valterchiappa
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lunedì 5 giugno 2017
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l'antitesi del neorealismo
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Margaret MazzantinI ha deciso, come tanti altri, di scrivere delle periferie romane. E, immaginiamo, si è seduta nel suo studio, immaginiamo ancora, confortevole. Con la fantasia è volata a Torpignattara (Torpigna per gli amici), zona per vecchia antonomasia malfamata. Peccato che oggi Torpigna sia un quartiere senz’altro popolare e colorito nella sua multietnia, ma ormai inserito nel tessuto urbano della Capitale. La frontiera è più in là, qualche chilometro oltre sulla Casilina, fra i palazzi perduti nel nulla, fra gli sfasci e i campi rom. La collocazione della vicenda dà già misura dei limiti del testo della scrittrice, cui sarebbe bastato, se non un giro in macchina, la visione degli ormai numerosi film (da “Non essere cattivo al recente “Cuori puri”), che hanno scelto come set e come luogo di osservazione i margini anonimi e sfrangiati della Capitale.
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Margaret MazzantinI ha deciso, come tanti altri, di scrivere delle periferie romane. E, immaginiamo, si è seduta nel suo studio, immaginiamo ancora, confortevole. Con la fantasia è volata a Torpignattara (Torpigna per gli amici), zona per vecchia antonomasia malfamata. Peccato che oggi Torpigna sia un quartiere senz’altro popolare e colorito nella sua multietnia, ma ormai inserito nel tessuto urbano della Capitale. La frontiera è più in là, qualche chilometro oltre sulla Casilina, fra i palazzi perduti nel nulla, fra gli sfasci e i campi rom. La collocazione della vicenda dà già misura dei limiti del testo della scrittrice, cui sarebbe bastato, se non un giro in macchina, la visione degli ormai numerosi film (da “Non essere cattivo al recente “Cuori puri”), che hanno scelto come set e come luogo di osservazione i margini anonimi e sfrangiati della Capitale. Margaret Mazzantini decide di scrivere delle periferie, ma lo fa secondo una sua idea intellettuale. Non le vive, non le sente, non le conosce, le sceglie solo luogo di esercizio per la sua penna altolocata. Decide di scrivere dei proletari, ma li rappresenta come li vede, creature letterarie, solo a tratti riconoscibili in personaggi reali.
Ma Margaret Mazzantini ha un’ambizione in più: vuole costruire il personaggio monumento, una donna che si erga come un’eroina contro le sventure del destino. Davanti agli occhi un riferimento dichiarato: Mamma Roma. Ed è qui che le sue pretese diventano blasfeme. Per una differenza sostanziale. Perché se anche l’opera di Pasolini è letteratura (altissima), essa sgorga da una realtà vissuta; per la Mazzantini è la letteratura a dover creare la realtà.
E in quest’ottica elitaria che la scrittrice dà vita ai suoi protagonisti. Al centro ovviamente Fortunata (Jasmine Trinca), parrucchiera a domicilio, dalla bellezza popolana e dal carattere indomito. Ha un ex marito, violento e prevaricatore (Edoardo Pesce), che rientra in casa quando vuole per minacciarla e magari levarsi qualche voglia, ed una figlia (la piccola Nicole Centanni), con un disturbo comportamentale attribuito alla separazione dei genitori.
Fortunata corre affannata da una parte all’altra della città per acconciare spose e festeggiate, inseguendo il sogno di aprire un negozio tutto suo, in società con l’amico d’infanzia (Alessandro Borghi), tatuatore tossico e bipolare, dal nome improbabile come la chioma (Chicano, neanche nei fotoromanzi), il quale vive con la madre (il fantasma di Hanna Schygulla), ex attrice di teatro ottenebrata nelle nebbie dell’Alzheimer. Fortunata si divincola e combatte quotidianamente in questo mondo difficile, difficilissimo, finché incontra inatteso l’amore nello psicologo che ha in osservazione la figlia (Stefano Accorsi). Gli eventi precipiteranno, ma non c’è neanche bisogno di dirlo.
