yeoman
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martedì 22 settembre 2015
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meraviglioso
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Bellocchio non ha certo bisogno di ulteriori conferme, e anche questo film si segnala come un, ahimè sempre più raro, esempio di maestria nel gestire la tecnica narrativa cinematografica per raccontare una storia pungente e poetica allo stesso tempo. Bobbio piccolo mondo, gestito ieri come oggi da poteri oscurantisti e retrogradi, è l'immagine di un paese che ancora si muove senza neanche accorgersi di essere già morto. Solo l'integrità del sentimento e della purezza resistono al degrado generale, anche se non sembrano più in grado di salvare il mondo. Un film meraviglioso, che fa ridere amaramente e piangere di commozione. Bellocchio usa tutti i soliti trucchi del mestiere, ma con tanta abilità da farci cascare puntualmente nelle trappole di una narrazione avvincente ed emozionante.
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Bellocchio non ha certo bisogno di ulteriori conferme, e anche questo film si segnala come un, ahimè sempre più raro, esempio di maestria nel gestire la tecnica narrativa cinematografica per raccontare una storia pungente e poetica allo stesso tempo. Bobbio piccolo mondo, gestito ieri come oggi da poteri oscurantisti e retrogradi, è l'immagine di un paese che ancora si muove senza neanche accorgersi di essere già morto. Solo l'integrità del sentimento e della purezza resistono al degrado generale, anche se non sembrano più in grado di salvare il mondo. Un film meraviglioso, che fa ridere amaramente e piangere di commozione. Bellocchio usa tutti i soliti trucchi del mestiere, ma con tanta abilità da farci cascare puntualmente nelle trappole di una narrazione avvincente ed emozionante. Purtroppo il prodotto finale, essendo di altissima qualità, non rincorre i facili schemi e non si presenta fruibile da un pubblico internazionale, che non può capire i profondi riferimenti alla società italiana. Un grandissimo film!
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lucy2015
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martedì 22 settembre 2015
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film insulso
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Mi dispiace aver perso tempo al cinema per un film sconclusionato senza capo ne' coda. Passi la prima parte anche se lentissima e banale. Ma quando entriamo nella seconda parte del film con la virata al quasi comico tra musica e attori davvero non si può restare seduti. Tutto porta al nulla. L'unico elemento di pregio è il duca, attore di vero talento, purtroppo sprecato per questo filmetto mediocre e quasi da presa in giro.
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emanuele 1968
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domenica 20 settembre 2015
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molto bello
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Veramente ero distratto per mie preoccupazioni, onestamente non ho capito niente.
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vanessa zarastro
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sabato 19 settembre 2015
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film in famiglia
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Non sono sicura di aver capito del tutto il rapporto tra due storie diverse ambientate nello stesso luogo a distanza di 600 anni, ma probabilmente il nesso non c’è. Ci sono comunque delle analogie sul senso di enclave, sulla detenzione del potere, sulla chiusura al mondo esterno, sulle superstizioni.
Mentre la parte seicentesca è molto ben girata con una bella luce caravaggesca sui volti scavati, con gli abiti dell’epoca e nelle ambientazioni - perfino con un’ottima musica - quella contemporanea è frazionata, goffamente felliniana, più comica che ironica, con dialoghi sull’attualità un po’ generici un po’ banali: le fatture del medico, gli scontrini, la guardia di finanza, la navigazione in internet sono tutti segni della contemporaneità.
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Non sono sicura di aver capito del tutto il rapporto tra due storie diverse ambientate nello stesso luogo a distanza di 600 anni, ma probabilmente il nesso non c’è. Ci sono comunque delle analogie sul senso di enclave, sulla detenzione del potere, sulla chiusura al mondo esterno, sulle superstizioni.
