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inesperto
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venerdì 1 febbraio 2019
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minoranze combattenti
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Un italoamericano, che sbarca il lunario come buttafuori in locali vagamente legati alla mala, razzista più per pigrizia che per convinzione, accetta di lavorare come autista ed assistente per un colto e raffinato musicista di colore, il quale decide di andare in tour negli stati del profondo sud statunitense. Sfida molto impegnativa per entrambi. Il loro rapporto comincia con una certa diffidenza, ma col tempo si afferma un legame di forte amicizia. L'italiano, di lessico rozzo e gesta grossolane, mostra una genuinità ed un altruismo che colpiscono a fondo l'afroamericano, il quale, a sua volta, con la sua educazione e la sua musica, ispira nel collaboratore innata stima e rispetto, quasi riverenza.
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Un italoamericano, che sbarca il lunario come buttafuori in locali vagamente legati alla mala, razzista più per pigrizia che per convinzione, accetta di lavorare come autista ed assistente per un colto e raffinato musicista di colore, il quale decide di andare in tour negli stati del profondo sud statunitense. Sfida molto impegnativa per entrambi. Il loro rapporto comincia con una certa diffidenza, ma col tempo si afferma un legame di forte amicizia. L'italiano, di lessico rozzo e gesta grossolane, mostra una genuinità ed un altruismo che colpiscono a fondo l'afroamericano, il quale, a sua volta, con la sua educazione e la sua musica, ispira nel collaboratore innata stima e rispetto, quasi riverenza. Essi si trovano a dover affrontare difficoltà materiali e culturali; ciascuno, con la propria forza, colma la debolezza dell'altro. In questo viaggio insieme, trovano qualcosa d'immensamente più importante di uno stipendio o di un pubblico: scoprono la parte migliore di loro stessi. Viggo Mortensen è in stato di grazia e Mahershala Ali ha una classe esagerata. Due meravigliosi attori per uno splendido film.
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cinefoglio
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venerdì 1 febbraio 2019
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istantanea di green book
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La pellicola tratta il racconto di due uomini, tanto opposti nei modi e nel retaggio quanto legati da una forte attrazione magnetica, tra le strade del profondo sud, in un’amicizia che ben presto si evolverà in famiglia.
Peter Farrelly ci trascina in un road-movie piacevolissimo da seguire (il cui titolo rimanda alla famosa guida nel country side con le tappe esclusive per i colored) in una attenta ricostruzione degli anni 60, dalla nevosa New York, all’agricola ed intransigente Birmingham dell’Alabama.
Proprio sulle cornici delle differenze, della segregazione, della discriminazione e delle minoranze, si articola la vicenda dei due protagonisti.
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La pellicola tratta il racconto di due uomini, tanto opposti nei modi e nel retaggio quanto legati da una forte attrazione magnetica, tra le strade del profondo sud, in un’amicizia che ben presto si evolverà in famiglia.
Peter Farrelly ci trascina in un road-movie piacevolissimo da seguire (il cui titolo rimanda alla famosa guida nel country side con le tappe esclusive per i colored) in una attenta ricostruzione degli anni 60, dalla nevosa New York, all’agricola ed intransigente Birmingham dell’Alabama.
Proprio sulle cornici delle differenze, della segregazione, della discriminazione e delle minoranze, si articola la vicenda dei due protagonisti.
Il tema trasversale dell’emarginazione, che sia nera o italiana, per classe o ceto, e degli stereotipi è presente, ma senza la pretesa di sconfinare in collante unico della pellicola, o di estrema rivendicazione sociale rimanendo lì, dichiaratamente in background.
A questo punto, un incontro dettato dal fato, o forse dalla fama (che sempre precede gli eroi-protagonisti), mette faccia a faccia Tony Lip, nato Villanova, di Viggo Mortensen, abile bugiardo e raggiratore, ma in grado di calzare perfettamente il ruolo dell’uomo devoto alla famiglia con il misterioso dottore Shirley, noto pianista, di Mahershala Ali, artista unico e contraddittorio poiché posizionato in una zona di confine per l’interpretazione.
