fabal
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venerdì 27 agosto 2021
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o la follia o la realtà
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Sono trascorsi ormai sette anni da quando Lizzie ha perso la figlia secondogenita: da allora vive in una profonda depressione che compromette il rapporto con il marito e con Thomas, l'altro figlio. L'incontro con Lola, sorellina di sette anni di un amico di Thomas, cambia drasticamente la sua vita: Lizzie sviluppa per la bambina un attaccamento materno ossessivo che sconvolge le sue abitudini. Pur di stare a contatto con Lola, Lizzie perde il lavoro, si intrufola in casa della famiglia e rischia un provvedimento restrittivo. Si tratta di una proiezione malata, frutto della follia di una donna incapace di rassegnarsi alla perdita, o c'è dell'altro?
Parte bene il film di Kim Farrant, senza pretese eccessive, puntando dichiaratamente sull'abilità di una Rapace ancora una volta cupa e tormentata.
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Sono trascorsi ormai sette anni da quando Lizzie ha perso la figlia secondogenita: da allora vive in una profonda depressione che compromette il rapporto con il marito e con Thomas, l'altro figlio. L'incontro con Lola, sorellina di sette anni di un amico di Thomas, cambia drasticamente la sua vita: Lizzie sviluppa per la bambina un attaccamento materno ossessivo che sconvolge le sue abitudini. Pur di stare a contatto con Lola, Lizzie perde il lavoro, si intrufola in casa della famiglia e rischia un provvedimento restrittivo. Si tratta di una proiezione malata, frutto della follia di una donna incapace di rassegnarsi alla perdita, o c'è dell'altro?
Parte bene il film di Kim Farrant, senza pretese eccessive, puntando dichiaratamente sull'abilità di una Rapace ancora una volta cupa e tormentata. L'impressione di trovarsi di fronte all'ennesimo thriller psicologico fra tanti, poco originale, non ne sminuisce il piglio tutto sommato intrigante. La forza espressiva di Lizzie (strascichi di Lisbeth Salander?) è in grado di sorreggere una storia che rivela la sua debolezza solo nel prevedibile finale. Prevedibile perché la trama, strutturata in tal modo, non può che sfociare in un aut aut narrativo, in cui alla fine non vi può essere che la follia o la realtà. Privato, così, della possibilità di un vero colpo di scena, Angel of Mine perde anche gran parte del suo mordente iniziale, lasciando però inalterata la bella e disperata interpretazione della Rapace. Il resto dei personaggi sono dichiaratamente di contorno: qualche perplessità la destano anche il comportamento dell'ex marito e dei genitori di Lizzie...
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carloalberto
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venerdì 27 agosto 2021
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chi soffre quel che altrui soffrire ha fatto...
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Un altro thriller psicologico, simile a Babycall, per Naomi Rapace, che sembra tagliata per il ruolo della madre addolorata, divorata dall’angoscia per aver perso un figlio, ossessionata dal suo ricordo fino a diventare una folle visionaria. Come in Babycall, al termine del viaggio nella mente allucinata della protagonista, irrompe il reale a pacificare l’eroina sottraendola al suo tragico destino, sconvolgendo al contempo e simmetricamente la vita degli altri, come a dire che la felicità ha sempre un prezzo che qualcuno sarà chiamato a pagare, ovvero che c’è un invisibile equilibrio nel mondo tra gioie e sofferenze che deve essere ripristinato, così che il piacere non ecceda mai il dolore e viceversa.
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Un altro thriller psicologico, simile a Babycall, per Naomi Rapace, che sembra tagliata per il ruolo della madre addolorata, divorata dall’angoscia per aver perso un figlio, ossessionata dal suo ricordo fino a diventare una folle visionaria. Come in Babycall, al termine del viaggio nella mente allucinata della protagonista, irrompe il reale a pacificare l’eroina sottraendola al suo tragico destino, sconvolgendo al contempo e simmetricamente la vita degli altri, come a dire che la felicità ha sempre un prezzo che qualcuno sarà chiamato a pagare, ovvero che c’è un invisibile equilibrio nel mondo tra gioie e sofferenze che deve essere ripristinato, così che il piacere non ecceda mai il dolore e viceversa. Più cinicamente, da una prospettiva individuale, si potrebbe dire che il godimento è pieno soltanto se si realizza a scapito di chi è ritenuto il responsabile delle nostre sofferenze, una verità che ha le sue radici ancestrali nella legge del taglione, ripresa in epoca medioevale nel contrappasso dantesco e riassunta nei versi “chi soffre quel che altrui soffrire ha fatto alla santa giustizia ha soddisfatto” citati dal giurista illuminista Pagano per contenere la pena nei limiti di una giusta proporzionalità con il reato.
Una regia senza pretese autoriali, quasi televisiva, un cast di comprimari che sembrano comparse, privi di caratterizzazione e senza spessore psicologico, un lieto fine in un certo senso atteso, rendono questo film un prodotto commerciale usa e getta. Apprezzabile, invece, come al solito, la performance attoriale della Rapace.
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