writer58
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lunedì 6 marzo 2017
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Il film di Larrain non mi ha soddisfatto. Mi è parso molto buono sul piano della regia, della concatenazione dei tempi narrativi. Ma privo di anima, di pathos, di spessore emotivo. Eppure la materia trattata (i giorni immediatamente successivi all'omicidio del presidente Kennady visti attraverso la prospettiva di Jacqueline) si prestava a una narrazione intensa, persino epica. Invece è come se sul film spirasse un vento gelido che immobilizza i protagonisti e li devitalizza, li "congela" in una dimensione di immobilità spirituale, ancor prima che fisica.
Jackie viene colta nei momenti che hanno preceduto e seguito lo sparo: l'arrivo a Dallas, l'accoglienza da parte del governatore, il corteo di macchine che si dirige verso Trade Mart, tre colpi secchi, le sue mani che tengono insieme, letteralmente, la testa del marito, la vettura presidenziale che sfreccia verso il Parkland Memorial Hospital, Jackie che prova a togliersi dal volto il sangue che le ha macchiato la fronte, le guance, il vestito, Johnson che giura come presidente sull'Air Force One che rientra a Washington.
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Il film di Larrain non mi ha soddisfatto. Mi è parso molto buono sul piano della regia, della concatenazione dei tempi narrativi. Ma privo di anima, di pathos, di spessore emotivo. Eppure la materia trattata (i giorni immediatamente successivi all'omicidio del presidente Kennady visti attraverso la prospettiva di Jacqueline) si prestava a una narrazione intensa, persino epica. Invece è come se sul film spirasse un vento gelido che immobilizza i protagonisti e li devitalizza, li "congela" in una dimensione di immobilità spirituale, ancor prima che fisica.
Jackie viene colta nei momenti che hanno preceduto e seguito lo sparo: l'arrivo a Dallas, l'accoglienza da parte del governatore, il corteo di macchine che si dirige verso Trade Mart, tre colpi secchi, le sue mani che tengono insieme, letteralmente, la testa del marito, la vettura presidenziale che sfreccia verso il Parkland Memorial Hospital, Jackie che prova a togliersi dal volto il sangue che le ha macchiato la fronte, le guance, il vestito, Johnson che giura come presidente sull'Air Force One che rientra a Washington. Un trauma- indiduale e collettivo- dalle proporzioni gigantesche, che potrebbe giustificare una reazione di atonia emotiva, di distanza psicoilogica, di negazione.
Invece, Jackie, appare più preoccupata di confezionare, davanti al giornalista che l'intervista pochi giorni dopo l'omicidio, una mitologia per il marito, una storia che celebri la sua grandezza, un epopea che metta in risalto l'eccezionalità dell'uomo e, di riflesso, la sua. Appare composta, distante, controllata. Detta al giornalista di "Life" la sua versione, stabilendo paralleli con Lincoln, dissertando su "Camelot", il loro musical preferito, una favola in cui dame e cavalieri intrecciano rapporti basati sull' amor cortese, parla dell'omicidio, ma non consente a Theodore White di scrivere una sola parola sulle sue sensazioni, sul suo dramma interiore.
Jackie vuole uscire di scena con un grande spettacolo trasmesso in mondovisione: si reca con i due figli piccoli davanti alla bara del marito, obbligherà i potenti del mondo a camminare per otto isolati a fianco del feretro durante il corteo funebre ("Se il generale De Gaulle ha timori per la sua incolumità, può salire su un'auto blindata o su un carro armato").
Intorno a lei il mondo sembra privo di colori, gelido, indifferente. Lo spettacolo deve continuare, Kennedy dev'essere archiviato in fretta. Ma i colori smorti sembrano anche entrare nell' interiorità dei protagonisti, li rendono bidimensionali, si insinuano nel film come se Larrain avesse deciso di decolorare la sua pellicola, uniformarla agli spezzoni in bianco e nero nei quali Jackie illustra le modifiche realizzate nella Casa Bianca.
Larrain, come in "Neruda", trasfigura un film biografico in una rappresentazione d'autore. Ma, a differenza di "Neruda", lo sguardo è algido, formale, statico. Non rappresentazione onirica, non celebrazione dell'eccesso, ma iconografia della misura, della confezione, del narcisismo che si esprime nel ruolo sociale. Prima come first lady, poi come vedova dell'ex Presidente, in seguito come moglie di un magnate greco.
