Hungry Hearts

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Un film di Saverio Costanzo. Con Adam Driver, Alba Rohrwacher, Roberta Maxwell, Al Roffe, Geisha Otero.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 109 min. - Italia 2014. - 01 Distribution uscita giovedì 15 gennaio 2015. MYMONETRO Hungry Hearts * * * 1/2 - valutazione media: 3,61 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

In bilico e disaccordo per far crescere un bimbo. Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


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lunedì 13 febbraio 2017

 

HUNGRY HEARTS (IT, 2015) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ADAM DRIVER, ALBA ROHRWACHER, ROBERTA MAXWELL, AL ROFFE, GEISHA OTERO, JASON SELVIG

Jude, ingegnere americano, e Mina, ambasciatrice italiana, si incontrano casualmente nel bagno di un ristorante cinese mentre vi rimangono bloccati (l’unica scena un po’ divertente, ma dalla comicità di dubbio ed opinabile gusto). Si innamorano e decidono di sposarsi. Mina è orfana della madre e ha un padre anziano con cui non intrattiene più rapporti da tempo. Jude ha una madre iperprotettiva che vuole però tenere fuori dalla sua vita sentimentale. Mina rimane incinta, e fin dai primi tempi della gestazione capisce che il suo sarà un bambino speciale, credendo perfino ad una chiromante che le preannuncia che partorirà un "bimbo indaco". I problemi cominciano dopo il parto, che per altro avviene senza che Mina ne sia consapevole, in quanto i chirurghi effettuano un cesareo per il ritardato arrivo delle contrazioni: il neonato non ha uno sviluppo regolare, poiché la madre, oltre che proteggerlo dall’inquinamento esterno di New York (la metropoli in cui la vicenda è ambientata), lo nutre esclusivamente con cibi vegetali, escludendo a priori la carne e tutti i derivati animali. Jude la asseconda finché un medico, dal quale porta il figlioletto, non lo avverte che il pargolo è in pericolo, dal momento che ben 93 bambini su 100 della sua età crescono con maggiore velocità di lui. Costretto ad alimentare il bambino di nascosto con tacchino liofilizzato e prosciutto, Jude viene infine scoperto dalla moglie, e allora la madre di lui lo convince a buttare la faccenda su vie legali. Contattata una detective privata, Jude sottrae con la forza il figlio alla consorte, ma una denuncia per percosse nei confronti del marito, dopo la permanenza forzata del bambino in casa della nonna, lo restituisce a Mina. A questo punto interviene la suocera, che elimina fisicamente la nuora. La scena finale mostra Jude che passeggia sulla spiaggia dell’oceano col figlio già un po’ cresciuto, mentre sua madre testimonia dietro le sbarre il motivo del suo assassinio. I riferimenti effettuati da una parte della critica verso le ambizioni e la potenza da thriller hitchcockiano o polanskiano sono esagerate: è un noir cupo, asciutto e sobrio (tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Fronzoso) che tratta un tema di scottante attualità, ma senza uno sguardo sufficientemente lucido da giustificarne la sua eccessiva lentezza narrativa, le sue frequenti incursioni nel moralismo e nella leziosità e un certo sottofondo di moralismo che ripristina in parte la figura di Jude e fa di Mina un’insolita, ma anche inadeguata antagonista (ovviamente giocoforza e contro la sua stessa volontà), una donna che pensa di agire per il bene del figlio ma che in realtà, come anche il marito sottolinea, non senza un tocco di amaro sarcasmo, ne decreta la lenta e inesorabile morte per inedia. Il soggetto della fame infantile non è mai stato analizzato molto a fondo nel cinema, compreso quello italiano, ma la pellicola di Costanzo (che già aveva diretto la Rohrwacher nel poco convincente adattamento cinematografico de La solitudine dei numeri primi del Premio Strega Paolo Giordano, uscito nel 2010) lo banalizza abbondantemente volendo insistere troppo sulla vena dark e su una cupezza che ricerca sé stessa fino allo sfinimento, ma senza raggiungere punte di tensione drammatica che soddisfino. Al suo attivo ha invece due interpretazioni principali sotto le righe, ma non sottotono: entrambi premiati con la Coppa Volpi a Venezia 2014, Driver e la Rohrwacher imbastiscono un buon lavoro di squadra che valorizza ampiamente la rabbia di lui e la testardaggine coesa e inarrestabile di lei, volti tutti e due al mantenimento e all’allevamento del frugoletto, ma con modi d’agire, pensieri e intenzioni decisamente agli antipodi gli uni rispetto agli altri, come dimostrato dai comportamenti che adottano per un compito positivo, ma che diventa pericoloso e destabilizzante nell’istante stesso in cui una giovanissima vita umana corre rischi inenarrabili. Un po’ in disparte il personaggio della madre di Jude nella prima metà del film (una R. Maxwell che fa della coerenza un elemento fortificante in merito alla sua recitazione tranquilla e ardente), poi più opportunamente rivalutata nel secondo tempo. Per il resto, l’opera è popolata di piccoli personaggi che compaiono con estrema brevità, impiegando i pochissimi minuti in scena per supportare la coppia protagonista, il cui movente (la crescita di un bimbo fuori dal comune) diviene anche l’alibi dei loro atti, generosi e cortesi in apparenza, ma assai più deleteri, autodistruttivi ed egoistici se si scende più in profondità. Insomma, un tema abbastanza originale, ma non compiuto ed eseguito con la creatività e la necessaria tetraggine che meritava, ma può vantare come marcia in più rispetto ad altri thriller drammatici usciti di recente una vena pessimistica neanche tanto velata, che definisce con forza una morale disperata, e anche un ambiente circostante che si muove come fosse una persona fisica, stabilendo una sorta di habitat pensante che condiziona le scelte di due giovani non ancora esperti della vita, che si affacciano ai problemi dell’esistenza adulta acquisendo solo con l’esperienza gli strumenti che occorrono per superare le avversità.

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