mericol
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mercoledì 11 febbraio 2015
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tra una storia d’amore e un thriller
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Singolare e accattivante l’esordio. Mina e Jude si trovano intrappolati nella toilette di un ristorante cinese, a New York. Manifestazioni di ansia,turbamenti. Poi in pochi minuti sorge l’amicizia. Singolare ugualmente il proseguire della intensa vicenda.
Sarà amore. Un amore ardente,denso di sensualità, con rapporti intensi, infuocati. Hanno un bambino. Al bambino la mamma dedica tutte le sue attenzioni. Una maga le suggerisce un progetto di purezza e Mina esaspera questo consiglio. Lo nutre con un metodo vegetariano, privandolo della normale alimentazione, tanto da causare un clamoroso ritardo di sviluppo. Jude che all’inizio la segue affettuosamente, quando avverte i rischi incontrati dal neonato, la contrasta sempre più energicamente, sino a chiedere la collaborazione di sua madre.
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Singolare e accattivante l’esordio. Mina e Jude si trovano intrappolati nella toilette di un ristorante cinese, a New York. Manifestazioni di ansia,turbamenti. Poi in pochi minuti sorge l’amicizia. Singolare ugualmente il proseguire della intensa vicenda.
Sarà amore. Un amore ardente,denso di sensualità, con rapporti intensi, infuocati. Hanno un bambino. Al bambino la mamma dedica tutte le sue attenzioni. Una maga le suggerisce un progetto di purezza e Mina esaspera questo consiglio. Lo nutre con un metodo vegetariano, privandolo della normale alimentazione, tanto da causare un clamoroso ritardo di sviluppo. Jude che all’inizio la segue affettuosamente, quando avverte i rischi incontrati dal neonato, la contrasta sempre più energicamente, sino a chiedere la collaborazione di sua madre.
Mina e Jude hanno evidentemente problemi esistenziali .Una infanzia e una adolescenza difficili, la solitudine, il disorientamento in una grande metropoli per lei. In grado minore per lui. I problemi sono superati dall’accendersi di un amore ardente all’inizio. Poi la nascita del bambino. Jude risolve i problemi affettivi, che si intrecciano, in maniera normale. Mina, certamente la più fragile tra i due, in modo anomalo, catatonico.
Qui il racconto diventa thriller, forse più esatto definirlo noir. Il male si sconfigge con altro male, per prospettare un futuro di normalità.
Il film è tratto dal romanzo “Il bambino indaco” di Marco Franzoso.
Il regista Saverio Costanzo fornisce una versione cinematografica ammirevole. Il senso di straniamento è lucidamente espresso dall’ambiente claustrofobico della residenza. Per i protagonisti la claustrofobia trova soluzioni temporanee uscendo dalla “tana” (se così si può definire)ed emergendo sul terrazzo ove si coltivano piante. La città, con i mezzi di comunicazione in perenne e tumultuoso movimento, appare estranea al vivere dei protagonisti. Le anomalie comportamentali di Mina sono lucidamente espresse dagli artifici fotografici del grandangolo e, a tratti, dalla deformazione visiva dei corpi. Alcuni stacchi narrativi sono originali, senza automatica consequenzialità visiva. Lasciano quindi partecipare più direttamente lo spettatore alla evoluzione della vicenda. Ad esempio l’inizio nella angusta toilette del ristorante e poi di seguito l’unione già avvenuta. E ancora la fase finale, un colpo di arma da fuoco , stacco e poi di seguito la dolente confessione dell’autrice del delitto. La musica di Piovani interviene opportunamente ed efficacemente a sottolineare i diversi momenti dell’evolversi della vicenda, coadiuvata anche da motivi noti della musica leggera( tu sì ‘na cosa grande ppe mme..). Uguale grande merito ai 2 interpreti. Lei, Rohrwacher, lui Drive, meritatamente Coppa Volpi a Venezia.
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amgiad
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lunedì 19 gennaio 2015
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film sopravvalutato
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Film noioso. Dopo la prima scena in toilette (originale), il resto scorre prevedibile. Personaggi disegnati a spatola. Stancante uso della dissolvenza, e scolastico dell' anamorfismo. La Rohrwacher rischia di diventare prigioniera di un personaggio di maniera. Efficace l' effetto del colpo (di scena) finale. Nel complesso ho avuto l' impressione di uno svolgimento didascalisco. Resta meritevole l' intenzione di voler presentare una storia su un caso particolare della sindrome di Munchausen.