Nel contratto di lavoro tra Tony e Shirley comincia il viaggio a tappe forzate, ricordando un Quasi Amici (2011) ma in stile on the road, carico di empatia, conoscenza e supporto tra i due, che gradualmente si trasformerà in una profonda amicizia, tutta descritta, a più richiami, in quei particolari comuni o apparentemente insignificanti di fast food, gemme, leggende metropolitane, drink, celle, lettere e discorsi sulla vita.
Momenti più intensi, invece, hanno la portata di rendere la storia vera, concludente e verosimile, nei quali tutta la bravura (e qui ce n’è tanta) dei due attori può esprimersi senza freni (anche se proprio nell’irrigidimento morale si trova il sublime delle performance), la quale marca uno sviluppo di crescita (sicuramente non banale o convenzionale), che a volte si adagia su dei cliché, altre volte regala svolte inaspettate.
La musica, che per esigenze di personaggio (e di pit stop), risulta essere uno degli elementi principali, rimane giusta e ponderata, con la costante dicotomia del registro classico proprio degli Steinway & Sons, e dell’autoradio dell’ultima vettura sul mercato, a suggerire la moda del tempo.
Una pellicola divertente, comica nell’ironia e satira nei gesti, che sa intrattenere, coinvolgere e strappare risate genuine, con due interpretazioni convincenti che danno forma ad una storia vera, umana e profonda.
31/01/2019
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fabio
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giovedì 31 gennaio 2019
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commedia che fa sorridere e riflettere
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La storia non è particolarmente originale ma non importa. È un film "on the road" attraverso gli stati del sud, i pregiudizi ed il razzismo.
È la storia vera di una bella amicizia nata tra due uomini totalmente diversi.
Ottimi gli attori specialmente Mortensen. Non è un film musicale anche se la musica che si ascolta è interessante e funzionale al film.
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carlosantoni
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giovedì 31 gennaio 2019
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tra razzismo e conflitto sociale, scherzandoci su.
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Mi è piaciuto e ne consiglio senz’altro la visione… anche se a mio parere non merita quel clamoroso 4,17 di preferenze su 5 che oggi gli viene accreditato! È un film costruito bene e altrettanto bene è recitato, soprattutto dall’eccellente Mortensen. Un po’ troppo sopra le righe, direi, il modo assolutamente snob, per non dire principesco, in cui è descritto e interpretato il personaggio di Donald Shirley.
A caldo ho pensato che se avessi dovuto paragonarlo a un film precedente (mia moglie aveva suggerito “Quasi amici”) lo avrei paragonato ad un film di successo di appena un anno fa: “Tre manifesti, Ebbing, Missouri”.
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Mi è piaciuto e ne consiglio senz’altro la visione… anche se a mio parere non merita quel clamoroso 4,17 di preferenze su 5 che oggi gli viene accreditato! È un film costruito bene e altrettanto bene è recitato, soprattutto dall’eccellente Mortensen. Un po’ troppo sopra le righe, direi, il modo assolutamente snob, per non dire principesco, in cui è descritto e interpretato il personaggio di Donald Shirley.
A caldo ho pensato che se avessi dovuto paragonarlo a un film precedente (mia moglie aveva suggerito “Quasi amici”) lo avrei paragonato ad un film di successo di appena un anno fa: “Tre manifesti, Ebbing, Missouri”. Non perché le sceneggiature dei due film abbiano granché in comune, ma per la natura dei temi trattati e, soprattutto, per la modalità di raccontarli, comune a entrambi, e cioè la commedia. In entrambi i film si parla di gravi, quando non gravissimi, problemi sociali e familiari, ma lo si fa senza mai abbandonare il sapore della commedia. Entrambi i film affrontano i temi di una società americana che, al di là delle descrizioni di regime alla Spielberg, continua ad essere profondamente antidemocratica, anzi decisamente razzista e abbrutita, flagellata dalla povertà e dalla diseguaglianza sociale. Quella che con eufemismo viene da sempre definita “America profonda”, soprattutto gli Stati del Midwest e del Sud, è un’America semplicemente retrograda, oscurantista, fascistoide, razzista, violenta, decisamente ingiusta, e il film ne mette bene in mostra le caratteristiche. Ma lo fa con continui scatti d’ironia, un’ironia che non attenua la serietà degli assunti che stanno al fondo delle due storie, ma anzi direi che, per contrappasso, li esaltano.