Nel suo divertissement la Mazzantini sceglie il registro di espressione che le sembra più efficace a riprodurre quell’ambiente sociale: il fortissimo. In “Fortunata” tutti urlano, sbraitano, si agitano, gesticolano, si dimenano. Ma soprattutto si percepisce l’artificiosità della sua costruzione, che si traduce in dialoghi esasperati in uno sguaiato dialetto romano, fra citazioni di “Antigone” e massime memorabili (“Il teatro è importante, ma la fregna di più”) ed in scene surreali, fra esplosioni d’ira, sentimenti violenti, quotidiana cattiveria e occasionale follia. Il tutto condito da qualche doveroso richiamo al problema multietnico e da canzoni finalizzate alla ricerca del facile effetto emotivo, sia per il pubblico radical chic (Antony and the Johnsons), che per quello nazional popolare (“Vivere” di Vasco Rossi).
Sergio Castellittoasseconda la scelta stilistica della moglie con una regia nervosa, dinamica, attenta a cogliere il movimento, come quello nervoso delle gambe della protagonista; ma, come la moglie, si lascia andare ad inutili velleità stilistiche, stavolta di stampo sorrentiniano (lo straniante quadro dei cinesi che fanno ginnastica fra i palazzi).
Di tanta artefazione sono gli attori a pagare il prezzo. Jasmine Trinca è perfetta per il suo ruolo: bellezza naturale, lineamenti intagliati, sguardo ardente. La sua interpretazione è eccellente, giustamente premiata a Cannes nella sezione “Un certain regard”: domina lo schermo e si erge statuaria, così come l’autrice vorrebbe, ma grazie alla presenza scenica, non certo per le battute affidategli. Alessandro Borghi, chiamato per l’ennesima volta ad un ruolo border line, riesce ad essere estremamente espressivo, così come Hanna Schygulla, monumento del cinema, regala perle della sua arte. Ma entrambi nulla possono contro i limiti di personaggi grotteschi nella loro letterarietà intesa nel senso più deteriore del termine. Stefano Accorsi, oscillante fra la melliflua gentilezza e l’iraconda passionalità, ci aggiunge del suo, ricadendo nei suoi limiti consueti. Alla fine il più efficace è il meno appariscente: Edoardo Pesce, anche lui relegato alla solita parte di cattivo, viene premiato dal ruolo meno costruito e quindi, purtroppo, più realistico.
“Fortunata”è un romanzo popolare, quella scrittura per anime semplici che in essa vorranno vedere letteratura, e come tale probabilmente avrà successo. Ma non è neorealismo, anzi è la sua esatta antitesi. Per parlare della vita della gente comune bisogna scendere in strada e sporcarsi mani e piedi, riempirsi gli occhi e lasciar trascinare la penna dal cuore. Altro che questione di stile.
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citri
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martedì 23 maggio 2017
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nessuna emozione
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Non ho mai scaricato un film dalla rete, non mi piace neanche noleggiare i film, andare a vedere un film al cinema è ancora per me una delle più grandi emozioni ingigantite anche dal grande schermo e dalla stereofonia musicale. Di Fortunata avevo visto il trailer, poi appena uscito nelle sale sono andato a vederlo. La delusione è stata totale, le ottime colonne sonore nel tentativo di sostenere il film mi hanno persino innervosito, le scene tutte prevedibili, la recitazione di Stefano Accorsi col sigaro penosa, la scena di sesso e il nudo finale è stata la conferma, se fosse stata necessaria, di un film che cerca di fare buon peso regalando due scene di sesso fuori programma per accontentare la pancia dello spettatore.
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Non ho mai scaricato un film dalla rete, non mi piace neanche noleggiare i film, andare a vedere un film al cinema è ancora per me una delle più grandi emozioni ingigantite anche dal grande schermo e dalla stereofonia musicale. Di Fortunata avevo visto il trailer, poi appena uscito nelle sale sono andato a vederlo. La delusione è stata totale, le ottime colonne sonore nel tentativo di sostenere il film mi hanno persino innervosito, le scene tutte prevedibili, la recitazione di Stefano Accorsi col sigaro penosa, la scena di sesso e il nudo finale è stata la conferma, se fosse stata necessaria, di un film che cerca di fare buon peso regalando due scene di sesso fuori programma per accontentare la pancia dello spettatore.