Mentre la parte seicentesca è molto ben girata con una bella luce caravaggesca sui volti scavati, con gli abiti dell’epoca e nelle ambientazioni - perfino con un’ottima musica - quella contemporanea è frazionata, goffamente felliniana, più comica che ironica, con dialoghi sull’attualità un po’ generici un po’ banali: le fatture del medico, gli scontrini, la guardia di finanza, la navigazione in internet sono tutti segni della contemporaneità.
Le storie: in un convento di suore di clausura sul fiume Trebbia a Bobbio, bussa Federico (Piergiorgio Bellocchio figlio del regista), un uomo d'arme con lo scopo di riabilitare la memoria del fratello gemello sacerdote morto suicida. L’Inquisizione accusa una giovane suora (Lydia Liberman è la Monaca di Monza)di averlo sedotto e fatto impazzire. Una strega? Un patto con Satana? Tuttavia Federico invece di vendicarsi si sente morbosamente attratto dalla giovane donna che non ha nulla di cui pentirsi e viene pertanto condannata a essere murata viva in una cella. La colpa naturalmente ricade più sulla suora che sul sacerdote perché c’è sempre l’idea della donna quale potenza demoniaca.
Nello stesso convento ai tempi d’oggi sempre Federico, piccolo truffatore, si finge ispettore regionale e vuole far comprare il degradato ex convento - diventato ex carcere - a un suo amico sedicente miliardario russo.
Lì tutta una serie di intrighi e intrallazzi: una sorta di conte Dracula (Roberto Herlitzka) vive nascosto nel Convento ma partecipa a un Comitato polito e di affari del paese con i cui membri gestisce la sorte della piccola cittadina con la nostalgia di un periodo passato e di una giovinezza sfiorita. Un potere connivente al sistema mafioso che distribuisce “favori” equamente tra gli abitanti come le invalidità fisiche presunte per le quali si ottengono fondi regionali o comunque sovvenzioni pubbliche.
Il finale del film (o meglio i finali delle storie) sembrerebbe gratificare il femminile perché la suora viene graziata da Federico diventato nel frattempo cardinale (Alberto Bellocchio fratello del regista) e se ne va nuda e libera mentre sia Federico nella prima storia che il Conte nella seconda, soccombono e nulla possono rispetto al simbolo femminile di libertà. E così, con un po’ di fatica, le storie sono ricucite.
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catcarlo
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giovedì 17 settembre 2015
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sangue del mio sangue
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Per una volta, forse, è il caso di dar retta a Bellocchio che nelle interviste ha parlato di un piccolo film fatto per divertimento: ci si può così lasciare andare a questa storia doppia che viaggia sul filo del fantastico e che – come ogni racconto del soprannaturale che si rispetti – racconta anche l’animo umano e la società in cui viviamo. Quello del ‘genere’ è un punto di vista che riesce a superare con una certa agilità i dubbi instillati dai tanti pareri negativi facendo sì che il film, malgrado le a volte evidenti imperfezioni, possa conquistare lo spettatore fino ad agitarlo nel profondo. La prima parte si svolge nel Seicento, quando il cavaliere Federico giunge al convento dove è detenuta con l’accusa di stregoneria Benedetta (la bella attrice ucraina Lidiya Liberman), la donna per la quale Fabrizio, il di lui fratello sacerdote, si è tolto la vita: mentre il processo inquisitorio procede violento e implacabile (si veda l’apostrofe del frate prima della prova dell’acqua), Federico passa dalla vendetta al desiderio, ma, dopo molte sofferenze il destino della ragazza, resta terribile.
