angeloumana
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domenica 17 febbraio 2019
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credere e non credere
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Una forse personalissima lettura del film Il Primo Re lo fà leggere, letteralmente, come un film religioso, o delle religioni, del credere e non credere, che Lassù qualcuno mi ama e quaggiù ci protegga. Quello era un altro film, ma anch'esso parlava della forza e delle decisioni dell'uomo, il suo riscatto, la sopravvivenza (si trattava di Paul Newman alias Rocky Graziano). Sovvengono le parole di Margherita Huck, e di chissà quanti altri scienziati, che la religione aiuta a, o finge di, dare delle risposte che la scienza non è ancora riuscita a dare.
Più di questo si tratta che dell'epopea della nascita di Roma nel 753 a.
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Una forse personalissima lettura del film Il Primo Re lo fà leggere, letteralmente, come un film religioso, o delle religioni, del credere e non credere, che Lassù qualcuno mi ama e quaggiù ci protegga. Quello era un altro film, ma anch'esso parlava della forza e delle decisioni dell'uomo, il suo riscatto, la sopravvivenza (si trattava di Paul Newman alias Rocky Graziano). Sovvengono le parole di Margherita Huck, e di chissà quanti altri scienziati, che la religione aiuta a, o finge di, dare delle risposte che la scienza non è ancora riuscita a dare.
Più di questo si tratta che dell'epopea della nascita di Roma nel 753 a.C. (le ultime didascalie riportano questa data), e del mito di Romolo e Remo, umili pastori travolti da una piena spettacolare del Tevere, che perdono tutto i loro averi, solo un gregge del resto, e si trovano poi nel loro vagare ad affrontare le aggressioni delle orde crudeli di Alba Longa e altri nemici, tutti in lotta per dominare un territorio. Già le tribù di allora si dedicavano a circenses di lotte tra umani: la nobile Roma dell'impero dunque li ereditò!? Con altri prigionieri e con l'astuzia si liberano degli aggressori fino a giungere alle foci del Tevere, lì il valoroso Remo morente affida il compito a Romolo di costruire una città sicura dove seppellirlo. Alessandro Borghi e Alessio Lapice sono i due attori che li impersonano, primitivi come si conviene all'epoca e che esprimono il grande amore fraterno che li lega. Un film avvincente, grandioso, drammatico, onore all'appena 37enne Matteo Rovere che l'ha concepito, diretto e sceneggiato, parlato in un oscuro e primordiale latino ma con sottotitoli che tutto spiegano, corredato di avventura ed effetti speciali da grande film.
Ma il tema è la religione, il credere a un dio, se vale più questo assunto oppure la forza della sopravvivenza e le scelte, consapevoli e non, dell'uomo. Quei prigionieri si liberano dei loro torturatori e prendono in ostaggio la loro vestale, la sacerdotessa, colei che custodisce “il fuoco sacro”, quello che non si può profanare e che bisogna custodire, non lasciar spegnere (e gli dei sanno quanto a quegli antichi la cosa fosse necessaria...). E' sempre accaduto poi che i sacerdoti interpretassero i voleri del dio di turno ma sempre a favore dei potenti del momento. E il profluvio di parole pro e contro un dio, degno dei film di Ermanno Olmi (sovvengono Il villaggio di cartone e Cento Chiodi): Nessuno può opporsi al volere degli dei, dicono quei di loro che son timorosi, o Era la nostra unica speranza, ora non abbiamo più nulla, quando il fuoco si spegne e la sacerdotessa muore. Ed invece paiono più belle e coraggiose le parole di Remo, il loro condottiero eletto sul cammino, che ha dato prova di forza e determinazione, di fiducia nei mezzi personali di ognuno, ha dimostrato pure che il terrore a volte è servito per comandare: Io sono il mio destino, E' finito il tempo in cui assecondavamo la volontà di Dio, Gli uomini temono gli dei e perciò questi li dominano o, ancora, Siamo solo noi, nessun dio di cui aver paura, Siamo noi la forza, non c'è nessun dio e, infine, Quel fuoco è la nostra distruzione.
In conclusione il film pare dare ragione a chi a un dio crede, a Romolo in questo caso, che pure Remo aveva salvato con la sua pazienza e volontà. Sia fatta la Nostra volontà dunque, quella dell'essere umano. Un film che tanti insegnanti di religione (di quale poi? Cattolica, protestante, islamica, buddista, scintoista? O puramente laica?) dovranno vedere.