Però, così facendo, Larrain costruisce un film formalmente molto accurato, ma privo di una sua dimensione emozionale. Anche l'ottima performance della Portman rimane prigioniera in questo schema dominato dall'assenza di luce e di movimento
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vanessa zarastro
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domenica 26 febbraio 2017
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una leonessa in chanel
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Un pezzo di bravura della Portman, doppiata con una brutta voce – ma pare l’avesse brutta anche Jackie. Pablo Larrain, regista cileno, si sta specializzando in film biografici, ha già girato il discusso Neruda uscito l’anno scorso.
Il film è tutto incentrato sui funerali di John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas, in Texas il 22 novembre del 1963, dopo soli due anni di presidenza. La vedova ha voluto mantenere in piedi l’aura speciale di Kennedy contribuendo in prima persona alla costruzione di un mito: trarrà ispirazione per la cerimonia funebre – in disaccordo con tutti, suocera, presidente, addetti alla sicurezza ecc. – addirittura dai funerali di Abrahm Lincoln, anch’esso assassinato, il venerdì santo del 1865.
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Un pezzo di bravura della Portman, doppiata con una brutta voce – ma pare l’avesse brutta anche Jackie. Pablo Larrain, regista cileno, si sta specializzando in film biografici, ha già girato il discusso Neruda uscito l’anno scorso.
Il film è tutto incentrato sui funerali di John Fitzgerald Kennedy, ucciso a Dallas, in Texas il 22 novembre del 1963, dopo soli due anni di presidenza. La vedova ha voluto mantenere in piedi l’aura speciale di Kennedy contribuendo in prima persona alla costruzione di un mito: trarrà ispirazione per la cerimonia funebre – in disaccordo con tutti, suocera, presidente, addetti alla sicurezza ecc. – addirittura dai funerali di Abrahm Lincoln, anch’esso assassinato, il venerdì santo del 1865. Il racconto è tutto in flash-back narrato durante un’intervista rilasciata da Jackie Lee Bouvier Kennedy nella casa di Hyannis Port a Cape Cod, Massacchusstes, pochissimi giorni dopo il funerale, a Theodore H. White, giornalista di “Life”. Non so se la ricostruzione del personaggio sia veritiera, ma Jackie appare come una donna volitiva, sicura di sé e senza dubbi. Avevo visto alcuni documentari sulla saga dei Kennedy in cui Jackie appariva molto più docile e succube delle volontà dei suoceri.
Non c’è un pezzo di storia, l’evento è visto dall’interno, dalla sfera privata, pur con molto fasto, molta eleganza, molta messa in scena e pochi contenuti. Solo Bob a un certo punto parlando con Jackie accenna alla discutibilità di alcune decisioni politiche prese dal fratello. Tutto il resto è decòr.
Il film tutto parlato, o meglio raccontato, è un po’ troppo monocorde risultando un tantino noioso. Verso la fine del film, dopo tutta questa celebrazione di Jackie in quanto moglie fedele e perfetta, mi sono chiesta chissà se Larrain farà un sequel Jackie 2 in cui racconterà l’altra Jackie tutta mare e isola Scorpio?
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(di francesco2)
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kimkiduk
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lunedì 27 febbraio 2017
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abbastanza deluso
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La domanda che mi sono posto uscito dal cinema è stata come mai Larrain ha fatto dopo Neruda un Biopic su Jacqueline Lee Buovier e soprattutto se ne voleva rendere omaggio, sminuirla, ridicolizzarla, iconizzarla o altro.
E qui scatta il voto basso al film, impeccabile solo come regia, ma Larrain ormai non ha niente da imparare. Dopo Neruda si scende di 3 scalini almeno, forse e spero per la simpatia ed empatia di Neruda rispetto a Jackie.
La parte del film certamente più riuscita è la parte dell'intervista con il giornalista e dei dialoghi tra di loro; il giornalista ne esce quasi vittorioso e viene disegnato come un personaggio addirittura più affascinante e intelligente della stessa First Lady.
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La domanda che mi sono posto uscito dal cinema è stata come mai Larrain ha fatto dopo Neruda un Biopic su Jacqueline Lee Buovier e soprattutto se ne voleva rendere omaggio, sminuirla, ridicolizzarla, iconizzarla o altro.
E qui scatta il voto basso al film, impeccabile solo come regia, ma Larrain ormai non ha niente da imparare. Dopo Neruda si scende di 3 scalini almeno, forse e spero per la simpatia ed empatia di Neruda rispetto a Jackie.