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Per una volta, forse, è il caso di dar retta a Bellocchio che nelle interviste ha parlato di un piccolo film fatto per divertimento: ci si può così lasciare andare a questa storia doppia che viaggia sul filo del fantastico e che – come ogni racconto del soprannaturale che si rispetti – racconta anche l’animo umano e la società in cui viviamo. Quello del ‘genere’ è un punto di vista che riesce a superare con una certa agilità i dubbi instillati dai tanti pareri negativi facendo sì che il film, malgrado le a volte evidenti imperfezioni, possa conquistare lo spettatore fino ad agitarlo nel profondo. La prima parte si svolge nel Seicento, quando il cavaliere Federico giunge al convento dove è detenuta con l’accusa di stregoneria Benedetta (la bella attrice ucraina Lidiya Liberman), la donna per la quale Fabrizio, il di lui fratello sacerdote, si è tolto la vita: mentre il processo inquisitorio procede violento e implacabile (si veda l’apostrofe del frate prima della prova dell’acqua), Federico passa dalla vendetta al desiderio, ma, dopo molte sofferenze il destino della ragazza, resta terribile. Ai giorni nostri, un altro (o lo stesso?) Federico giunge alla porta del medesimo convento, all’apparenza in stato di abbandono, per proporre una strampalata operazione commerciale che puzza di bruciato lontano un miglio: la struttura è però il rifugio del Conte, anziano uomo che vive solo di notte ed è a capo di un’oscuro gruppo di notabili che sembra dominare la vita del paese. Dopo aver smascherato gli altarini di Federico, il Conte si invaghisce di una giovane donna e seguendola vaga per strade che forse iniziano a sfuggire al suo controllo: un nuovo salto nel Diciassettesimo secolo ne unisce, in un modo definitivo ma che è bene non raccontare, il destino a quello di Benedetta (non si erano già incrociati tre secoli fa?). Nel narrare questa storia di streghe e fantasmi, il regista lascia aperte molte questioni, in modo che lo spettatore possa sbrigliare la fantasia – ad esempio, molti attori sono presenti in entrambi i segmenti, per non parlare del gatto - ma allo stesso tempo la usa per sottolineare gli argomenti che gli stanno a cuore, in primo luogo l’oppressione stolida sul singolo individuo del potere costituito, sia che si tratti della Chiesa controriformista (convento e carcere hanno le stesse mura) sia che provenga da una cerchia di figure a mezza via tra il mafioso e il massone (ma di certo molto democristiane). Individuo che, peraltro, fa alla svelta ad adattarsi, per convenienza o amore dello status quo, così da arrivare alla scelta del Federico seicentesco e alla corte di falsi invalidi odierni. Nella seconda parte, viene introdotto anche il tema del gretto materialismo, quasi che il paese viva sotto una qualche forma di incanto che lo fa sopravvivere senza vivere davvero: per amplificare l’effetto, Bellocchio ha ambientato il film nella sua Bobbio già entrata nella storia del cinema con l’indimenticabile ‘I pugni in tasca’. Del piccolo centro della val Trebbia, la fotografia di Daniele Ciprì offre scorci di sicuro fascino, specie quando si muove tra greto del torrente e Ponte Gobbo, ma le inquadrature di preferenza crepuscolari o notturne contribuiscono ad accrescere l’inquietudine assieme alle belle musiche di Carlo Crivelli e a una versione al contempo eterea e minacciosa di ‘Nothing else matters’ dei Metallica. Il ritorno a casa offre però l’occasione per iniziare a parlare dei difetti che minano la godibilità specie della seconda parte: oltre ai luoghi, il regista è tornato ai volti, circondandosi di attori con cui ha lavorato in precedenza, ma anche di molti familiari, le cui interpretazioni non sono all’altezza del resto del cast. Se Herlitzka infonde le sue ben note qualità alla figura chiaroscurale del Conte, il figlio di Bellocchio Pier Giorgio non riesce a dare spessore a (ai) Federico e molte altre figure minori restano al disotto della sufficienza mentre Alba Rohrwacher risulta sprecata in un personaggio superfluo. A parte rafforzare il tema del doppio che pervade tutta la prima parte, le gemelle Perletti finiscono per incrinare la compattezza del loro segmento, anche se quello più ondivago resta il secondo, incerto com’è sul tono da tenere. C’è addirittura un tocco alla Totò nella processione davanti a Federico preso per un ispettore di chissà che – sopra le righe Filippo Timi nei panni del pazzo e Patrzia Bettini come (in)consolabile moglie del Conte – mentre il colloquio tra Herlitzka sulla sedia del dentista e Toni Bertorelli nei panni del dottor Cavanna dovrebbe essere uno nei momenti più significativi ma gira a vuoto. In ogni caso, malgrado gli aspetti negativi ‘Sangue del mio sangue’ rimane un film di grande interesse che declina secondo un punto di vista diverso il modo di fare cinema comunque riconoscibilissimo del suo autore (per il quale, forse, ‘niente altro conta’): il regista bobbiese ha diretto film migliori, ma questo non può lasciare indifferenti.