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domenica 17 febbraio 2019
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non condivido manco una parola
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Film orribile, altro che epico, soldi buttati
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domenica 17 febbraio 2019
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soldi buttati
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Un film osceno, sembra che ci sia la voglia del regista di renderlo più violento possibile, interiora strappate via da poveri animali per farlo assomigliare al film revenant con L. Di Caprio, risultato? Una noia mortale e violento senza un perché. Sembra un film fatto con due lire anziché 8 mln di €
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kaipy
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giovedì 14 febbraio 2019
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bello
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Piaciuto molto l'uso che si è fatto della violenza, perché se è vero che si combatte è vero, in realtà, che si tratta di una lotta per la sopravvivenza. Questa violenza non deve fare paura, né, per fortuna, intende essere spettacolare. È una lotta per la vita, istinto, ma anche riscatto e libertà. Senza contare il dilemma tra tirannia e falsi dei, insomma c'è da far pensare... bello e ben recitato
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giovedì 14 febbraio 2019
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1 re
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1 grandissimo film....a memoria unico in italia in questo genere.....grandissimi regista e cast
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frenky 90
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mercoledì 13 febbraio 2019
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grazie groenlandia
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Bisogna dire grazie a Matteo Rovere. Bisogna dire grazie a lui, a Sydney Sibilia e a Groenlandia, la
loro casa di produzione. Perchè questo non è soltanto un film, è la rinascita del cinema italiano. Se
credete stia esagerando ditemi quando mai nella storia recente della settima arte del nostro Paese si
è vista un'opera con la stessa ambizione, con lo stesso valore, con la stessa qualità. La verità è che
lavori come questo siamo abituati ad andare a vederli al cinema solo col marchio a stelle e strisce.
La fotografia anamorfica di Lubezki (che pure è messicano ma sappiamo la macchina che lo mette
in moto quale bandiera batte) non di Daniele Ciprì; l'interpretazione di Di Caprio, non di Borghi;
l'aramaico antico di Gibson, non il proto-latino di Rovere.
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Bisogna dire grazie a Matteo Rovere. Bisogna dire grazie a lui, a Sydney Sibilia e a Groenlandia, la
loro casa di produzione. Perchè questo non è soltanto un film, è la rinascita del cinema italiano. Se
credete stia esagerando ditemi quando mai nella storia recente della settima arte del nostro Paese si
è vista un'opera con la stessa ambizione, con lo stesso valore, con la stessa qualità. La verità è che
lavori come questo siamo abituati ad andare a vederli al cinema solo col marchio a stelle e strisce.
La fotografia anamorfica di Lubezki (che pure è messicano ma sappiamo la macchina che lo mette
in moto quale bandiera batte) non di Daniele Ciprì; l'interpretazione di Di Caprio, non di Borghi;
l'aramaico antico di Gibson, non il proto-latino di Rovere. Questo film è un piccolo grande miracolo
ed è segno che finalmente, in maniera tangibile e “visibile”, le cose in Italia stanno davvero
cambiando, almeno in questo campo, almeno in questa arte. Questo ci salverà tutti? No. Ma è
almeno prova che quando cambia il pubblico per fortuna cambia anche l'intrattenimento che innalza
il suo valore al servizio di uno spettatore che si è stancato di prodotti di serie C e di stare a guardare
di fronte al mondo. Da oggi il kolossal parla anche italiano, o latino in questo caso. Epicità che mai
disturba nella sceneggiatura di Filippo Gravino e Francesca Manieri, oltre che dello stesso Rovere,
laddove si ritrova al servizio di un mito che mai poteva apparirci più realistico e crudo senza
scadere nel pulp Tarantiniano, che qui sarebbe stato fuori luogo, ma trascinandoci piuttosto di peso
dentro la Storia con la S maiuscola. Con un cast perfettamente calato nei ruoli senza sbavatura
alcuna il fruitore può concentrarsi interamente sul drammatico dualismo fratricida fra Remo e
Romolo che, a dispetto del notorio epilogo storiografico, sembra sempre incerto sul filo della
tensione disegnato dalla sapiente regia che nega ogni certezza al pubblico in sala. Quando la
macabra danza di violenza e di morte giunge al suo epilogo non si può che guardare indietro ad
alcuni momenti memorabili grazie a due personaggi dipinti su pellicola con maestria. Ne è in tal
senso perfetta esemplificazione la scena in cui Remo cade nell'imboscata dei cavalieri di Alba sulle
rive di un ancor “biondo Tevere” e la tribù di cui ormai Romolo si è fatto guida spirituale giunge in
suo aiuto. Saltando a sorpresa fuori dai cespugli i due si ritrovano faccia a faccia e la camera
indugia su questa splendida immagine quasi suggerendo il duello definitivo, giustificato dai
precedenti contrasti. Ma all'ultimo momento Remo volge la spada verso il fratello solo per armarlo
e fargli sconfiggere al suo fianco gli oppositori nemici, ultimo ostacolo alla fondazione del più
grande impero che la storia ricordi. Quando finalmente giunge il momento dell'epico faccia a faccia
il fiato rimane sospeso come se non conoscessimo il finale, che giunge maestoso sull'enunciazione
del nome di Roma mentre cala la tela. Applausi.