L'idea che mi son fatto è quella di "un buon prodotto commerciale" progettato a tavolino per fare business e quindi grandi incassi. Per raggiungere l'obiettivo economico è però necessario soddisfare il cliente, accontentare o colmare quello che ormai è considerato utente consumatore e non più l'amante del cinema di qualità. Quindi per raggiungere lo scopo economico si è deciso di investire con cura: attori bellocci, il quartiere popolare, la donna col burca, la violenza domestica, le strutture sanitarie fatiscenti, la banca che non finanzia le dee virtuose, la mafia cinese che finanzia e poi si appropria delle strutture destinate al fallimento. Nel film c'è anche il medico della struttura pubblica che si scopa la cliente, e la stessa struttura sanitaria incompetente che toglie l'assistenza necessaria alla bambina problematica. Insomma tutta una serie di situazioni bordline che da una parte ci rassicurano di quanto noi siamo migliori e fortunati, dall'altra che chi non ha soldi non ha nessuna speranza se non continuare a giocare col gratta e vinci... e anche quando vinci, le persone sono squali voraci che ti sottraggono la vincita perche in ogni caso devi affogare!
A pensarci bene il film è perfettamente in linea col tipo di società che... stiamo diventando. Il grande Saramago nel suo libro "La Caverna" l'aveva anche previsto parlando della Città globalizzata... "non preoccupatevi, vi daremo tutto ciò che noi abbiamo deciso che voi avrete bisogno", nel caso del film l'emozione artificiale con soli 8 euro. Chi scomoda Pasolini o Anna Magnani, per fare paragoni, faccia il favore...
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mariaelena
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sabato 10 giugno 2017
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la sfortuna di fortunata
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Troppa concitazione e banalità... poca emotività e coinvolgimento
Fortunata vive al di fuori della realtà, perseguitata dalla fretta di raggiungere il suo sogno di proletaria che si riscatta. Ma il migliorare la propria vita per crescere meglio la figlia problematica lasciatole da un mariro violento e persecutorio, la porta ad un cammino arrabbiato contro tutto
e tutti Si avverte la sua incapacità di decisione nel valutare i rischi e i vantaggi delle situazioni a cui finisce sempre per ribellarsi irosa per affermare la sua autonomia di donna e di scelta da cui però non sa trarre nessun vantaggio.
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Troppa concitazione e banalità... poca emotività e coinvolgimento
Fortunata vive al di fuori della realtà, perseguitata dalla fretta di raggiungere il suo sogno di proletaria che si riscatta. Ma il migliorare la propria vita per crescere meglio la figlia problematica lasciatole da un mariro violento e persecutorio, la porta ad un cammino arrabbiato contro tutto
e tutti Si avverte la sua incapacità di decisione nel valutare i rischi e i vantaggi delle situazioni a cui finisce sempre per ribellarsi irosa per affermare la sua autonomia di donna e di scelta da cui però non sa trarre nessun vantaggio. Rimane un personaggio irrisolto; nonostante le impennate furibonde contro la sua precarietà di vita non si nota una vera e propria volontà di riscatto, attraverso la perseveranza .
E' una bella donna che la sciattezza.e il caracollare frenetico sulle alte zeppe, a cui la figlia decenne fa eco, rende questa popolana di borgata della Roma
odierna ferina e inafferrabile.In lei non ci sono remore, non conosce argini alla sua voglia e fretta di vivere,di esprimere tuta se stessa, di potersi realizzare. E' la forza stessa di una natura primordiale la sua, al di fuori del tempo...
Tutto è superabile. Qualsiasi ostacolo, trauma, dolore riesce a scivolarle addosso...non lascia ferite aperte, doloranti, nè capacità di autoanalisi;
non alterano il frenetico condursi attraverso la quotidianità che però non riesce a cambiare perchè la sua sorte e espressa ironicamente nel nome.
E' scontato e prevedibile l'approccio sessuale con lo psicoterapeuta della figlia, personaggio qualunquista e scarsamente professionale, che certamente non si imola per riscattarla, ma al contrario la imprigiona nel suo essere "sempre sopre le righe". E' banale l'amicizia fraterna ma solida con la figura squinternata del gay di cui difenderà ostinatamente l'omicidio della madre che definirà, quasi a convincerci, che si trattava di amore pagamendone ovviamente il riscatto per la scarcerazione con i pochi risparmi accumolati. Così il fleesch bach del suo trauma infantile a spiegazione del suo particolare essere appare scontato, cos' come quella figura ambigua di padre che si drogava...