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kronos
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domenica 31 maggio 2015
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thriller vegano
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Tratto da un romanzo italiano sapientemente riambientato in una fredda e apolide New York, "Hungry hearts" è non solo un bel melodramma-thriller, intriso d'ispirate atmosfere polanskiane, ma è anche un film cucito su misura sulle derive salutistiche e alimentari che ossessionano un crescente numero di cittadini occidentali.
Una sorta di thriller vegano che sul confine del paradosso (ma neanche troppo) inquieta e induce alla riflessione.
I due attori protagonisti hanno le caratteristiche fisiognomiche e interpretative giuste per comunicare agli spettatori il disagio dei personaggi, anche se Alba Rohrwacher si doppia da sè con esiti incerti.
VOTO FINALE: Tre stelline e mezzo
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stefania portaccio
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martedì 20 gennaio 2015
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qualunque cosa voglia essere, non ci riesce
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Forse è un film coraggioso, che denuncia come il pensiero religioso - la credenza, qualunque essa sia - scacciato dalla porta, torni più totalizzante che mai, dalla finestra, in forme sempre nuove. Quello che manca, non si capisce, perché non è delineato, è come il personaggio (Mina) ne cada preda. Il processo del suo impazzimento (o, più interessante, della sua adesione fanatica a una fede) è incomprensibile.
Oppure si potrebbe leggerlo come tragedia, contrasto irrisolvibile tra il potere assoluto che le donne avrebbero, o si ascriverebbero, di competenza sulla vita e quindi sulla morte, e l'uomo che invano cerca di contemperare, di salvare, ragionando, mediando, capra e cavoli. Ma anche così rimane debole.
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Forse è un film coraggioso, che denuncia come il pensiero religioso - la credenza, qualunque essa sia - scacciato dalla porta, torni più totalizzante che mai, dalla finestra, in forme sempre nuove. Quello che manca, non si capisce, perché non è delineato, è come il personaggio (Mina) ne cada preda. Il processo del suo impazzimento (o, più interessante, della sua adesione fanatica a una fede) è incomprensibile.
Oppure si potrebbe leggerlo come tragedia, contrasto irrisolvibile tra il potere assoluto che le donne avrebbero, o si ascriverebbero, di competenza sulla vita e quindi sulla morte, e l'uomo che invano cerca di contemperare, di salvare, ragionando, mediando, capra e cavoli. Ma anche così rimane debole. Debole il passaggio dalla dimensione quotidiana a quella tragica.
Oppure è un thriller. Ma dov'è l'ambiguità dei personaggi? L'ansia per la sorte del piccolo genera oppressione, non certo quell'eccitazione, intreccio di presagi scuri e aspettative di svolta positiva, propria del thriller.
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[+] veramente non ci riesce lei!
(di marezia)
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michele
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mercoledì 14 gennaio 2015
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mina's baby
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La 71a Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia lo scorso anno ha presentato tre titoli italiani in gara. Per la prima volta dopo un lungo periodo in cui il cinema nostrano è stato spesso pesantemente fischiato e criticato per le opere presentate, l’ultima edizione del Festival ha rivelato davvero degli ottimi lavori, sia Martone con ‘Il giovane favoloso’ che Munzi con il suo ‘Anime nere’ hanno emozionato il pubblico. Saverio Costanzo con ‘Hungry Hearts’ lo ha letteralmente conquistato. In lizza fino all’ultimo tra i papabili vincitori del Leone d’Oro si è dovuto accontentare (si fa per dire) dei premi sia maschile che femminile per le migliori interpretazioni, andati rispettivamente ad Adam Driver e all’italiana Alba Rohrwacher. Ambientato interamente a New York, la forza del film sta sicuramente nell’utilizzo di un artificio narrativo bello e delicato allo stesso tempo come quello della commistione dei generi cinematografici. Il film inizia in maniera comica con i due protagonisti che si conoscono in un bagno pubblico e da cui non riescono ad uscire perché la porta si è bloccata e l’aria non è molto… respirabile. Subentra la commedia che ci descrive il legame sentimentale dei due personaggi Jude e Mina che si uniscono in matrimonio e vanno a vivere in un appartamento a Manhattan. Ma la vita coniugale si sa che non è tutta rosa e fiori e quando arriva un figlio il rapporto della coppia peggiora improvvisamente. E’ il momento del dramma. Mina si rivela una madre possessiva verso il bambino. Lo costringe a seguire una dieta vegana che gli impedisce di crescere, non lo sottopone alle cure mediche di routine perché non si fida