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anna
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lunedì 11 febbraio 2019
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capolavoro
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Un fllm che ami dalla prima inquadratura. Mortensen, ingrassato, è credibile nella parte del cinico, grezzo, italoamericano in canottiera, che ti immagini con le dita sempre appiccicose. Mahershala Ali, che interpreta il suo datore di lavoro, è la sua antitesi. Raffinato, etereo, un genio solitario e malinconico dalle dita affusolate e dai sorrisi tirati.
Un'accoppiata improbabile e divertente, non fosse per la sottile inquietudine che pervade anche le inquadrature più pacifiche e familiari, E' questo, il segreto del film. Un ritmo che si distende e poi accelera, per rallentare nuovamente grazie a una fotografia e a un montaggio magistrali. Sceneggiatura con frasi già da antologia ("Il mondo è pieno di persone sole che non osano fare il primo passo", e altre ancora.
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Un fllm che ami dalla prima inquadratura. Mortensen, ingrassato, è credibile nella parte del cinico, grezzo, italoamericano in canottiera, che ti immagini con le dita sempre appiccicose. Mahershala Ali, che interpreta il suo datore di lavoro, è la sua antitesi. Raffinato, etereo, un genio solitario e malinconico dalle dita affusolate e dai sorrisi tirati.
Un'accoppiata improbabile e divertente, non fosse per la sottile inquietudine che pervade anche le inquadrature più pacifiche e familiari, E' questo, il segreto del film. Un ritmo che si distende e poi accelera, per rallentare nuovamente grazie a una fotografia e a un montaggio magistrali. Sceneggiatura con frasi già da antologia ("Il mondo è pieno di persone sole che non osano fare il primo passo", e altre ancora... lascio a voi scoprirle). Episodi che stringono l'anima, perché drammaticamente noti a chi ha semplicemente sfiorato, con lo studio o con un viaggio in quei luoghi, la realtà della segregazione razziale sommersa e palpitante, negli ipocriti Usa degli anni '60. Tratto da una storia vera.
Da vedere comunque, per capire di quante lacrime e sangue sia lastricata la storia moderna americana.
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lucio di loreto
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lunedì 11 febbraio 2019
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farrelly aggiunge riflessioni sociali alla immancabile dose di ironia
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Peter, spesso in combutta con Bobby, ci ha sempre abituato e deliziato col genere più demenziale che ci sia, nel senso migliore e rispettoso del termine, dando in ogni film una situazione quasi estrema di commedia con battute forti, esilaranti e al limite del trash, senza mai toccare o avvicinarsi al volgare, dimostrando insieme al fratello di avere uno step ahead rispetto agli altri registi sui generis. In Green Book Farrelly compie un gigante passo verso la celebrità ed il mito, aiutato da una coppia d’assi in stato di grazia, portandoci a fare una passeggiata in Cadillac DeVille nel profondo Sud americano attorno agli albori dei mitici sixties, quando Dylan cantava la protesta e si ballava la furia di Elvis ma dove il razzismo e la segregazione dominavano un po' ovunque!! Passare da “Scemo e più scemo” ai Golden Globes e la notte degli Oscar il passo è estremo, ma tant’è!! Certo, forse uno “scomodo passato” è la causa dell’assenza al Dolby Theatre della nomination più ambita (la regia) ma fa lo stesso.