In entrambi i film, come dicevo, si parla di razzismo, e di degrado sociale (oltre a un rapido ma non casuale accenno all’omofobia). “Green Book” ha, rispetto all’altro film citato il merito di mettere a confronto, e in competizione, due forme di conflitto così presenti anche oggi nel panorama americano, e ormai apertamente anche nel nostro: il conflitto etnico e il conflitto di classe. Qui, la trovata paradossale e luminosa è che il ricco, il colto, il padrone, l’uomo di successo, è il “negro”, mentre il bianco è servo, rozzo, incolto, sottoproletario. Quale delle due contraddizioni confliggenti è principale? Il film – saggiamente direi – non ce lo dice, mentre ci suggerisce che, comunque sia, entrambi i conflitti descrivono una democrazia che non è tale, una legalità che non è tale, soprattutto una giustizia che non è tale. Il pregio della sceneggiatura è porre le due questioni, quella della discriminazione razziale e quella di classe, in rapporto dialettico, cosicché il bianco sottoproletario e razzista finisce strada facendo per comprendere, per sentire, che il suo padrone “negro” è un uomo come lui, anzi spesso più debole di lui; e il padrone nero, colto e poliglotta, musicista affermatissimo, capisce che nella società in cui vive non c’è solo conflitto etnico, come sempre aveva pensato, ma vero e proprio conflitto di classe: tanto che a volte i termini sono così confusi da impedire una descrizione univoca della gerarchia sociale. Protagonista e coprotagonista finiranno per conoscersi davvero, per volersi bene, e per superare le rispettive originarie barriere culturali.
Lo Happy End in classico clima prenatalizio è un auspicio, credo, che può apparire un po’ troppo dolciastro, ma in fondo non dimentichiamoci che si trattava di una commedia!
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taty23
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giovedì 24 gennaio 2019
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amicizia, confronto e ritrovare sè stessi
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l film “Green Book” e il racconto della storia di Tony “Lip” Vallelonga.
Siamo agli inizi degli anni 60, Tony Lip(Viggo Mortensen), soprannome datogli perché riesce a far fare alla gente quello che vuole, fa il buttafuori al Copacabana, uno dei posti più in voga nella New York di quel periodo.
Quando il locale chiude per dei lavori di ristrutturazione, Tony dovrà trovare un impiego alternativo per provvedere alla famiglia.
Verrà ingaggiato come autista dal pianista “Doc” Don Shirley(Mahershala Ali) che dovrà accompagnare in una tournée di concerti nel sud degli Stati Uniti.
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l film “Green Book” e il racconto della storia di Tony “Lip” Vallelonga.
Siamo agli inizi degli anni 60, Tony Lip(Viggo Mortensen), soprannome datogli perché riesce a far fare alla gente quello che vuole, fa il buttafuori al Copacabana, uno dei posti più in voga nella New York di quel periodo.
Quando il locale chiude per dei lavori di ristrutturazione, Tony dovrà trovare un impiego alternativo per provvedere alla famiglia.
Verrà ingaggiato come autista dal pianista “Doc” Don Shirley(Mahershala Ali) che dovrà accompagnare in una tournée di concerti nel sud degli Stati Uniti.
Dopo i primi scontri e qualche incomprensione, tra i due si svilupperà una forte amicizia e un grande rispetto.
Guida di viaggio
Tratto da una storia vera, il film “Green Book” porta sullo schermo una comedy drama che affronta la tematica interrazziale, attraverso lo sguardo di due personaggi agli antipodi.
Non è la prima volta che il cinema utilizza il viaggio come chiave di lettura. In “Green Book” il viaggio viene utilizzato come espediente narrativo per raccontare un percorso interiore, che i due protagonisti intraprendono. Un continuo confronto con pregiudizi personali e situazioni al di fuori della loro confort zone.
Emblematico è il nome della guida, che dà il titolo al film, un elenco di hotel dove vengono accettate le persone di colore come Don Shirley.
Viggo Mortensen è a suo agio nel ruolo del protagonista; un italo americano di bassa estrazione sociale a tratti goffo, irriverente, leggermente stereotipato, ma con un forte senso della famiglia e fedele ai suoi ideali.