La parte del film certamente più riuscita è la parte dell'intervista con il giornalista e dei dialoghi tra di loro; il giornalista ne esce quasi vittorioso e viene disegnato come un personaggio addirittura più affascinante e intelligente della stessa First Lady.
Indubbiamente, questo spero di averlo capito bene, Larrain vuole mettere il dubbio sul fatto che la morte di Kennedy rappresenti per Jackie, non solo la morte della persona amata ed il dolore, ma anche la perdita di uno stato sociale a cui Lei ha sempre ambito (io non ho mai voluto stare sotto i riflettori, ho sposato solo un Kennedy). Infatti dopo sposerà solo un Onassis. E la prova ne è la voglia di apparire e paragonare tutto alla morte di Lincoln, come se Lincoln si potesse paragonare a qualcuno. Altra frase emblematica è il paragone con la vedova del padre degli Usa caduta in miseria e costretta a vendere i propri cimeli.
Ma la domanda se tutto questo sia veramente voluto resta secondo me non completamente comprensibile; Larrain non affonda mai il colpo, non si schiera come aveva fatto per Neruda e ne fa quindi un prodotto non completo. una persona come Jackie "Kennedy" o la si lascia cuocere bel proprio brodo o la si analizza pezzo per pezzo.
Infine ho trovato la Portman decisamente NON adatta a ricoprire questo incarico. Sembrava preoccupata, decisamente in difficoltà a rappresentare un personaggio così famoso ed importante; la Portman è per me antipatica di suo, Jackie anche e forse per questo Larrain l'ha scelta, ma evidentemente meno più meno nel cinema non fa sempre più. Deluso.
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(di francesco2)
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mughetto
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giovedì 12 ottobre 2017
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finzione, realtà, manipolazione.
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Il film si muove su due piani, il piano del presente, con un giornalista che visita Jaqueline Kennedy (ma come si chiamava da nubile?) da poco rimasta tragicamente vedova per intervistarla come lei stessa ha richiesto, e il piano dell'immediato passato o quasi, in cui vengono rivissuti gli attimi infiniti dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy o altre scene della vita da First Lady. La fragile e al tempo stesso aggressiva Jackie ha un obiettivo: trasferire ai posteri un'immagine di suo marito che sia eroica, come a lei stessa appare il marito, e che faccia concorrenza a quella di Abramo Lincoln. Per fare questo deve raccontare al giornalista la sua verità, per contrastare le falsità e le informazioni distorte che, secondo Jackie, non rendono giustizia al valore di JFK.
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Il film si muove su due piani, il piano del presente, con un giornalista che visita Jaqueline Kennedy (ma come si chiamava da nubile?) da poco rimasta tragicamente vedova per intervistarla come lei stessa ha richiesto, e il piano dell'immediato passato o quasi, in cui vengono rivissuti gli attimi infiniti dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy o altre scene della vita da First Lady. La fragile e al tempo stesso aggressiva Jackie ha un obiettivo: trasferire ai posteri un'immagine di suo marito che sia eroica, come a lei stessa appare il marito, e che faccia concorrenza a quella di Abramo Lincoln. Per fare questo deve raccontare al giornalista la sua verità, per contrastare le falsità e le informazioni distorte che, secondo Jackie, non rendono giustizia al valore di JFK. Ma la sua verità, come mostrano i battibecchi col giornaliste intervistatore e gli sguardi severi che lei gli lancia, o le smentite in diretta (Io non fumo, detto mentre si accende una sigaretta) sono a loro volta delle falsità. E alla fine il film ci lascia con questo senso amaro dell'impossibilità di ricotruire una verità da affidare alla Storia. Sullo sfondo, lo sforzo di Jackie di restituire alla Casa Bianca gli oggetti che ne hanno puntellato la storia e hanno visto alternarsi vari presidenti. Il piano del presente vede una giovane donna ferita, spaventata e che reagisce con aggressività, chiusa nella sua villa, lontana dal clamore della stampa. La Jackie delle memorie è una donna fragile che vive un dramma umano e un trauma violentissimo: le viene ucciso il giovane marito mentre sono fianco a fianco, e brandelli del suo corpo le si appiccicano sul volto e sui vestiti. Il film in qualche momento rallenta, e affatica lo spettatore. L'obiettivo di svelare aspetti di quel momento storico meno noti, e allo stesso tempo di mostrare retroscena della vicenda umana e psicologica dalla parte di chi resta sono raggiunti.