della medicina tradizionale, non escono mai di casa perché l’aria esterna potrebbe essere nociva per il piccolo. Al dramma si sostituiscono scene al limite dell’horror, scene che Costanzo riesce ad ottenere tramite una sapiente regia che sa come impostare il cambio di ritmo e di stile, uno stile che non esitiamo a definire dagli echi polanskiani (riferimenti soprattutto a ‘L’inquilino del terzo piano’ e ‘Rosemary’s baby’). La parte conclusiva è invece un thriller puro che tiene alta la suspence e la dinamica della storia, nonostante qualche sbavatura ad onor del vero in questa fase ci sia (la scena della madre che cerca di bloccare la nuora che è andata a riprendersi il figlio è profondamente sbagliata, involontariamente comica), fino ad arrivare ad un finale di struggente bellezza e malinconia. Operazione davvero interessante quella di Costanzo che ci regala un film inusuale (almeno per la cinematografia italiana) e soprattutto spiazzante per la capacità con cui, in maniera ben calibrata e precisa sa far cambiare pelle al film, spaziando attraverso una gamma di generi davvero eterogenei tra loro che non disgregano affatto la storia, ma anzi la rinsaldano e la rendono, per quanto angosciante, solida e intensa.
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antonietta dambrosio
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martedì 27 gennaio 2015
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un amore malato frutto di fame d'amore
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Hungry hearts - recensione
Un amore malato frutto di fame d'amore, che scava il corpo fino ad unire le deboli ossa con un sottile strato di pelle, unica superficie che rimane in contatto col mondo. Mina (Alba Rohrwacher) è una giovane donna che vive a New York per lavoro, incontra Jude (Adam Driver) nello stretto spazio della toilette di un ristorante ed il suo unico sorriso è l'inizio della loro storia d'amore. Lo spazio che li accoglie si allarga di poco, nella misura di un monolocale dove un amore già in odore di minaccia per la notizia del trasferimento di Mina, prende forma e si salda attraverso un test di gravidanza. Della loro festa di matrimonio rimangono le note di "Tu si na cosa grande" che Jude dedica a Mina, il suo vago sorriso, pochi passi di una danza che emana amore e dolore, e parole che confermano la solitudine di Mina gridate oltre la musica alla mamma di Jude.
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Hungry hearts - recensione
Un amore malato frutto di fame d'amore, che scava il corpo fino ad unire le deboli ossa con un sottile strato di pelle, unica superficie che rimane in contatto col mondo. Mina (Alba Rohrwacher) è una giovane donna che vive a New York per lavoro, incontra Jude (Adam Driver) nello stretto spazio della toilette di un ristorante ed il suo unico sorriso è l'inizio della loro storia d'amore. Lo spazio che li accoglie si allarga di poco, nella misura di un monolocale dove un amore già in odore di minaccia per la notizia del trasferimento di Mina, prende forma e si salda attraverso un test di gravidanza. Della loro festa di matrimonio rimangono le note di "Tu si na cosa grande" che Jude dedica a Mina, il suo vago sorriso, pochi passi di una danza che emana amore e dolore, e parole che confermano la solitudine di Mina gridate oltre la musica alla mamma di Jude. E poi un sogno ricorrente, sempre quello, di un colpo di fucile, del cervo abbattuto e del cacciatore che svanisce nella notte. Un sogno che scava mente e corpo, conduce Mina in una bolla che separa lei ed il suo bambino indaco dal resto del mondo, e mentre si lascia guidare da un credo basato su un'alimentazione vegana e biologica, rifiuta ogni consulto medico tanto da compromette la gravidanza ed il parto. La fiducia, l'amore di Jude nei confronti di Mina è tanto forte da consentirle di comprimere la loro vita nello spazio di una casa asettica, senza sole, senza mondo, senza voci, solo pelle di Mina sulla pelle del suo bambino. Forse non si può inventare un amore solo sognato e mai vissuto. L'istinto di protezione di Jude verso suo figlio che non cresce si insinua fino a rompere con violenza la bolla di follia di Mina, sostenuto solo dal conforto di sua madre, una lucida e feroce Roberta Maxwell. Saverio Costanzo mette in scena una storia tratta dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso scavando nell'animo umano attraverso una macchina da presa che restringe ed allarga gli spazi fluttuando nel dolore e con una lente deformante ritrae ancora una volta una realtà segnata dalla solitudine. La storia di una follia che di straordinario ha solo l'unione armonica di una fotografia bellissima di un dramma che a tratti sconfina nel thriller, l'interpretazione di Alba Rohrwacher il cui profilo ha i tratti autentici del dolore e di Adam Driver , premiati a Venezia con la Coppa Volpi. Ma l'epilogo è orizzonte, è mare e cielo che si sfiorano, è ancora speranza che tra diverse forme di amore possa vincere la più pulita passando oltre ogni dolore.