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Ma forse la straordinarie resilienza di Fortunata è perchè, in effetti, si tratta dell'Arabe fenice.
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no_data
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domenica 21 maggio 2017
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attori bravissimi..
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Tutti gli attori hanno dato prova di una interpretazione magistrale. Ci sono alcuni passi dove i personaggi si manifestano con grande forza, ma sono solo momenti, manca una storia convincente.
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mardou_
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martedì 30 maggio 2017
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vivere... e sperare di star meglio
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E' una storia di passi l'ultimo lavoro di Sergio Castellitto, lungo il percorso difficile ed insensato della vita.
Conosciamo subito la protagonista con una lunga inquadratura fissa solo sulle sue gambe il cui incedere veloce e sgraziato resta il tratto dominante di tutto il film e camminiamo con lei per le strade di una Roma desolata ed ostile, dove l'attrito razziale e il disagio quotidiano non lasciano spazio alla speranza.
Quelle zeppe troppo alte e scomode sono l'elemento fondamentale intorno a cui Jasmine Trinca costruisce il personaggio di Fortunata. L'attrice romana ha tradotto la sua timidezza, l'essere impacciata, vagamente goffa e mascolina nella volgarità genuina e nella rabbia quasi infantile di questa donna sola contro un mondo che non le ha fatto sconti.
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E' una storia di passi l'ultimo lavoro di Sergio Castellitto, lungo il percorso difficile ed insensato della vita.
Conosciamo subito la protagonista con una lunga inquadratura fissa solo sulle sue gambe il cui incedere veloce e sgraziato resta il tratto dominante di tutto il film e camminiamo con lei per le strade di una Roma desolata ed ostile, dove l'attrito razziale e il disagio quotidiano non lasciano spazio alla speranza.
Quelle zeppe troppo alte e scomode sono l'elemento fondamentale intorno a cui Jasmine Trinca costruisce il personaggio di Fortunata. L'attrice romana ha tradotto la sua timidezza, l'essere impacciata, vagamente goffa e mascolina nella volgarità genuina e nella rabbia quasi infantile di questa donna sola contro un mondo che non le ha fatto sconti.
Ne è nato il ruolo più completo e maturo della sua carriera che non a caso le è valso il premio come miglior interpretazione femminile nella sezione Un Certain Regard all'ultimo Festival di Cannes...
Una pellicola che guarda al cinema italiano di ieri, su tutti il Pasolini di “Accattone” e di “Mamma Roma” , per parlare del nostro presente, in fondo così poco diverso da allora...
Cento minuti che scorrono proprio per questo con qualche manierismo di troppo ed inciampano in alcuni passaggi, quando, per esempio, il personaggio di Patrizio interpretato da Stefano Accorsi richiama forzatamente il Timoteo di “Non Ti Muovere”, film che resta il migliore delle opere scritte e dirette a quattro mani da Castellitto e dalla moglie Margaret Mazzantini.
Una nota particolare va all'ottimo lavoro di Alessandro Borghi, il cui Chicano è senza dubbio il ruolo maschile più indovinato, nel suo essere troppo debole e dipendente per permettersi anche solo l'idea di un cambiamento e all' esordiente Nicole Centanni, di soli nove anni, che si è trasformata nella figlia di Fortunata in maniera impeccabile. Del resto il futuro è delle donne...
Elisabetta BM
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roberteroica
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venerdì 2 giugno 2017
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un certain regard
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Chi scrive ha un ricordo non proprio positivo di Sergio Castellitto. Invitato ad una manifestazione di cinema a Lampedusa, “Il vento del nord” un paio di stagioni fa, si calò molto naturalmente, verrebbe da dire, nel ruolo di Grande Attore e Autore. Quello che ha la soluzione dei problemi del mondo e la spocchia dell’intellighenzia radical chic di troppa sinistra. Lo accompagnava una Jasmine Trinca non meno altezzosa. Con questa sorta di pregiudizio abbiamo visto l’ultima fatica di Castellitto regista, quel “Fortunata” che ha permesso alla Trinca di vincere un premio importante all’ultimo festival di Cannes (seppure non nel concorso principale).