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Peter, spesso in combutta con Bobby, ci ha sempre abituato e deliziato col genere più demenziale che ci sia, nel senso migliore e rispettoso del termine, dando in ogni film una situazione quasi estrema di commedia con battute forti, esilaranti e al limite del trash, senza mai toccare o avvicinarsi al volgare, dimostrando insieme al fratello di avere uno step ahead rispetto agli altri registi sui generis. In Green Book Farrelly compie un gigante passo verso la celebrità ed il mito, aiutato da una coppia d’assi in stato di grazia, portandoci a fare una passeggiata in Cadillac DeVille nel profondo Sud americano attorno agli albori dei mitici sixties, quando Dylan cantava la protesta e si ballava la furia di Elvis ma dove il razzismo e la segregazione dominavano un po' ovunque!! Passare da “Scemo e più scemo” ai Golden Globes e la notte degli Oscar il passo è estremo, ma tant’è!! Certo, forse uno “scomodo passato” è la causa dell’assenza al Dolby Theatre della nomination più ambita (la regia) ma fa lo stesso. La storia – vera – tra un buttafuori italo americano dai modi bruschi e violenti e un raffinato pianista afroamericano lascia al telespettatore un senso di grande bellezza nonostante, sulla carta, i temi e gli standard siano canonici nel movie business e nella Hollywood di oggi. Il tutto grazie a Viggo Mortensen e Mahershala Ali, probabilmente il meglio a cui il director potesse attingere oggi. I due, nella trama distanti anni luce per cultura, stile di vita e formazione sociale, formeranno minuto dopo minuto un’accoppiata talmente vicina e indissolubile da lasciare chi guarda col terrore nel momento della “separazione”!! Green Book (realmente una guida per afroamericani di metà secolo scorso) è un film meraviglioso che ci porta nella piena ipocrisia dell’America “bene” di quegli anni, dove il genio di colore veniva visto come un fenomeno da baraccone da esibire ed invitare nei salotti vip, in ambasciate o stanze dei bottoni, ma che a fine performance non poteva nemmeno accomodarsi a mangiare al ristorante e utilizzare un bagno “comune”. Lo stesso Tony di Mortensen esordisce buttando due bicchieri da cui hanno bevuto due operai “neri” a casa sua. I due complementeranno i propri pregi e difetti diventando l’uno più aggraziato, umano e marito dalla scrittura fine, l’altro aprendo il suo mondo a parte (distante dai razzisti bianchi e dai “negri” da strada) a un più comune stile di vita cedendosi in maniera totale all’affetto maccheronico del suo inseparabile partner!!
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daniela montanari
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domenica 10 febbraio 2019
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green book. e l'amicizia che colore ha?
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Molto versatili la trama e la fotografia, Green Book può essere guardato come una spassosa commedia americana ma anche come un film commuovente, senza dover necessariamente passare attraverso i veli di tristezza e malinconia.
Una New York dei primi anni '60 che ha voglia di divertimento, di libertà, di allontanarsi sempre più dalle disparità sociali, dai sobborghi poverissimi, dalla malavita. Un buttafuori di un famoso locale notturno, Tony Vallelonga detto Tony Lip, e Donald Shirley, un virtuoso pianista di colore, hanno un necessario bisogno di intraprendere assieme la tournée. Il pianista damerino nero, perchè non può circolare liberamente in tutti gli Stati Uniti e, anzi, gli è ancora vietato presenziare nei locali in giorni ed orari al di fuori delle sue esibizioni; il buttafuori italo-americano perchè è rimasto temporaneamente senza lavoro, ed ha impegnato già ogni oggetto di valore, non ultimo il proprio orologio, per il mantenimento della famiglia.
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Molto versatili la trama e la fotografia, Green Book può essere guardato come una spassosa commedia americana ma anche come un film commuovente, senza dover necessariamente passare attraverso i veli di tristezza e malinconia.
Una New York dei primi anni '60 che ha voglia di divertimento, di libertà, di allontanarsi sempre più dalle disparità sociali, dai sobborghi poverissimi, dalla malavita. Un buttafuori di un famoso locale notturno, Tony Vallelonga detto Tony Lip, e Donald Shirley, un virtuoso pianista di colore, hanno un necessario bisogno di intraprendere assieme la tournée. Il pianista damerino nero, perchè non può circolare liberamente in tutti gli Stati Uniti e, anzi, gli è ancora vietato presenziare nei locali in giorni ed orari al di fuori delle sue esibizioni; il buttafuori italo-americano perchè è rimasto temporaneamente senza lavoro, ed ha impegnato già ogni oggetto di valore, non ultimo il proprio orologio, per il mantenimento della famiglia. Durante questo viaggio attraverso molti stati americani, gli spettacoli che registrano il tutto esaurito, la solitudine che si fa largo in quell'attimo che esiste tra gli applausi e il momento di silenzio in cui tutto, annegato dall'alcol, perde colore fino a scomparire, i due uomini così distanti (Vigo Mortesen e Mahershala Ali) eppure così simili, cercano un modo per intrattenere lo spettatore: e lo trovano. Le loro vite non prive di scheletri nell'armadio, la loro forza e determinazione nel caso del pianista di colore in un mondo troppo conservatore, e un passato vissuto in strada per il buttafuori che si ritrova autista di un importante altolocato musicista, sorprendono a più riprese. L'amicizia che a poco a poco li lega, trapela attraverso il grande schermo emozionando a più riprese, seppure tra ovvi luoghi comuni un poco logori.