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thea
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giovedì 2 marzo 2017
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jackie: film inesistente
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Un film inguardabile. Recitazione statica, dialoghi retorici se riferiti al periodo storico con consequenziali avvenimenti,
salottierii, paiono tirati fuori da riviste d'arredamento e tendenza, se riferiti all'operato della stessa Jackie. Fotografia piatta.
Un film che, per tutta la sua durata non parla di niente e nessuno.
Tutto il film è basato su un racconto che bada alla forma-funerali imponenti o no- e che nulla sviscera sul reale rapporto coniugale
o sul motivo dell'attentato. si arriva a sentir dire:" non ho nulla di mio,avrei dovuto fare la commessa invece di sposare il presidente", mentre "Jackie, di suo, era membro di una ricca e potente famiglia.
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Un film inguardabile. Recitazione statica, dialoghi retorici se riferiti al periodo storico con consequenziali avvenimenti,
salottierii, paiono tirati fuori da riviste d'arredamento e tendenza, se riferiti all'operato della stessa Jackie. Fotografia piatta.
Un film che, per tutta la sua durata non parla di niente e nessuno.
Tutto il film è basato su un racconto che bada alla forma-funerali imponenti o no- e che nulla sviscera sul reale rapporto coniugale
o sul motivo dell'attentato. si arriva a sentir dire:" non ho nulla di mio,avrei dovuto fare la commessa invece di sposare il presidente", mentre "Jackie, di suo, era membro di una ricca e potente famiglia. Deviante
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jackbeauregard
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lunedì 27 febbraio 2017
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la versione di jackie non convince
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Film girato con cura, ma che non convince. Nessuna empatia per il personaggio, verboso e noioso quanto basta. Cosa avrà avuto in mente il regista non si capisce. Jackie non ne viene fuori tanto bene, sembra una donna più preoccupata di apparire che non di essere. Una figura storica marginale che ha forse influenzato la moda e tenuto banco a livello di gossip, ma che nella sostanza non ha lasciato traccia. Un'operazione cinematografica abbastanza inutile, che non aggiunge niente al tragico evento storico a cui (direttamente e no) fa riferimento, e che invece rimane ancora oggi l'unico degno di analisi ed interesse.
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ilovecinema
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domenica 4 marzo 2018
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film biografico in chiave introspettiva
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Il film racconta le ore successive all'omicidio Kennedy attraverso il racconto della moglie. Riassumendo in questo modo lo scopo del film si può dire raggiunto. Forse però sarebbe stato interessante analizzare la figuara di Jackie raccontando di lei un po' di più anzichè soffermarsi solo sulla perdita di due figli e poi del marito. A sostenere il film la bravura di Natalie Portman capace ancor di più che in "Il cigno nero" (non a caso stessi produttori di Jackie..) di concentrare su di lei l'attenzione dello spettatore. Però il 90% delle inquadrature su di lei anche durante i dialoghi, rischia di rendere il lavoro un film "sulla bravura della Portman", più che su Jackie Kennedy.
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Il film racconta le ore successive all'omicidio Kennedy attraverso il racconto della moglie. Riassumendo in questo modo lo scopo del film si può dire raggiunto. Forse però sarebbe stato interessante analizzare la figuara di Jackie raccontando di lei un po' di più anzichè soffermarsi solo sulla perdita di due figli e poi del marito. A sostenere il film la bravura di Natalie Portman capace ancor di più che in "Il cigno nero" (non a caso stessi produttori di Jackie..) di concentrare su di lei l'attenzione dello spettatore. Però il 90% delle inquadrature su di lei anche durante i dialoghi, rischia di rendere il lavoro un film "sulla bravura della Portman", più che su Jackie Kennedy.
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marcosantillani
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domenica 5 marzo 2017
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trasfigurazione di un regista
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Verboso e ruffiano. Gli aggettivi che sintetizzano il film. Un film che non svela nulla di nuovo. I tempi di Post Mortem e Tony Manero sono passati. Ora Larrain è famoso e cerca successo in America. Fare un film sulla moglie di Kennedy, significa smuovere le coscienze, ma anche gli spettatori americani e portarli in massa al cinema. I radical chic saranno entusiasti di questo film. Meno entusiasti gli altri spettatori. Il commento unanime all'uscita dalla sala è stato: troppo lento. Ma non credo sia il termine esatto per giudicare questo film. Questo film è senza enfasi, senza sincerità. Non è un film sincero. Bellissima la scelta del look. Un Quattro terzi che rimanda agli anni 70 ed una granulosità tipica della pellicola.