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alex2044
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mercoledì 16 settembre 2015
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benedetta non confessa , non vuole confessare !!!
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" Benedetta non confessa , Benedetta non vuole confessare " . In questa frase lapidaria pronunciata dal sadico capo del tribunale religioso che deve giudicare la reproba suor Benedetta , c'è tutto il significato di questo film , in particolare della prima parte . La citazione di questa frase è un violento atto d'accusa verso la religione e per estensione il potere in senso lato . Benedetta pagherà questo suo rifiuto con la pena di essera murata viva ed il fratello , del suo amante suicida, seppur morbosamente tentato non farà nulla per salvarla . La prima parte del film è praticamente tutta lì ed è ambientata in un cupo 1600 dove la speranza e la tolleranza sono considerate merce avariata .
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" Benedetta non confessa , Benedetta non vuole confessare " . In questa frase lapidaria pronunciata dal sadico capo del tribunale religioso che deve giudicare la reproba suor Benedetta , c'è tutto il significato di questo film , in particolare della prima parte . La citazione di questa frase è un violento atto d'accusa verso la religione e per estensione il potere in senso lato . Benedetta pagherà questo suo rifiuto con la pena di essera murata viva ed il fratello , del suo amante suicida, seppur morbosamente tentato non farà nulla per salvarla . La prima parte del film è praticamente tutta lì ed è ambientata in un cupo 1600 dove la speranza e la tolleranza sono considerate merce avariata . Poi il il film vira al grottesco e senza preavviso ci porta ai nostri giorni che appaiono come forse sono , un po' sbracati e un po' corrotti ed anche un po' incoscienti.Nel paese , popolato da personaggi sopra le righe ed anche un po' matti ,ora un conte dall'aria vampiresca , interpretato magistralmente da un gigantesco Roberto Herlitzka , esce di notte dalle carceri dove un tempo era segregata Benedetta , per aggiustare i pasticci provocati da una cricca di politicanti di paese . Il finale è geniale , un vero colpo di teatro . Il film torna al 1600 e il fratello dell'amante diventato cardinale , grazierà ,dopo trent'anni Benedetta che però ,e qui la sorpresa , caduto il muro , apparirà nuda e bellissima . Insomma il film termina con uno sberleffo verso il potere e quindi in gloria . Bellocchio ha fatto un bel film , imperfetto qualche volta ondivago ed anche un po' impreciso e forse proprio per questo a suo modo attraente e godibile dall'inizio alla fine . Gli attori oltre al già citato Herlitzka sono tutti bravi , le scene intriganti ed evocative , le musiche gradevoli , Bobbio è un bel paese che si può visitare. Forse Bellocchio ha fatto di meglio però le sue zampate graffiano ancora .
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pepito1948
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mercoledì 16 settembre 2015
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la famiglia bellocchio
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Bellocchio, nelle sue più recenti produzioni, sembra sempre più propenso a coinvolgere la famiglia, i luoghi di origine, accentuando i riferimenti autobiografici. Qui ritroviamo temi a lui cari, come la perversione del potere (religioso o politico, o tutt'e due insieme), il trionfo della vitalità libera da zavorre come modalità paradigmatica evolutiva dell'essere umano, incarnata inevitabilmente nella figura di una donna -temi a cui si aggiunge un certo senso della morte, in ottica forse più realistica (cioè anagrafica) che simbolica- attraverso la correlazione di situazioni e personaggi in due fasi storiche diverse, nel '600 e nell'attualità.