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martedì 12 febbraio 2019
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romanzetto
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Non ha nulla a che vedere con romolo e remo.. Solo violenza... Pessimo
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no_data
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martedì 12 febbraio 2019
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romolo e remo in una pretestuosa cornice.
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Capisco che le interpretazioni possano essere molteplici quando si vuole affrontare un tema storico. A parte le scene del fiume esondato a inizio film, tutta la narrazione è inconsistente, noiosa ed esitante. Neanche il protolatino riesce a salvarlo.
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domenica 10 febbraio 2019
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una schifezza unica
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Ho appena visto il primo tempo ma sono intenzionato a non vedere il resto. Violenza inaudita in questo film.
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ale
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sabato 9 febbraio 2019
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un dio che può essere compreso non è un dio
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Mi accingo a comprare il biglietto d’ingresso per “il Primo re” e al botteghino ci viene detto: sapete che questo film non è in italiano ma in latino sottotitolato in italiano? Comunque non vi preoccupate tanto perchè non vi sono tanti dialoghi; dunque insieme a mia moglie ci accingiamo ad entrare in sala con questa raccomandazione.
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Mi accingo a comprare il biglietto d’ingresso per “il Primo re” e al botteghino ci viene detto: sapete che questo film non è in italiano ma in latino sottotitolato in italiano? Comunque non vi preoccupate tanto perchè non vi sono tanti dialoghi; dunque insieme a mia moglie ci accingiamo ad entrare in sala con questa raccomandazione.
Premesso che già sapevamo che il regista aveva interpellato studiosi dell’Università La Sapienza per preparare i dialoghi in un latino arcaico, certo non ci aspettavamo una cotanta raccomandazione del tipo “ Ma siete proprio sicuri ?”
Ma appena iniziano le prime immagini la raccomandazione fattaci viene dimenticata: che spettacolo visivo! Grandissime panoramiche di terre “selvagge”, luoghi senza tempo, dove la Natura decide la vita e la morte degli esseri viventi. Ecco che il Tevere travolge tutto e tutti: dal gregge, ai due pastori Romolo e Remo. E subito si intuisce che Remo, statuario e gladiatorio non fa che proteggere il fratello Romolo, perché appena bambino lo ha promesso alla Madre, assassinata dai soldati della spietata Albalonga. Remo salva Romolo, prima dalla furia del Tevere in piena, poi dagli spietati soldati di Albalonga e via via lo protegge da chiunque voglia attentare alla sua vita, aiutato anche da una sacerdotessa, da loro rapita, che gli predirrà che dal Fraticidio nascerà il re che fonderà la città eterna. Torniamo ai dialoghi: certo non di facile comprensione ma i sottotitoli aiutano e non ci pesa certamente il tutto e comunque di dialoghi c’è ne sono...
Bella l’idea (non certo nuova, vedasi La passione di Mel Gibson) di utilizzare il latino parlato da Romolo e Remo perché ciò aiuta lo spettatore ad immergersi a pieno nella storia. La storia parla anche di come in un periodo ancora arcaico l’uomo abbia timore degli Dei e meno consapevolezza del proprio intelletto. A un certo punto Remo cerca di elevarsi a Dio: bella l’interpretazione del bravissimo Alessandro Borghi ma poi pentito si percepisce in lui la coscienza di aver osato troppo, la consapevolezza di essere solo un uomo.
Molto cruda, brutale e primordiale la fuga dei due fratelli e di altri schiavi, quest’ultimi senza nessun ideale, senza una dimora ma con l’unica cosa che a quei tempi probabilmente era presente: l’istinto. Tutti comunque auspicano di trovare una fissa dimora.
Apprezzo anche l’idea di girare tutte le scene con luce naturale e il tutto non fa che catapultarci ancora di più nel probabile Lazio del 753 a.c.
Che belle le scene nella Palude per esempio...
Forse ciò che ho trovato banale è il modo in cui Romolo uccide Remo: troppo inverosimile perché Romolo per tutto il film è sempre stato tra la vita e la morte, protetto di continuo dal fratello e all’improvviso Romolo riesce ad uccidere con estrema facilità Remo.
Ma forse ancora una volta Remo non ha fatto che mantenere la promessa di proteggere il fratello al costo stesso della vita o forse pentito di aver sfidato gli dei e/o magari convintosi che è Romolo il prescelto.
Chissà come sono andate veramente le cose quel 21 aprile del 753 a.c. ?
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