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Verboso e ruffiano. Gli aggettivi che sintetizzano il film. Un film che non svela nulla di nuovo. I tempi di Post Mortem e Tony Manero sono passati. Ora Larrain è famoso e cerca successo in America. Fare un film sulla moglie di Kennedy, significa smuovere le coscienze, ma anche gli spettatori americani e portarli in massa al cinema. I radical chic saranno entusiasti di questo film. Meno entusiasti gli altri spettatori. Il commento unanime all'uscita dalla sala è stato: troppo lento. Ma non credo sia il termine esatto per giudicare questo film. Questo film è senza enfasi, senza sincerità. Non è un film sincero. Bellissima la scelta del look. Un Quattro terzi che rimanda agli anni 70 ed una granulosità tipica della pellicola. Non sappiamo se il film è stato girato in pellicola e poi riversato in digitale, ma di certo la grana si vede.
Un film senza slanci e senza emozioni. Le uniche, quelle dell'assassinio, con il capo di Kennedy tra le braccia della moglie. Ricordi e scene già viste. Basta riprendere le immagini ell'epoca ed i tanti scritti, per ricostruire fedelmente la vicenda. Va bene, Larrain racconta ciò che nessuno ha mai raccontato. Ma gira e rigira sempre sul dolore più o meno verosimile di Jacqueline. La trasfigurazione di Larrain in regista similcommerciale ( avuta da Il club in poi ) non convince.
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michelino
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giovedì 16 novembre 2017
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che dire...pazzesco!
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Del regista (Pablo Larrian) non ne parlo nemmeno - ci sarebbe
troppo da dire - quindi vi dico soltanto che se non avete ancora
visto nessuno dei suoi film, cercate al più presto di porre rimedio
a questa lacuna altrimenti possiamo pure continuare a parlare di
un sacco di cose ma è meglio che non perdiamo altro tempo con
discorsi sul cinema.
La 'Jackie' del film è la moglie di John Kennedy raccontata dal
regista durante quella terribile settimana seguente l'omicidio
del marito.
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Del regista (Pablo Larrian) non ne parlo nemmeno - ci sarebbe
troppo da dire - quindi vi dico soltanto che se non avete ancora
visto nessuno dei suoi film, cercate al più presto di porre rimedio
a questa lacuna altrimenti possiamo pure continuare a parlare di
un sacco di cose ma è meglio che non perdiamo altro tempo con
discorsi sul cinema.
La 'Jackie' del film è la moglie di John Kennedy raccontata dal
regista durante quella terribile settimana seguente l'omicidio
del marito.
Forza e fragilità, paura e coraggio, dolore e bellezza, realtà e
finzione, pubblico e privato, lucidità e smarrimento, azione e
riflessione, orgoglio e abbandono, il tutto concentrato nelle
immagini di un volto che il regista filma come se filmasse
un panorama (il volto è quello della bravissima e bellissima
Natalie Portman) e in quel vestito rosa macchiato di sangue
che la donna indossa per buona parte del film...basterebbero
solo pochi fotogrammi tratti da queste sequenze per farci
comprendere la genialità del regista e l'intensità delle
emozioni che il buon 'vecchio cinema' è ancora in grado
di suscitare.
In questo film si parla di fatti storici ma questo non è solo un
film storico, si parla di televisione ma questo non è solo un film
sulla manipolazione della realtà.
Questo film è sopra ogni cosa una specie di fermo immagine
durante un momento cruciale dell'esistenza di un essere umano.
Per la donna in questione questo momento è quello nel quale
- improvvisamente - lei deve prendere atto del fatto che tutto
quello che era riuscita a costruire gli è di colpo crollato addosso
e che il domani sarà per lei qualcosa di completamente diverso
da quello che aveva finora sperato.
Tra lei e questo domani che si prospetta come un vuoto tutto da
riempire, Jackie ha ancora un ultima carta da giocare per poter
dimostrare al mondo e a sei stessa quello che è stata veramente
e quello che avrebbe potuto essere se le cose sarebbero andate
diversamente, questa ultima carta sono i funerali di stato di suo
marito.
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maramaldo
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martedì 28 febbraio 2017
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storia...di fantasmi. casa bianca...di spiriti.