Invece Mahershala Ali fa suo il personaggio di Doc e lo caratterizza, cucendosi addosso l’immagine del pianista virtuoso, che vive in una prigione personale, fatta di solitudine e bisogno di accettazione e rimanendo in balia tra due mondi.
Da citare l’interpretazione di Linda Cardellini nel ruolo della moglie di Tony, un personaggio dolce, ma nello stesso tempo forte e deciso.
Alla regia di “Green book” troviamo Peter Farrelly. Alla sua prima prova in un film di questo tipo, confeziona un prodotto che va oltre il fattore della razza, del colore e dei preconcetti.
La struttura narrativa funziona per la gran parte del tempo, bilanciando scene emotivamente forti a scene più leggere ed emozionali.
Una pellicola con una forte connotazione americana che sottolinea un periodo storico pieno di conflitti interculturali.
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eugenio
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lunedì 21 gennaio 2019
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una sodale amicizia tra le strade d’america
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Non sbaglia un colpo l’ultimo film di Peter Farrelly. Commedia, dramma, attenzione alle tematiche discriminatorie, amicizia e un profondo senso di umiltà contraddistinguono Green book, tratto da una storia vera, grazie anche alla verve di una coppia consolidata dalla riuscita interpretazione.
La locandina ci mostra sin da subito due interpreti assai famosi: Viggo Mortensen (nel film Tony Vallelonga), pesantemente ingrassato alla guida di una luccicante e sfavillante Cadillac con sguardo sprezzante alla James Dean e Mahershala Ali (Doc Shirley), impettito e imperturbabile come silente passeggero dietro, l’attore di Moonlight per intenderci.
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Non sbaglia un colpo l’ultimo film di Peter Farrelly. Commedia, dramma, attenzione alle tematiche discriminatorie, amicizia e un profondo senso di umiltà contraddistinguono Green book, tratto da una storia vera, grazie anche alla verve di una coppia consolidata dalla riuscita interpretazione.
La locandina ci mostra sin da subito due interpreti assai famosi: Viggo Mortensen (nel film Tony Vallelonga), pesantemente ingrassato alla guida di una luccicante e sfavillante Cadillac con sguardo sprezzante alla James Dean e Mahershala Ali (Doc Shirley), impettito e imperturbabile come silente passeggero dietro, l’attore di Moonlight per intenderci.
Nulla di strano. E allora che significa il titolo?
E’ necessario il contesto: l’italo americano Tony Vallelonga (detto Tony the lip ovvero Tony Labbro per via della sua innata capacità di dire “stupidaggini” per usare un eufemismo) lavora come buttafuori in un celebre night-club, il Capocabana che per lavori di ristrutturazione dovrà chiudere per due mesi. Dovendo sfamare la sua numerosa famiglia, accetta grazie al suo giro di conoscenze, l’incarico di autista di un pianista di grande talento (Doc Shirley), dai gusti elitari (la scena del trono nel ricco appartamento di New York è da antologia) durante la sua lunga tournee negli Stati Uniti.
L’iniziale empasse tra i due, profondamente e caratterialmente diversi, uno colto e educato oltre che raffinato (Doc), l’altro ignorante, dai modi spicci e rudi, oltre che impulsivi, si tramuterà, nel viaggio che diviene esperienza di profonda maturazione e cambiamento, una sodale quanto duratura amicizia.
Detta così la trama sembra facile facile, oltre ogni intento didascalico. In realtà Green book va oltre.
Le strade, le lunghe highways americane dove si svolge gran parte del film, sono quelle dell’inizio degli anni ’60, di quel mondo intollerante e ancora pesantemente razzista. E il Green book è la guida, assai indecente oggi, che per trent'anni segnalava alle persone di colore alberghi e ristoranti dove erano accettati, estrema forma di discriminazione autorizzata, spacciata per pubblicazione di cortesia, una lista di posti (qualcuno decente, molti sotto il livello della decenza) dove le persone considerate di levatura “nel mondo negro”, potevano trovarsi e ambientarsi.