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Chi scrive ha un ricordo non proprio positivo di Sergio Castellitto. Invitato ad una manifestazione di cinema a Lampedusa, “Il vento del nord” un paio di stagioni fa, si calò molto naturalmente, verrebbe da dire, nel ruolo di Grande Attore e Autore. Quello che ha la soluzione dei problemi del mondo e la spocchia dell’intellighenzia radical chic di troppa sinistra. Lo accompagnava una Jasmine Trinca non meno altezzosa. Con questa sorta di pregiudizio abbiamo visto l’ultima fatica di Castellitto regista, quel “Fortunata” che ha permesso alla Trinca di vincere un premio importante all’ultimo festival di Cannes (seppure non nel concorso principale). Molti giornali hanno parlato in modo piuttosto imbarazzato di questo melodramma calato nelle borgate romane, come un “de profundis” dell’originalità (e della falsa modestia) del nostro cinema. In realtà, a cose fatte, “Fortunata” non è proprio quel disastro di cui si dice. E’ un film che gioca a carte scoperte con lo spettatore, non esagera con le scene madri, si affida molto, in sede di sceneggiatura (che è di Margaret Mazzantini, tanto bene come tanto male, anche qui) alle dinamiche del caso e ha un trio di attori (la Trinca, Borghi e il bravissimo Edoardo Pesce) molto ben diretti. Alessandro Borghi recupera invece il tossico di “Non essere cattivo” e recita col pilota automatico. C’è anche la mitica Hanna Schygulla, musa di Fassbinder, che interpreta la madre di Borghi ed ha l’Alzheimer (e quando ad una cena, per compiacere le sue pose da grande attrice, le viene detto che il teatro è molto importante, lei risponde serafica: “la fregna ancora di più”). Il peggiore del gruppo comunque è Accorsi, ma questa non è una novità. La tenuta nel complesso c’è, la qualità solo a tratti, ma si arriva alla fine senza grandi cadute di stile (a parte quella di cui sopra). Castellitto regista ricorda un po’ Enrico Maria Salerno (“Eutanasia di un amore”, “Cari genitori”, “Anonimo veneziano”) che quando nel tempo libero giocava a dirigere gli altri, sfornava melodrammi pazzeschi, tra situazioni strappalacrime, personaggi più grandi della vita e un costante parossismo della messa in scena.
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enzo70
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giovedì 25 maggio 2017
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ottimo cast e bravo castellitto. ma il film non va
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Fortunata è una donna di borgata, una di quelle che la vita se la deve combattere tutti i giorni, chiusa tra grandi speranze e continue delusioni. La figlia Barbara è una bambina difficile, il marito con cui è separata è un violento, il miglior amico un depresso. Ma Fortunata trottorella per una Roma afosa per pettinare le donne, il suo sogno è aprire un negozio di parrucchiera, per abbandonare la sua cassetta degli attrezzi che si porta appresso come la coperta di Linus.
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Fortunata è una donna di borgata, una di quelle che la vita se la deve combattere tutti i giorni, chiusa tra grandi speranze e continue delusioni. La figlia Barbara è una bambina difficile, il marito con cui è separata è un violento, il miglior amico un depresso. Ma Fortunata trottorella per una Roma afosa per pettinare le donne, il suo sogno è aprire un negozio di parrucchiera, per abbandonare la sua cassetta degli attrezzi che si porta appresso come la coperta di Linus. E’ una Roma di borgata, quella del melting pot, della difficoltà degli italiani di ritrovare la loro strada, la china town de noartri, a fare da sfondo al film. Castellitto fa tutto in famiglia e propone al cinema un libro della Mazzantini; e forse il peccato di questo film è proprio nella storia che appare unidirezionale, il modo convenzionale dei ricchi di immaginare i poveri, un tema tanto caro alla sinistra italiana da farla diventare desueta. Castellitto dirige bene questo film e gli attori, tutti sono perfetti nell’interpretazione dei ruoli assegnati: bravissima Jasmine Trinca, stratosferica la piccola Nicole Centanni nell’interpretare il ruolo della piccola Barbara. E Castellito è bravo anche a trovare citazioni nell’ambito del miglior cinema italiano recente, da Ozpetek a Virzì, da Trovatore a Sorrentino. Ma la storia non funziona; il momento migliore del film è “Vivere” di Vasco, canzone che chiude un film che, nonostante la critica acclamante, non mi ha convinto.