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Bellocchio, nelle sue più recenti produzioni, sembra sempre più propenso a coinvolgere la famiglia, i luoghi di origine, accentuando i riferimenti autobiografici. Qui ritroviamo temi a lui cari, come la perversione del potere (religioso o politico, o tutt'e due insieme), il trionfo della vitalità libera da zavorre come modalità paradigmatica evolutiva dell'essere umano, incarnata inevitabilmente nella figura di una donna -temi a cui si aggiunge un certo senso della morte, in ottica forse più realistica (cioè anagrafica) che simbolica- attraverso la correlazione di situazioni e personaggi in due fasi storiche diverse, nel '600 e nell'attualità.
L'uso della dualità, nel tempo e nello spazio, oltre ad essere un espediente cinematografico, sottolinea il perpetuarsi, sotto diverse spoglie, dei vizi capitali di una società che inesorabilmente vi rimane invischiata, ma che nello stesso genera resistenze potenzialmente rigenerative: l'amore, i rifiuti anche se dolorosi, la rivendicata libertà dal potere dominante (soprattutto maschile), sia esso autolegittimatosi con la forza o fattosi sistema e quindi autogiustificato, brutale o sottilmente invasivo ma sempre oppressivo.
Elemento di collegamento tra i due racconti è un convento di Bobbio, città cara al regista, prigione usata dall'Inquisizione per "convertire" e recludere o murare le "streghe", nonchè, secondo la linea narrativa tracciata, luogo decadente eletto, 400 anni dopo, come dimora nascosta da un boss provinciale, che si muove nella notte draculeggiando a spese dei compaesani con l'aiuto di un comitato di affari a lui prono. Nella oscurità che è insieme copertura per i loschi affari e mancanza di luce morale.
Le atmosfere cambiano, i toni anche, passando dal bianco smorto e livido delle tonache ecclesiastiche all'ombrosità cupa e inquietante dei giorni nostri, le identità si mescolano trasmettendosi reciprocamente la tara della coartazione, della cialtroneria e della corruzione, ma il marchio d'infamia del potere, per quanto sfumato e quasi invisibile, resta. Spetta alle forze libere da condizionamenti, imposizioni e violenza, competere per tracciare una via di salvezza, come, in una dimensione onirica, la trionfante bellezza sublime ed incorrotta di una ex monaca ribelle o la soave spontaneità di una giovane ragazza recalcitrante alle convenzioni e protesa verso un futuro senza vincoli e pregiudizi.
Il film, pur nella sua articolata struttura e variazione dei registri, ha una sua coerenza complessiva e una visione della realtà potente e suggestiva. Come spesso in Bellocchio, il prodotto evidenzia qualche limite che lo rende non del tutto compiuto: la non eccelsa recitazione del cast (a parte il grande Herlitzka), qualche indugio (e forse semplificazione) di troppo nella descrizione della dialettica di violenza nella prima parte, sono alcune pecche che comunque non incidono sulla validità del tutto. Siamo lontani dalla forza prorompente e diretta de I pugni in tasca, ma il cinema di Bellocchio mantiene intatta, sia pure nell'affinamento nel tempo di uno stile molto meno aspro e più attento alla costruzione delle immagini, una grande capacità di mobilitazione emotiva verso la cancrena liberticida della corruzione del potere (o del potere infestante della corruzione).