E suona strano appunto in questo contesto vedere un bianco arrabbiato e annoiato davanti e un nero dietro nel macrocosmo di un’auto che è specchio dell’America d’allora, di occhi stupiti di automobilisti che si domandavano cosa ci facesse un nero elegante seduto e composto trasportato dietro come un pascià, che non nascondeva un tenore alto borghese ma che finiva per dormire nei “ripostigli” per converso, degli alberghi migliori dedicati al rozzo autista. Un mondo diametralmente spezzato dall’incomprensione, che distrugge ogni intento di integrazione e di cui il film indugia quasi per caso, in scene di spietata incomprensione: come al ristorante in cui viene negata al protagonista della serata la possibilità di mangiare con “i bianchi”, fino alle stesse con il popolo nero, quello di cui Doc condivide la pelle ma da cui è amaramente escluso.
Sì, perché malgrado le apparenze, il ricco è Tony. Spaccone ma dall’animo buono, prenderà posizioni contro le ingiustizie, salvando più di una volta il solitario Don, più dalla solitudine affettiva (ho un fratello, se vuole cercarmi, sa dove mi trovo) che cerca di annegare nelle frustrazioni dell’alcool, finendo da questo profondamente cambiato, persino nella poesia, nelle lettere scritte alla lontana amata moglie.
Così, per oltre due ore, viaggiamo insieme a Tony e Don per tutta l’America. Condividiamo con loro i gusti, la passione di Tony per le cosce di pollo del Kentucky Fried Chicken e la musica black, non condivisa assolutamente da Don, i dialoghi a fiume, quasi monologhi di Tony e il silenzio di Don, sullo sfondo di violenze di razza, espletate in fenomeni di inquietante costume.
Si vince facile in Green Book. Una commedia godibilissima che non nasconde momenti di tragedia sociale, che suscita polemiche oggi in un periodo di riscatto dei diritti umani durante il trumpismo. E, cosa rara, la retorica del “nero” che soccombe al “bianco”, o meglio del “nero” discriminato dal “bianco”, non è pesantemente esacerbata ma tratteggiata in tratti ironici mai privi della giusta intensità.
Si sor(ride), ci si indigna, ci si lamenta e perché no, qualche lacrimuccia alla fine scende. Per poi tramutarsi in sorriso.
Profumo di Oscar, capace di conquistare anche gli spiriti più arcigni.
Nelle sale dal 31 gennaio.
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luca_graziani
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domenica 13 gennaio 2019
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green book. la banalità del pregiudizio
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“Se non sono abbastanza nero, né abbastanza bianco, né abbastanza uomo, allora che cosa
sono?”
Proprio là dove sembra impossibile, nell’America retrograda dei primi anni '60, tra misoginia, omofobia e odio razziale, nasce un rapporto di amicizia, lealtà e rispetto reciproco che va al di là del colore della pelle, delle tendenze sessuali e dell’inflessione dialettale.
Ispirato da una storia vera, Green book è un film on the road che concilia gli opposti. Tony Lip (Viggo Mortenssen) è un buttafuori italoamericano del Bronx dagli atteggiamenti mafiosi che si guadagna da vivere per lui e per la famiglia grazie alla sua innata capacità di raccontare balle.
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“Se non sono abbastanza nero, né abbastanza bianco, né abbastanza uomo, allora che cosa
sono?”
Proprio là dove sembra impossibile, nell’America retrograda dei primi anni '60, tra misoginia, omofobia e odio razziale, nasce un rapporto di amicizia, lealtà e rispetto reciproco che va al di là del colore della pelle, delle tendenze sessuali e dell’inflessione dialettale.
Ispirato da una storia vera, Green book è un film on the road che concilia gli opposti. Tony Lip (Viggo Mortenssen) è un buttafuori italoamericano del Bronx dagli atteggiamenti mafiosi che si guadagna da vivere per lui e per la famiglia grazie alla sua innata capacità di raccontare balle. Riceve un’offerta di lavoro che mai avrebbe pensato di accettare: essere l’autista di un nero per una tournée nel profondo Sud. Don Shirley (Mahershala Ali) è un tormentato pianista di musica classica imprigionato in un cono d’ombra: la sua educazione è quella di un bianco aristocratico e nulla lo accomuna, al di là del colore della pelle, alla condizione degli afroamericani, confinati nell’ignoranza e nella povertà. Il rifiuto di un’etichetta, il suo essere né bianco né nero, e al contempo il bisogno di appartenere a una comunità che lo rappresenti come individuo, rivestono un ruolo fondamentale nella scelta di affrontare il viaggio. Sulla consapevolezza dei rischi e delle situazioni spiacevoli con cui si dovrà confrontare, prevale il desiderio di cambiare la mentalità delle persone. Ma è davvero necessario far parte di qualcosa per essere accettati?