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alejazz
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mercoledì 3 gennaio 2018
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una madre (s)fortunata e una figlia ribelle
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La realtà popolare romana raccontata con gli sguardi di una madre (s)Fortunata e di una figlia ribelle alla vita in cui si ritrova.
Cosa mi è piaciuto
Un ottimo successo di Sergio Castellitto che si rivela ancora una volta un bravo regista (oltre ad esserlo anche come attore). Ottima scelta per il cast: Accorsi sempre deciso e buon interprete di parti non affatto semplici, la Trinca che dopo aver superato una gavetta, cominciata con il successo di Manuale d'Amore, ha interpretato un bel personaggio della Roma popolare con impeccabili espressioni mimiche e verbali (special modo i diverbi accesi tenuti con Accorsi) e infine la piccola Nicole con il suo sguardo già di donna riesce a trasmettere belle emozioni.
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La realtà popolare romana raccontata con gli sguardi di una madre (s)Fortunata e di una figlia ribelle alla vita in cui si ritrova.
Cosa mi è piaciuto
Un ottimo successo di Sergio Castellitto che si rivela ancora una volta un bravo regista (oltre ad esserlo anche come attore). Ottima scelta per il cast: Accorsi sempre deciso e buon interprete di parti non affatto semplici, la Trinca che dopo aver superato una gavetta, cominciata con il successo di Manuale d'Amore, ha interpretato un bel personaggio della Roma popolare con impeccabili espressioni mimiche e verbali (special modo i diverbi accesi tenuti con Accorsi) e infine la piccola Nicole con il suo sguardo già di donna riesce a trasmettere belle emozioni.
Cosa non mi è piaciuto
Difficile da individuare un aspetto negativo; tuttavia ritengo nel film eccessiva la presenza di extracomunitari (sopratutto cinesi) per enfatizzare sempre di più la globalizzazione di queste etnie nelle nostre città.
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feliciar
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mercoledì 21 giugno 2017
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davvero, fortunata?
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Fortunata di Sergio Castellitto, ovvero le vite difficili nelle borgate romane: donne e uomini che non sanno come sbarcare il lunario, soli nella mescolanza delle periferie del mondo, tra cinesi e musulmani, integrati dalla povertà.
La protagonista corre tutto il giorno a fare shampoo e piega nelle case, ha una bimba piccola, un ex marito cialtrone e violento, anche, predatore sessuale. Ha il problema dei soldi, vuole mettere su un negozio di parrucchiere, vuole una vita migliore per lei e la bimba, ha amiche coatte e povere come lei.
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Fortunata di Sergio Castellitto, ovvero le vite difficili nelle borgate romane: donne e uomini che non sanno come sbarcare il lunario, soli nella mescolanza delle periferie del mondo, tra cinesi e musulmani, integrati dalla povertà.
La protagonista corre tutto il giorno a fare shampoo e piega nelle case, ha una bimba piccola, un ex marito cialtrone e violento, anche, predatore sessuale. Ha il problema dei soldi, vuole mettere su un negozio di parrucchiere, vuole una vita migliore per lei e la bimba, ha amiche coatte e povere come lei.
Ma, su questo, la storia non tanto funziona, questi coatti non fanno ridere come nel film di Verdone ( ""famolo strano ""), non sono i ragazzi di vita di Pasolini, non c'è la tenerezza di De Sica per la dolente povertà dei vinti. Qui sono un'etnia pacchiana, lontana dallo spettatore, estranei per la macchina da presa e non se ne coglie l'anima.
A rialzare le sorti c'è lei: Jasmine Trinca che campeggia ancheggiando sugli zatteroni dalle prime scene, andando di qua e di là, con la figlia a rimorchio, una bimba che si rivela straordinaria, promettente, attrice in erba.
Poi c'è un'altra lei a dare il suo contributo: è Hanna Schygulla che, in età anziana, disegna una splendida Antigone, confusa dall'Alzheimer, fino al tragico epilogo. Avevamo visto le sue splendide prove in età giovanile: la musa di grandi registi, la Maria Braun nel bellissimo film di Rainer Fassbinder e anche qui è magnifica, nella parte della attrice teatrale scivolata nella piu' perfida delle malattie.