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fabiofeli
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martedì 15 settembre 2015
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l'insostenibile pesantezza del potere
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In un racconto ellittico o, meglio, a spirale, ambientato in un micro-universo si inseguono passato e presente con personaggi fisicamente uguali come "Doppelgaenger" e con ruoli e nomi simbolici. Torna il tempo oscuro nel quale una donna (qui L. Liberman), le donne venivano forzate a prendere i voti ancora bambine e al risveglio della matura età la donna, le donne vivevano la drammatica contraddizione tra le scelta definitiva ormai fatta e il loro sentire: è stato scritto nel DNA letterario italiano da Manzoni. Alla "Santa" Inquisizione si confessa il vero e il falso, perché i mezzi usati piegano chiunque. Oggi per fortuna non è più così, ci si rassicura.
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In un racconto ellittico o, meglio, a spirale, ambientato in un micro-universo si inseguono passato e presente con personaggi fisicamente uguali come "Doppelgaenger" e con ruoli e nomi simbolici. Torna il tempo oscuro nel quale una donna (qui L. Liberman), le donne venivano forzate a prendere i voti ancora bambine e al risveglio della matura età la donna, le donne vivevano la drammatica contraddizione tra le scelta definitiva ormai fatta e il loro sentire: è stato scritto nel DNA letterario italiano da Manzoni. Alla "Santa" Inquisizione si confessa il vero e il falso, perché i mezzi usati piegano chiunque. Oggi per fortuna non è più così, ci si rassicura. Ma dalle mani di un "potere assoluto" non si scappa: in "Buongiorno, notte", invece, Aldo Moro (R. Herlitzka) trova carcerieri dormienti e porte aperte come un novello San Pietro, ma è solo visione onirica di M. Bellocchio. Intercambiabilità di personaggi, persone fisiche e nomi simbolici, dicevamo: il soldato alleato degli inquisitori (P. G. Bellocchio) vendicatore incompiuto del fratello suicida ammaliato dalla "strega" ritorna nel microcosmo del paese arroccato in Val Trebbia come seduttore e poi moderno truffatore; le sorelle Perfetti (A. Rohrwacher e F. Fracassi),nubili, verrebbe spontaneo chiamarle "Sorelle Mai", perché mai hanno provato le gioie dell'amore e del sesso prima di allora; Herlitzka ritorna come vampiro metaforico, il conte Basta, assetato del sangue, del nostro sangue, ridicolo quel tanto che basta (!) col suo canino cariato, ma pericoloso al punto di far esclamare "Basta con questo Potere oppressivo", cementato dalla melma dei falsi invalidi con pensione per la perpetuazione del Sistema. Fanno breccia in quel cemento lo sguardo d'odio di chi vive murata e le sirene delle gazzelle della Guardia di finanza. Recitazione ineccepibile a riprova di un talento innegabile della regia, pur senza l'acuto indimenticabile di 50 anni fa, "I pugni in tasca" con l'Alessandro-Lou Castel, precursore e anticipatore nella sua gestualità e dei suoi misfatti della durezza dei gemelli di Szasz ne "Il grande quaderno" e degli scatti nevrotici dello Steve di X. Dolan in "Mom". La fotografia di D. Cipri veste la storia di immagini che restano nella retina e nella memoria dello spettatore; parte del pubblico è sconcertata; qualcuno parla di minestra riscaldata, svelando di non conoscere le qualità seducenti di una ottima"ribollita".
Da non mancare
Valutazione *** 1/2
FabioFeli
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toni mais
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lunedì 14 settembre 2015
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assolutamente coerente ma nell'insieme sgradevole
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il filo conduttore tra i due episodi sta nella segregazione: involontaria per la monaca, volontaria per il Conte Dracula.
La monaca viene murata viva ma il suo spirito è salvo. Subisce una violenza dal sistema,reagisce e vince. Il conte dracula
erge a sistema parassitario,vampiresco la propria volontaria segregazione e soccombe.Una società asfittica la seconda contrapposta
ad una libertà ideologica per la quale si è disposti a pagarne il prezzo la prima.
La vita reale ci ha consegnato numerosi esempi di questa contrapposizione e non ci stupisce più.
Stilisticamente sorpassato dunque.
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