Antonietta D'Ambrosio
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aristoteles
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martedì 28 luglio 2015
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hungry hearts
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Grandiosa l'interpretazione di Alba Rohwacher che sembra una donna veramente disturbata.
Per il resto il film non mi è piaciuto.
E' proprio la trama che non mi ha convinto.
Se una madre non nutre il proprio bambino fino al punto di rischiarne la morte o farlo crescere ,nella migliore delle ipotesi, rachitico, ovviamente un padre "normale" cercherà di porvi rimedio.
Naturalmente , se ognuno mantiene le proprie posizioni,si finirà in tragedia.
Tutto troppo scontato, se poi aggiungiamo inquadrature claustrofobiche ,giusto per aumentare il senso di angoscia, e dialoghi lentissimi , complessivamente il risultato mi sembra appena sufficiente.
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Grandiosa l'interpretazione di Alba Rohwacher che sembra una donna veramente disturbata.
Per il resto il film non mi è piaciuto.
E' proprio la trama che non mi ha convinto.
Se una madre non nutre il proprio bambino fino al punto di rischiarne la morte o farlo crescere ,nella migliore delle ipotesi, rachitico, ovviamente un padre "normale" cercherà di porvi rimedio.
Naturalmente , se ognuno mantiene le proprie posizioni,si finirà in tragedia.
Tutto troppo scontato, se poi aggiungiamo inquadrature claustrofobiche ,giusto per aumentare il senso di angoscia, e dialoghi lentissimi , complessivamente il risultato mi sembra appena sufficiente.
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sabato 16 luglio 2016
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di solito costanzo mi piace ma...
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Mi sono piaciuti altri film di Costanzo e mi è piaciuto anche In treatment, ma questo film ho fatto fatica a guardarlo tutto. Non che lui non sia bravo come regista anche se qui usa un po' troppo lenti deformanti,, non che gli attori non siano bravi (Alba Rohrwacher è sempre brava ma io l'ho preferita in altri ruoli) ma 108 minuti per raccontare una storia che comincia a girare a vuoto dopo la prima visita del bambino dal dottore non sono troppi?! Il messaggio sull'errore di estremizzare le ideologie è ovviamente condivisibile, finale "a sorpresa" ma in realtà facilmente indovinabile - soprattutto chi è stato a sparare - con inutile sottolineatura del sogno premonitore. In compenso, ritengo che una scena di un colpo di fulmine cosi assurda e per questo forse più realistica al cinema non si era mai vista! Quella è la vera perla attorial-registica del film.
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Mi sono piaciuti altri film di Costanzo e mi è piaciuto anche In treatment, ma questo film ho fatto fatica a guardarlo tutto. Non che lui non sia bravo come regista anche se qui usa un po' troppo lenti deformanti,, non che gli attori non siano bravi (Alba Rohrwacher è sempre brava ma io l'ho preferita in altri ruoli) ma 108 minuti per raccontare una storia che comincia a girare a vuoto dopo la prima visita del bambino dal dottore non sono troppi?! Il messaggio sull'errore di estremizzare le ideologie è ovviamente condivisibile, finale "a sorpresa" ma in realtà facilmente indovinabile - soprattutto chi è stato a sparare - con inutile sottolineatura del sogno premonitore. In compenso, ritengo che una scena di un colpo di fulmine cosi assurda e per questo forse più realistica al cinema non si era mai vista! Quella è la vera perla attorial-registica del film.
Ps: nota a latere per chi l'ha visto in originale: ma vi pare possibile che una che lavora nelle ambasciate a New York parli un inglese così brutto?!