In fondo, le figure femminili fanno la parte del leone, dei ruoli maschili si salva poco. Forse, Chicano, mezzo tossico e mezzo buono che, alla fine, la farà grossa. Dello psicologo, manco a parlarne: tra dubbi etici ( velocemente rimossi), abbandoni infantili ( di cui ancora lamenta), opportunismo economico ( la storia del jackpot), resta figura scialba, così così. Pare che il protagonista maschile sia il regista nascosto dietro la cinepresa. E' Castellitto che mostra trasporto e comprensione per il mondo femminile, esalta la nudità di Jasmine nel riprenderla con lo sguardo di un innamorato, coglie l'intimità tra madre e figlia con gli occhi di un marito amorevole.
Eppure non è la sua miglior prova, la trama è un po' didascalica , la narrazione non fluida come in "" Non ti muovere "", pare che il regista voglia svolgere una tesi, non seguire un racconto.
Alla fine, resta l'energia femminile, l'inizio di una nuova storia e.... una domanda: Fortunata ce la farà?
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fabiofeli
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giovedì 22 giugno 2017
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fortunata fortunata non è
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Il piano sequenza iniziale, con l’incrociarsi concitato nel corridoio di casa di Fortuna (Jasmine Trinca), una parrucchiera, e la sua bambina, Barbara (Nicole Centanni), anticipa l’affanno di una giornata di lavoro senza tregua: le due valige a rotelle danno un’idea precisa della fretta di Fortunata che deve recapitare come un pacco la bimba recalcitrante alla nonna per fare un po’ di soldi in nero. Scoppiano continue scaramucce tra le due, perché Barbara non sopporta che la madre viva separata da quell’energumeno inqualificabile che è Franco, il marito cacciato di casa; questi è un poliziotto privato che sorveglia e ricatta Fortunata per toglierle l’affidamento della piccola e approfittare di rapporti sessuali con lei che sono vere e proprie violenze.
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Il piano sequenza iniziale, con l’incrociarsi concitato nel corridoio di casa di Fortuna (Jasmine Trinca), una parrucchiera, e la sua bambina, Barbara (Nicole Centanni), anticipa l’affanno di una giornata di lavoro senza tregua: le due valige a rotelle danno un’idea precisa della fretta di Fortunata che deve recapitare come un pacco la bimba recalcitrante alla nonna per fare un po’ di soldi in nero. Scoppiano continue scaramucce tra le due, perché Barbara non sopporta che la madre viva separata da quell’energumeno inqualificabile che è Franco, il marito cacciato di casa; questi è un poliziotto privato che sorveglia e ricatta Fortunata per toglierle l’affidamento della piccola e approfittare di rapporti sessuali con lei che sono vere e proprie violenze. I problemi di comunicazione tra Barbara e Fortunata vanno risolti con l’aiuto di uno psicologo, Patrizio (Stefano Accorsi), che sembra in grado di dipanare l’intricata matassa, ma inaspettatamente la situazione si complica ancora di più …
Sergio Castellitto è un ottimo attore passato da tempo alla regia. In questo film, presentato al festival di Cannes 2017, si avvale ancora della sceneggiatura della moglie, Margaret Mazzantini; va sul velluto con la bravissima Jasmine Trinca, rivelatasi giovanissima ne La stanza del figlio di Nanni Moretti, e con tutti gli altri attori tra i quali spicca nel ruolo di Lotte la arrotondata sessantenne Hanna Scygulla, ancora valida attrice come ai tempi della “Neue Welle” quando girò con R.W. Fassbinder il matrimonio di Eva Braun. Però, non tutti i fatti che si susseguono nella storia sono plausibili; ne citiamo uno per tutti: stona il comportamento dello psicologo che interrompe una seduta con un ragazzo down per rincorrere Fortunata e baciarla davanti al ragazzo esterrefatto. La vicenda, inoltre, è troppo intricata e la batteria di invenzioni che si susseguono come fuochi artificiali – il sogno di un negozio di parrucchiera con una parete d’acqua, come suggerisce il figlio di Lotte, Chicano, amico tossico di Fortunata; la speranza di indovinare i sei numeri del superenalotto; la suggestione che subisce Barbara ad opera di Lotte, ex-attrice di teatro specializzata nel ruolo di Antigone; il cinismo di Patrizio – tolgono forza alla storia invece di accrescerla. I primi film da regista di Castellitto erano piaciuti. Quest’ultimo piace un po’ meno, anche se ha una sua validità.
Valutazione ***
FabioFeli
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