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Mansion neoclassica a Hyannis Port. Non un'anima nei paraggi. Arriva un taxi che riparte subito dopo aver scaricato un tipo che sembra aver viaggiato tutta la notte, cravatta allentata, colletto sgualcito sbottonato. Suona alla porta,. Apre "Lei". Composta e misteriosa, elegante, maquillage e messa in piega da teatro di posa. Poche battute e rientra, lasciando sull'uscio l'uomo che , interdetto, chiede di entrare. Una voce dall'oscurità dice che può. Segue l'intervista che dà luogo ai flashback dove si dichiara che alle domande non si danno risposte e che gli appunti son presi su cose mai dette. Analoga logica onirica nella conversazione metafisica che si svolge tra la protagonista e un saggio zen in abito da prete - tipica mescolanza da sogno - passeggiando in un vialetto di campagna, deserto.
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Mansion neoclassica a Hyannis Port. Non un'anima nei paraggi. Arriva un taxi che riparte subito dopo aver scaricato un tipo che sembra aver viaggiato tutta la notte, cravatta allentata, colletto sgualcito sbottonato. Suona alla porta,. Apre "Lei". Composta e misteriosa, elegante, maquillage e messa in piega da teatro di posa. Poche battute e rientra, lasciando sull'uscio l'uomo che , interdetto, chiede di entrare. Una voce dall'oscurità dice che può. Segue l'intervista che dà luogo ai flashback dove si dichiara che alle domande non si danno risposte e che gli appunti son presi su cose mai dette. Analoga logica onirica nella conversazione metafisica che si svolge tra la protagonista e un saggio zen in abito da prete - tipica mescolanza da sogno - passeggiando in un vialetto di campagna, deserto. Carrellate sugli ambienti della Casa Bianca in una percezione tra colore e bianco e nero che non è da svegli. Figure di contorno, pur ben connotate, grottesche, finte. Eleganti e spettrali, applaudono meccanicamente il violoncellista che ha diffuso un brontolio lugubre come la colonna sonora che incombe già prima dei titoli. Il ballo: JFK volteggia aggraziato intorno alla sua dama, dimentico della sua schiena. Si potrebbe continuare: raccapriccio nel trovare ancora sangue nella calza; doccia tra i vapori come una purificazionde; fughe nei corridoi con piantoni che non sembrano viventi ma sai che ti guardano. Il cimitero nella nebbia, un classico.
Su Larraìn mi ricredo. Pensavo usasse il surreale come espediente per mandare in libertà messaggi che espressi esplicitamente gli avrebbero attirato censure. Per certi versi è così e questo spiega come il suo notevole talento non goda di buona stampa. Ma è il realismo magico la sua vena autentica, da andino sciamanico, superstizioso.
Rimanendo in quest'ordine di idee si comprende l'interpretazione di Natalie Portman. Più di un'identificazione, qualcuno parlerebbe di una possessione. Liberi di sorridere ma non negate che questa splendida attrice ci ha fatto penetrare nelle fibre più intime della sofferenza di una donna. Solo un esempio: la sequenza di quando bisogna dire ai bambini che papà non torna: tanti l'han vista con occhi umidi e un groppo alla gola. Sottovalutata, diremmo. Ieri notte (febbraio 2017) a lei si è preferito un leggiadro e ruspante sgambettamento.
Storia? Sì, ma di trapassati, ombre. Riferimenti al presente? Se ne avete voglia, solo per litigare. L'ex first lady (o Larraìn) insiste nel parallelismo tra Lincoln e Kennedy per il quale si pretendono esequie e sepoltura da eroe. La domanda è: l'assassinato di Dallas ha avuto lo stesso o più coraggio del vecchio Abe? La sua fermezza ha giovato a più di quattro milioni di individui da liberare? Errori? Li fanno tutti. Ma John aveva un'idea, un sogno. Camelot, mai esistita, luogo arcano appreso da bambino, rappresentava un progetto, un'aspirazione ad elevarsi. Da giovane Kennedy scrisse un libro che parlava di alcuni americani che avevano sfidato ogni riprovazione per far quello che ritenevano giusto, lo intitolò Profiles in Courage. Possiamo parlare di vocazione?
American Graffiti, comunque. Da tempo - come negarlo?- si assiste ad un downgrading. Anche nel crimine politico ossia quando si vuole eliminare perchè non piace un eletto dal popolo. Oggi si ricorre a quello che un grande Cileno, guarda caso, Pablo Neruda, vaticinò: il nixonicidio. Ovvero, l'annientamento effettuato in modalità mediatico-costituzionali. Da preferire ai vecchi metodi che già non funzionarono ai tempi di Reagan. Niente spari, nientre schizzi di sangue e, vivaddio, niente vedove.
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