Il regista che ci ha fatto divertire con "Tutti pazzi per Mery", è maturato e merita il trionfo al festival di Toronto. Per gli Oscar, vedremo: noi siamo pronti a fare il tifo.
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domenica 10 febbraio 2019
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italiani gran mangioni
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Gent.ma Paola Casella, ho visto il film ieri sera e sulla scia di una osservazione mossa da un amico che era con me, ossia sul modo "smodato" con cui Tony Lip mangiava, io ho esteso piuttosto la mia osservazione alle tante sequenze in cui veniva ripresa questa famiglia di origine italiana mentre mangiava. Ogni volta che la vedevamo riunita, stavano mangiando. In una delle scene iniziali quando Tony e la moglie sono soli in cucina, lui é davanti ad un piatto di spaghetti. Quando Tony Lip entra in casa dopo il lungo ed estenuante viaggio, la domanda della moglie é stata se aveva fame, prima ancora di chiedergli se fosse stanco, se avesse voglia di farsi una doccia. Questo continuo puntare sul cibo, ha ridicolizzato la figura dell'italo americano, come per dire che se anche nascono in USA resteranno sempre italiani di bassa estrazione buoni a mangiare e basta.
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Gent.ma Paola Casella, ho visto il film ieri sera e sulla scia di una osservazione mossa da un amico che era con me, ossia sul modo "smodato" con cui Tony Lip mangiava, io ho esteso piuttosto la mia osservazione alle tante sequenze in cui veniva ripresa questa famiglia di origine italiana mentre mangiava. Ogni volta che la vedevamo riunita, stavano mangiando. In una delle scene iniziali quando Tony e la moglie sono soli in cucina, lui é davanti ad un piatto di spaghetti. Quando Tony Lip entra in casa dopo il lungo ed estenuante viaggio, la domanda della moglie é stata se aveva fame, prima ancora di chiedergli se fosse stanco, se avesse voglia di farsi una doccia. Questo continuo puntare sul cibo, ha ridicolizzato la figura dell'italo americano, come per dire che se anche nascono in USA resteranno sempre italiani di bassa estrazione buoni a mangiare e basta. E oltre a questo era anche una famiglia vicina alla malavita. Peggio di così. Noi italiani ne usciamo con le ossa ben rotte. Il regista non ha avuto pietà di noi, intendo degli italo americani. Campioni di ignoranza, buoni solo a mangiare e a delinquere. Alla fine il film é generoso col il nero che gli dà modo di riscattarsi ma all'interno di una famiglia che nel disegno del regista rimarrà tratteggiata come "diversa". Mi chiamo Emanuela e la ringrazio per l'attenzione.
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zarar
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domenica 10 febbraio 2019
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un'occasione mancata
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Diretto da Peter Farrelly e sceneggiato da Nick Vallelonga e Brian Hayes Currie, il film racconta il razzismo perdurante negli stati del Sud nell’America dei primi anni ’60 attraverso personaggi effettivamente esistiti.
Si tratta del pianista classico e jazz afroamericano Don Shirley e di Tony Vallelonga, buttafuori italo-americano di un locale di New York reclutato da Shirley come autista e bodyguard in occasione di un suo tour in vari stati del Sud. Si presumeva che Tony fosse in grado di assicurare un tranquillo svolgimento del viaggio proteggendo eventualmente Shirley da difficoltà, ostilità o aggressioni in un contesto ancora apertamente razzista.
Nel film come nella realtà i due sono agli antipodi per stile, cultura, visione del mondo, ma l’aspetto intrigante è che – contrariamente alle aspettative – è l’afroamericano il liberal raffinato ed elegante, mentre il bianco è un lower class incolto e rozzo, oltre che razzista lui stesso.
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Diretto da Peter Farrelly e sceneggiato da Nick Vallelonga e Brian Hayes Currie, il film racconta il razzismo perdurante negli stati del Sud nell’America dei primi anni ’60 attraverso personaggi effettivamente esistiti.
