storia dell’umanità, tra l’affidare il destino degli uomini a sé stessi, al proprio valore, alla propria forza oppure porsi sotto il manto della divinità, della religione qui impersonata dalla natura con la sacralità del fuoco e da una vestale resa sullo schermo magnificamente da Tania Garribba.
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Mentre scorrevano le immagini del film di Rovere, non riuscivo a non pensare a REVENANT ed al termine della proiezione mi son chiesto: “perché no?” Voglio dire che, se si riuscisse a sostenere questa pellicola come merita, perché escluderla dalle opportunità dell’Oscar per il prossimo anno? Il film, nel quale gli attori recitano in latino arcaico con sottotitoli (anche questo potrebbe aiutare nel percorso verso Los Angeles) è molto bello, ruvido, primitivo. Ha alla base una sua intelligente lettura della leggenda di Romolo e Remo con la raffigurazione di quel contrasto ancora oggi così attuale nella storia dell’umanità, tra l’affidare il destino degli uomini a sé stessi, al proprio valore, alla propria forza oppure porsi sotto il manto della divinità, della religione qui impersonata dalla natura con la sacralità del fuoco e da una vestale resa sullo schermo magnificamente da Tania Garribba. I due fratelli sono affidati alle performance incredibili per capacità ed efficacia di Borghi e Lapice, davvero assai bravi entrambi. In tutto questo c’è una ricostruzione di ambienti, costumi, volti, maniere di primitiva intensità avvalendosi e beneficiando di una fotografia sempre nei toni più giusti per rendere la scena, sia che questa si svolga di giorno, sia che richieda nottetempo una sua illuminazione che deriva esclusivamente dal fuoco. Ma anche nella ricostruzione degli scontri bellici, nella furia degli uomini, nella violenza del loro agire e l'agilità dei propri movimenti, nelle smorfie che accompagnano la loro morte, c’è una solidità ed una ancestralità, una primordialità che contribuisce a togliere alla leggenda ogni patina di eleganza e di retorica, restituendola alla durezza ed alla verità della storia, avviando lo spettatore nel percorso verso quell’ incredibile vicenda del villaggio che nel tempo diverrà ROMA, l’Urbe, la Caput Mundi. Soprattutto lo instrada evitando la tentazione di enfatizzare, optando per un viatico che, attraverso la naturalezza e la primitività, ne accompagni l’immaginazione verso l’epicità di una storia incredibile che a distanza di quasi tremila anni non ha ancora consumato la sua capacità di fascinazione.
MiCam
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dariobottos
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giovedì 7 febbraio 2019
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la fascinazione del mito
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Una volta nei film “peplum” la critica e gli spettatori si divertivano a cercare gli anacronismi, per esempio un orologio indossato da una sbadata comparsa-centurione, e cose simili. Questo film non è un peplum, per riconoscimento unanime: è un film epico che intende tradurre in immagini il mito (quindi la narrazione, il racconto) della fondazione di Roma, ed è una ricostruzione accettabile, attendibile, dal punto di vista storico e antropologico. Non nel senso che storicizza il mito, ma che gli dà uno scenario storico credibile per quanto ne sappiamo sull’ VIII secolo a.C. nel Lazio. Però un anacronismo “ideologico” molto forte lo contiene: un uomo di quel tempo, imbevuto di quella religiosità animistico-politeistica che permea quell’umanità arcaica, e che il film ben rappresenta, non dirà mai “non c’è alcun dio” come a un certo punto prorompe Remo al culmine della hybris che preannuncia la tragedia.
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Una volta nei film “peplum” la critica e gli spettatori si divertivano a cercare gli anacronismi, per esempio un orologio indossato da una sbadata comparsa-centurione, e cose simili. Questo film non è un peplum, per riconoscimento unanime: è un film epico che intende tradurre in immagini il mito (quindi la narrazione, il racconto) della fondazione di Roma, ed è una ricostruzione accettabile, attendibile, dal punto di vista storico e antropologico. Non nel senso che storicizza il mito, ma che gli dà uno scenario storico credibile per quanto ne sappiamo sull’ VIII secolo a.C. nel Lazio. Però un anacronismo “ideologico” molto forte lo contiene: un uomo di quel tempo, imbevuto di quella religiosità animistico-politeistica che permea quell’umanità arcaica, e che il film ben rappresenta, non dirà mai “non c’è alcun dio” come a un certo punto prorompe Remo al culmine della hybris che preannuncia la tragedia. Se questo avviene, è perché il film travalica la semplice figurazione del mito, stratificandone – coscientemente o meno - letture successive proprie del canone occidentale: la tragedia greca, complicata da Shakespeare di tutte le armoniche che l’animo umano è capace di produrre (e quindi anche della ribellione al dio); mitologemi biblici quali la messianicità dell’eroe, una terra promessa dove regneranno pace e armonia, la predizione di un futuro glorioso se il patto con la divinità viene rispettato. Il film calamita altri miti e archetipi intorno a quello di fondazione, ed è questo fascio che in fondo sollecita e affascina la mente dello spettatore, rispetto ad un’azione di per sé lineare e umbratile.
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[+] diventare re
(di eden artemisio)
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