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zarar
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domenica 18 gennaio 2015
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prova d'attrice
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All’inizio del film li vediamo intrappolati nel gabinetto di un ristorante cinese a causa di una porta bloccata: lui Jude, ingegnere newyorkese, lei Mina, italiana impiegata all’ambasciata. Lui cerca disperatamente di comunicare con l’esterno, lei si tappa il naso per la puzza. Un piano sequenza di qualche minuto, che, pur presentando elementi di sorridente comicità per la totale antiromanticità dell’incontro, comunica un senso sotterraneo di disagio. E non per caso. E’ infatti il prologo acido-ironico di una storia che gradualmente chiuderà i due in una trappola ben diversamente pericolosa e asfissiante. Jude e Mina si piaceranno, concepiranno un bambino, si sposeranno.
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All’inizio del film li vediamo intrappolati nel gabinetto di un ristorante cinese a causa di una porta bloccata: lui Jude, ingegnere newyorkese, lei Mina, italiana impiegata all’ambasciata. Lui cerca disperatamente di comunicare con l’esterno, lei si tappa il naso per la puzza. Un piano sequenza di qualche minuto, che, pur presentando elementi di sorridente comicità per la totale antiromanticità dell’incontro, comunica un senso sotterraneo di disagio. E non per caso. E’ infatti il prologo acido-ironico di una storia che gradualmente chiuderà i due in una trappola ben diversamente pericolosa e asfissiante. Jude e Mina si piaceranno, concepiranno un bambino, si sposeranno. Tutto sorride intorno a loro, suocera compresa, Mina è tenerissima, Jude la adora. Se non fosse che dietro al volto sorridente e allo sguardo affettuoso, un po’ smarrito, un po’ assente, della protagonista, non si annidasse una sofferenza e un disagio esistenziale la cui profondità si manifesterà al momento di scoprirsi incinta e poi in modo sempre più grave: vedremo che la gravidanza sarà per lei una sofferenza e un nido di paure; vittima di un’infanzia senza madre, probabilmente trascurata dal padre, Mina svilupperà nei confronti di suo figlio, prima ancora che nasca, un feroce desiderio di sottrarlo ad un mondo ostile, sporco, avvelenato; di mantenerlo in uno stato di assoluta purezza naturale, di vivere in simbiosi con lui senza alcuna intrusione, convinta com’è che solo l’istinto materno potrà suggerirle il meglio per capire le sue esigenze. Una vera ossessione per un rapporto ‘naturale’ madre-figlio, che la spingerà ad odiare il parto cesareo pur necessario, a non tollerare l’incubatrice, a rifiutare le visite pediatriche, gli omogeneizzati ecc. Vegana totale, non solo svilupperà una vera e propria anoressia, ma imporrà al bambino piccolissimo una dieta che lo affamerà e lo metterà addirittura in pericolo di vita. Questa spirale inaspettata porterà la piccola famiglia ad una crisi drammatica: Mina debole, amorosa, apparentemente cedevole e indifesa, in realtà è feroce nella sua determinazione. Jude farà un’enorme fatica prima a capire, poi a tentare di aggirare il problema senza far male a nessuno, in un corpo a corpo con Mina che si rivelerà una vera trappola senza uscita. Alla fine sarà lui a prendere una decisione che farà precipitare la storia verso una sua conclusione, che è inutile anticipare per chi non abbia ancora visto il film. Esile, con il suo volto pallido, i suoi colori chiari, la sua espressività da vergine fiamminga che può esprimere odio e amore con la stessa intensità malata e disarmante, Alba Rohrwacher ha il fisico perfetto per il ruolo e lo sfrutta al massimo della sua bravura. Per esprimere il senso della storia la regia sperimenta un nitido minimalismo ed un violento espressionismo in un’alternanza non priva di efficacia e con un’abile gestione delle inquadrature a delimitare gli spazi sempre più non comunicanti dei due protagonisti. Bella la scena quasi onirica del matrimonio restituisce il senso di un inizio felice diventato subito ricordo. Qualche forzatura è irritante: le teste che si dilatano con l’uso del grandangolo, come negli specchi di un LunaPark per indicare l’estrema tensione, finiscono con l’ottenere un effetto grottesco. I passaggi in nero per segnare i break temporali disorientano senza essere particolarmente significanti. Il titolo è incongruo. E’ un film interessante, ma le quattro stelle sono solo per la Rohrwacher.