Peter Farrelly, noto per le sue commedie demenziali, arriva dritto al punto con ironia sagace, grazie alla chimica travolgente che si crea tra Ali e Mortenssen. Quest’ultimo ancora una volta da prova di grande versatilità: Re esiliato nel Signore degli anelli, padre alternativo dai metodi educativi estremi in Capitan Fantastic e, questa volta, con grande naturalezza, tipico italoamericano del Bronx.
"Green book è una storia del passato ancora molto attuale - ha detto Viggo Mortensen sul palco della Festa del cinema di Roma - non dice al pubblico cosa pensare, non è un’imposizione, ma un invito a riflettere sulla banalità dei pregiudizi e delle prime impressioni".
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[+] '...vinci quando mantieni alta la tua dignità'
(di antonio montefalcone)
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giovedì 13 dicembre 2018
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grande! assolutamente da vedere in versione originale.
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Era dai tempi di Driving Miss Daisy che non appariva sul grande schermo una coppia in auto così sensazionale. Un film che fa ridere, piangere e pensare. Impeccabile regia, Viggo Mortensen al top Ho visto Green Book in versione originale sottotitolata in italiano e consiglio vivamente di fare lo stesso per non perdere quelle sfumature di caratteri italo americani del Bronx, impossibili da trasportare in un altra lingua. Il doppiaggio italiano è orrendo, godetevi la versione originale.
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gaiart
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domenica 28 ottobre 2018
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genius is not enough. it takes courage to change the people’s soul.
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Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici.
E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli spostamenti dei neri negli anni '60 in America, una lista di alberghi, motel, ristoranti e luoghi dove era loro consentito sostare, mangiare, in sostanza vivere, senza essere menati, insultati, cacciati, come invece succedeva spesso altrove.
Il film è sorprendente ed è fatto proprio con amore. Solleva tematiche politiche e sociali, quali la potenza della cultura, la solitudine dei geni, la solidarietà tra anime ed esseri umani anche con formazioni, background, colori e culture diverse, l'integrazione sociale e la dismississione di un inutie e sterile razzismo.
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Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici.
E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli spostamenti dei neri negli anni '60 in America, una lista di alberghi, motel, ristoranti e luoghi dove era loro consentito sostare, mangiare, in sostanza vivere, senza essere menati, insultati, cacciati, come invece succedeva spesso altrove.
Il film è sorprendente ed è fatto proprio con amore. Solleva tematiche politiche e sociali, quali la potenza della cultura, la solitudine dei geni, la solidarietà tra anime ed esseri umani anche con formazioni, background, colori e culture diverse, l'integrazione sociale e la dismississione di un inutie e sterile razzismo. Questa la parte seria profonda e utile del film.
Poi c'è tutta una parte divertentissima fatta da dialoghi ironici, colti, divertenti e sani in cui lo stereotipo del "little italy" newyorkese trova ancora più conforto e accoglienza in una proiezione romana, dove le leggere e perfette inflessioni in calabrese stretto di Viggo Mortensen, visibilmente appesantito per entrare meglio nel ruolo di "public relationer ", cioè buttafuori nei night, rendono la "famiggglia" italiana un Must della New York anni 50 e 60.
In realtà la storia è tratta da questo personaggio meraviglioso della New York anni 60, TonyLip Villalonga e la sua vita. Questo uomo che magna quintali di cibo con una voracità unica, spingendosi per vincere una scommessa a 26 hotdogs e, a suo discapito, dice: "mio padre mi ha insegnato quando fai una cosa falla con amore, se mangi mangia fino in fondo", sa conquistare tutti.
Infatti entrò a contatto con grandi nomi e star, rimanendo sempre se stesso, un uomo di umanità e forza bruta, dolcezza e carisma, atteggiamenti medioevali e bruschi, ma con un grande cuore e intelligenza.
Il film, presenatto già a Toronto, è forse il più bello passato finora alla festa del cinema e auguro che vinca il plauso del pubblico, cosa che di sicuro non succederà.
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