Si tratta del pianista classico e jazz afroamericano Don Shirley e di Tony Vallelonga, buttafuori italo-americano di un locale di New York reclutato da Shirley come autista e bodyguard in occasione di un suo tour in vari stati del Sud. Si presumeva che Tony fosse in grado di assicurare un tranquillo svolgimento del viaggio proteggendo eventualmente Shirley da difficoltà, ostilità o aggressioni in un contesto ancora apertamente razzista.
Nel film come nella realtà i due sono agli antipodi per stile, cultura, visione del mondo, ma l’aspetto intrigante è che – contrariamente alle aspettative – è l’afroamericano il liberal raffinato ed elegante, mentre il bianco è un lower class incolto e rozzo, oltre che razzista lui stesso. Lo spunto promette bene, ma il film – che Shirley autorizzò, purché si girasse solo dopo la sua morte – delude. Detto in poche parole, un contenuto forte e interessante viene cellofanato in un involucro da commediola brillante anni ’60, perdendo incisività e vis drammatica. I due personaggi principali sono più pittoreschi che realistici, troppo inamidato Shirley, ipercaratterizzato italoamericano del Bronx Vallelonga. L’ipotizzato sviluppo della loro amicizia lungo il viaggio (peraltro smentita nella realtà dal fratello di Shirley) procede per passi improbabili da uno stereotipo all’altro. Shirley con un’aria da saggio confuciano distribuisce amara ironia, perle di saggezza e consigli di stile, Vallelonga si lecca le dita del pollo del Kentucky, pronto a sfoderare i pugni o la pistola da una parte, un cuore tenero dall’altra. Il gioco netto dei richiami (Nord gelido ma buono/Sud caldo e cattivo) produce cartoline ad effetto come quelle dei poliziotti buoni/poliziotti cattivi, e una serie di episodi fortemente tipizzati, nello stile aneddoto dopo aneddoto, sottolinea gli aspetti più brutali ed umilianti di un razzismo diffuso, il disagio di un uomo che si sente emarginato sia dai bianchi, sia dai neri. Ma il tono è troppo dichiarativo e didascalico, il dramma viene stemperato con il comico piuttosto che con ironia o finezza di sfumature, è raro qualche affondo più in profondità (la bella scena dell’esibizione di Shirley nel locale per neri, quando l’espatriato da due mondi ritrova una sintonia con i suoi). Una confezione accurata molto americana rende comunque il film accettabile.
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alexlaby
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sabato 9 febbraio 2019
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bello
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Finalmente un bel film dopo tentativi andati a vuoto vedendo tutti i film più gettonati di dicembre e gennaio.
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alesimoni
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sabato 9 febbraio 2019
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fantastico viggo
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Bel film, ben scritto e ben recitato. Una storia interessante e istruttiva, che ricorda dove eravamo sul tema razziale e che bisogna sempre tenere alta la guardia. Film buonista e politicamente corretto per fare incetta di Oscar?Forse sì, ma fa ridere (e tanto) su temi molto complessi, e non è che sia così scontato saperlo fare.Complimenti a Farrelly quindi è ai due sensazionali attori, anche se Viggo ci ha regalato una interpretazione straordinaria, interpretando un rozzo,grasso e buon personaggio che speriamo gli valga un meritato Oscar. Peccato per il solito stereotipo della famiglia mafiosa italiana e soprattutto per l’insentibile e caricaturale doppiaggio italiano.
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lorifu
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sabato 9 febbraio 2019
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al di là del pregiudizio c'è l'uomo
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Green book candidato a cinque Oscar é un bel film in cui spicca la performance di Viggo Mortenssen che è riuscito a calarsi nei panni di Tony Vallelonga, un buttafuori del bronx di origini italiane, aderendo perfettamente al personaggio realmente esistito negli anni ‘60.
Il film é ispirato a una storia vera e affronta il tema del razzismo, negli anni dell’apartheid americano.
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Green book candidato a cinque Oscar é un bel film in cui spicca la performance di Viggo Mortenssen che è riuscito a calarsi nei panni di Tony Vallelonga, un buttafuori del bronx di origini italiane, aderendo perfettamente al personaggio realmente esistito negli anni ‘60.
Il film é ispirato a una storia vera e affronta il tema del razzismo, negli anni dell’apartheid americano.