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[+] costanzo da tenere sott'occhio
(di no_data)
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fabal
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domenica 29 ottobre 2017
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l'esterno contamina, l'interno è saturo
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New York. Mina e Jude restano chiusi nella toilette di un ristorante e fanno conoscenza, si innamorano e lei resta incinta. Inizialmente dubbiosa sulla maternità, Mina consulta una chiromante che prevede la nascita di un figlio color “indaco”, una creatura speciale che la madre si convince di dover proteggere dalle impurità. Inizia allora a manifestare una serie di comportamenti di tipo paranoide – ossessivo: rifiuta il cesareo, teme che il bimbo venga contagiato dall’esterno, impone una dieta vegana rigida che causa molto presto una malnutrizione per il piccolo. Rifiuta, inoltre, le cure della medicina tradizionale: niente pediatra né antibiotici per il bambino che accusa una febbre perenne.
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New York. Mina e Jude restano chiusi nella toilette di un ristorante e fanno conoscenza, si innamorano e lei resta incinta. Inizialmente dubbiosa sulla maternità, Mina consulta una chiromante che prevede la nascita di un figlio color “indaco”, una creatura speciale che la madre si convince di dover proteggere dalle impurità. Inizia allora a manifestare una serie di comportamenti di tipo paranoide – ossessivo: rifiuta il cesareo, teme che il bimbo venga contagiato dall’esterno, impone una dieta vegana rigida che causa molto presto una malnutrizione per il piccolo. Rifiuta, inoltre, le cure della medicina tradizionale: niente pediatra né antibiotici per il bambino che accusa una febbre perenne. Jude comincia a capire che qualcosa non va e porta il figlio da un dottore, finché la situazione non degenera.
Sin dalla prima scena Costanzo mostra il suo biglietto da visita: presentare le forzature (quasi claustrofobiche) della convivenza, a partire dalla fortuita conoscenza nella toilette maleodorante, dove uno spazio angusto intrappola il gigantesco e imbarazzato Adam Driver, ingegnere timido ma con la testa sul collo, e Alba Rohrwacher, orfana fin da piccolissima e in cerca spasmodica di un nucleo familiare a cui appigliarsi. Hungry hearts prosegue con lo stesso maniacale “stalking” registico, con una telecamera sempre inchiodata addosso ai protagonisti, a cui raramente viene concesso più di mezzo busto. Adam Driver, alto circa 1,90, deve spesso ingobbirsi per restare nell’inquadratura insieme alla minuta Rohrwacher, ma la differenza fisica tra i due è forse funzionale alla simbologia narrativa (nutrizione/malnutrizione, razionalità/paranoia) nonché a rendere lo spazio continuamente saturo.
Scriveva Sartre: “Ero un bambino, cioè uno di quei mostri che gli adulti fabbricano con i loro rimpianti”. La ricerca della purezza, la paura della contaminazione e gli altri rituali a cui Mina sottopone non sono affatto dettate da una mancanza d’amore – che, benché malato e possessivo, la donna in qualche modo prova o è convinta di provare - ma, in parte, da un tentativo irragionevole di risparmiare al figlio una catena di sofferenza portate dal contatto con l’esterno. Dall’altra è una risposta alle sue ossessioni irrisolte: Mina sogna spesso un cervo ucciso da un cacciatore e non mangia prodotti di origine animale, imponendo al piccolo lo stesso regime alimentare.
Ma l’interesse di Costanzo non è un bollare come “mode” pericolose le scelte come il veganesimo o la medicina alternativa: l’analisi è più radicata, interiore. E tanto più è netta la cesura col mondo esterno, tanto più i danni rischiano di ripercuotersi anche all’interno del nucleo familiare. Jude, sulle prime vittima di una sorta di ricatto morale dalla moglie, la quale lo riporta sempre al bisogno di unità, si riscatta con l’aiuto della madre. Disposta, per lui e per il nipotino, a fare un gesto estremo: amore o sottile rancore per una nuora manipolatrice?
I protagonisti hanno volti scavati e una sofferenza latente: grazie alle ottime performances di Driver e della Rohrwacher, soprattutto a livello fisico, Hungry Hearts è un dramma frontale di grande impatto emotivo che scuote sia le emozioni sia i nervi dello spettatore. Manca forse un maggiore approfondimento di Mina, il cui passaggio da donna “normale” a madre paranoica è troppo brusco, peraltro senza sfumature che limitano il confine tra la follia pura e una consapevole pianificazione dei metodi per eludere gli accorgimenti tradizionali che il marito vorrebbe per suo figlio.
Purtroppo la versione italiana difetta di incisività nelle voci: la Rohrwacher che ridoppia se stessa è a tratti inascoltabile e la chicca di Adam Driver che canta Tu sì na cosa grande per me di Modugno (peraltro con un’inaspettata dizione e ottima capacità vocale) si perde totalmente.
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