Chi ha visto “Quasi amici”, troverà molte analogie a parti invertite con i due protagonisti, uno di colore, raffinato, colto musicista che ha deciso di percorrere il sud dell’America di quegli anni per una serie di concerti, sperando di vedere ribaltati stereotipi e pregiudizi e l’altro, americano di origini italiane, rozzo, incolto, sempre in bilico tra legalità e illegalità, ma dotato di un grande cuore e umanità. Dovrà accompagnare il dott. Donald Shirley, facendogli da autista lungo le highways americane per raggiungere i luoghi dei concerti dove dovrà esibirsi come pianista col suo trio.
Non sarà un percorso facile anche perché quel Green book, con tutte le indicazioni dei luoghi sì e quelli inibiti a uomini di colore diventerà il luogo non solo fisico ma soprattutto mentale dove esploderanno tutte le contraddizioni, i conflitti sociali, meschinità, ingiustizie che indurranno entrambi a cercare nella solidarietà il superamento dei propri limiti. Sarà un viaggio dentro l’anima che alla fine li troverà cambiati.
Sceneggiatura e regia sono da Oscar in questo viaggio on the road che colpisce per la leggerezza e l’ironia che stempera i toni cupi del tema trattato.
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debora
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giovedì 7 febbraio 2019
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un capolavoro
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Da vedere assolutamente!! Non solo ti mette di fronte alla realtà che ancora oggi viviamo, ti fa capire bene che la realtà è quella che ognuno vive e non quella che gli altri ci cuciono addosso! Bellissimo
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vanessa zarastro
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mercoledì 6 febbraio 2019
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the roaring sixties
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Se non sapessi che “Green Book” è tratto da una storia vera, lo considererei un feel-good-movie. Sembra, però, che la famiglia Shirley abbia sostenuto che la storia dell’amicizia tra Tony (Viggo Mortensen) e Doc (Mahershala Ali) sia tutta un’invenzione, definendola addirittura “una sinfonia di menzogne”.
Doc Shirley dunque, è realmente vissuto ed è stato un bravissimo pianista talentuoso che aveva studiato al conservatorio di Leningrado (oggi San Pietroburgo) e che, pur avendo un repertorio di musica classica - esattamente come Nina Simone -, ha dovuto ripiegare su un genere più popolare perché negli Stati Uniti dell’Epoca non c'era spazio per concertisti neri.
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Se non sapessi che “Green Book” è tratto da una storia vera, lo considererei un feel-good-movie. Sembra, però, che la famiglia Shirley abbia sostenuto che la storia dell’amicizia tra Tony (Viggo Mortensen) e Doc (Mahershala Ali) sia tutta un’invenzione, definendola addirittura “una sinfonia di menzogne”.
Doc Shirley dunque, è realmente vissuto ed è stato un bravissimo pianista talentuoso che aveva studiato al conservatorio di Leningrado (oggi San Pietroburgo) e che, pur avendo un repertorio di musica classica - esattamente come Nina Simone -, ha dovuto ripiegare su un genere più popolare perché negli Stati Uniti dell’Epoca non c'era spazio per concertisti neri.
Ma vediamo qual è la storia. Siamo a Manhattan nel 1962. Tony Vallelonga detto “Tony Lip” è un buttafuori del locale newyorkese Copacabana, ma avendo perso il posto dopo dodici anni, cerca lavoro. Gli viene offerto un posto di autista per un famoso pianista nero. Tony è un ragazzo semplice, un uomo un po’ rozzo che viene dal quartiere italo-americano del Bronx, è pieno di pregiudizi per sentito dire, compresa un’avversione nei confronti dei neri. Ma la carenza di prospettive alternative e il salario allettante ($125 alla settimana) farà sì che Tony diventi l’improbabile chauffeur di Doc (e anche la sua guardia del corpo) nella tournée del Don Shirley trio: unpianoforte (solo Steinway però…) accompagnato da un violoncello e un contrabbasso, suonati da musicisti russi.
Tony accetterà, quindi, l’offerta e partirà per due mesi intournée. Passeranno dalla Pennsylvania attraversando l’Ohio, l’Indiana e il Kentucky giù per il Tennesse fino al profondo Sud nel Mississippi e Alabama. Sarà un continuo e divertente scambio di battute tra i due; il tanto rozzo e ignorante il bianco, quanto intellettuale e apparentemente snob, il nero, finiranno per incontrarsi a metà strada. Doc insegnerà ad avere un po’ grazia a Tony e lo aiuterà anche a scrivere le lettere alla moglie, mentre Tony favorirà l’impalato Doc a sciogliersi un po’ e ad amare le piccole cose, come ad esempio mangiare un autentico Kentucky Fried Chicken con le mani buttando le ossa rosicchiate fuori dal finestrino dell’automobile. (Cadillac…)
E cos’è il Green Book? Il Negro Motorist Green Book è una guida turistica degli anni ’60 con le informazioni di tutti gli alberghi (i ristoranti, stazioni di servizio ecc.) dove possono soggiornare i neri senza rischiare rappresaglie da parte dei bianchi.
Nonostante il film sia così appagante e nonostante molte scene siano piuttosto prevedibili – gli americani lo chiamano un crowd pleaser - il film è godibilissimo. Ha un bel ritmo, alterna scene tristi con scene con allegre e presenta ottime ricostruzioni d’epoca. La recitazione dei due protagonisti è veramente strepitosa: Mahershala Ali ha preso lezioni di pianoforte per meglio interpretare Doc, mentre Viggo Mortensen, per prepararsi in modo minuzioso a interpretare la parte di Tony, è ingrassato di 15 chili e ha trascorso diversi giorni con la famiglia Vallelonga finendo per immedesimarsi nel loro modo italo-americano di gesticolare e di parlare. Consiglio tutti pertanto di vedere il film in versione originale per apprezzarne la recitazione. Ma soprattutto il film ha una splendida colonna musicale che alterna i brani classico-popolari suonati da Donald Walbridge Shirley, con quelli che accompagnano tutto il viaggio cross country dei due protagonisti: The Blackwells, Roosevelt Nettles, Steve Gray, Aretha Franklin e così via.
Molti cineasti probabilmente parlano di quegli anni per non affrontare quelli di oggi che presentano un’incredibile involuzione. “Green Book”, infatti, fa parte di quella serie di film - come “Il diritto di contare” (forse non a caso Olivia Spenser è tra i produttori) di Theodore Melfi del 2016, “The Help” di Tate Taylor del 2011, o anche “I Lovings” di Jeff Nichols del 2016 - che ripercorrono gli anni ’60 statunitensi mostrandone il razzismo, incomprensibile e irrazionale. È inspiegabile che un pianista nero intrattenga 400 persone con la musica vada bene, ma non che mangi nello stesso ristorante degli spettatori, oppure che possa stringere le mani delle persone più importanti dopo aver suonato, ma non possa usare la loro stessa toilette e sia costretto ad andare in un cessetto fuori vicino a un pino. La tournée si interromperà in Alabama proprio a Birmingham, dove Nat King Cole pochi anni prima fu aggredito e picchiato sul palco. E sarà proprio lì che la solitudine di Doc ben intuita da Tony troverà uno sfogo in un monologo toccante: «Sì, io vivo in un castello e sono colto, e i ricchi bianchi pagano per sentirmi suonare e sentirsi colti. Ma appena scendo dal palco torno a essere soltanto un altro negro, perché è questa la loro vera cultura. E soffro da solo perché la gente non mi accetta, perché non sono come loro, perché sono più in alto di loro. E soffro da solo perchè la mia gente non mi accoglie perché non sono nemmeno come loro. E quindi cosa sono io? Sono bianco o sono nero? Sono un uomo o che cosa?» così esclama Shirley fra le lacrime e sotto una fitta pioggia.
Vari sono i film in cui duettano due rivali che diventano amici alla fine, basti citare “A spasso con Daisy” di Bruce Beresford di trent’anni fa, con Jessica Tendy e Morgan Freeman - e “Quasi amici” di Oliver Nakache del 2011, con François Cluzet e Omar Sky – tanto per citarne due e “Green Book” si inserisce, quindi, a pieno titolo in questo genere. Peter Farrelly si era già inventato un filone di commedia demenziale - insieme al fratello Bobby - come ad esempio “Scemo & più scemo” del 1994, “Tutti pazzi per Mary” del 1998 o anche “Amore a prima svista” del 2001,mostra in questa ultima regia di cimentarsi piuttosto bene in una commedia drammatica.
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