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Il cuore altrove

Fonti cinematografiche ibride in Hungry Hearts.
di Roy Menarini

In foto Alba Rohrwacher e Adam Driver in una scena del film Hungry Hearts di Saverio Costanzo.
Alba Rohrwacher (45 anni) 27 febbraio 1979, Firenze (Italia) - Pesci. Interpreta Mina nel film di Saverio Costanzo Hungry Hearts.

sabato 17 gennaio 2015 - Approfondimenti

Per qualche ragione, pur genericamente apprezzato, Saverio Costanzo viene raramente promosso al novero degli autori italiani contemporanei che contano di più, per intenderci al livello di Garrone e Sorrentino. Certamente i suoi film sono stati meno eclatanti dal punto di vista del dibattito pubblico, dei premi vinti, dell'interesse della critica e forse anche degli incassi (per il buon successo di La solitudine dei numeri primi, vi sono molte opere di nicchia compreso Hungry Hearts).
Eppure, se c'è un regista che esprime al meglio la necessità di dotarsi di strumenti diversi e più eclettici per fare cinema in Italia è proprio Costanzo. Hungry Hearts ne è prova evidente. Non si tratta solo di deterritorializzare le consuetudini filmiche del cinema italiano (andando a girare in condizioni di semi-indipendenza produttiva a New York), ma di lasciar entrare - come da una finestra lasciata aperta - influenze disparate e rigenerative. Già in La solitudine dei numeri primi, la benefica influenza dell'horror argentiano e le citazioni da Shining venivano utilizzate da Costanzo come una sorta di modello interpretativo (anche piuttosto infedele) del romanzo di Paolo Giordano, rispettato alla lettera ma totalmente reinventato quanto a lettura iconografica. Qui - come è stato detto da qualche critico - il clima a metà tra Polanski e Zulawski non è certo un vezzo da cinefilo ma una modalità narrativa per esprimere una radiografia di coppia e di maternità che finalmente rifugge i cliché del cinema italiano, legati di solito al dramma borghese e allo psicologismo sentimentale più bassamente sociologico.
Persino sulla riconoscibilità degli attori si gioca una partita fondamentale. Costanzo intuisce i rischi che la ricorrenza dei personaggi interpretati da Alba Rohrwacher porta con sé (insicurezza, fobia, nevrosi, anoressia, e le altre disfunzioni psicologiche di tanti film in cui ha recitato) e - pur partendo dal continuity role - ha il coraggio di torcerne la figura fino a trasformarla in mostro, in "mater hysterica" sospesa tra ansia, misticismo e disturbo alimentare.
Qualcun altro soffre di Costanzo la tendenza alla formalizzazione, all'intellettualismo e alla stilizzazione. Ben vengano! Se c'è un problema macroscopico del cinema italiano, questo è il contenutismo maniacale, la tentazione pedagogica, frutto di un'eredità scolastica e letteraria dura a morire.
Forse è per questo che Costanzo ricorre così spesso agli adattamenti, come in questo caso, come nella Solitudine, come per In memoria di me, perché scorge nel progetto di messa in scena e nelle operazioni di stile uno spazio di manovra enorme e sottovalutato nel nostro cinema, nel quale l'abbeverarsi a fonti cinematografiche non autoctone (dal genere americano al cinema d'autore radicale) garantisce immediati vantaggi poetici. E anche quando quello spazio di adattamento sembra microscopico (pensiamo ovviamente alla versione italiana di In Treatment, di gran lunga la migliore di tutte, compreso l'originale), il lavoro di regia, di inquadratura, di posizionamento del corpo e degli oggetti, di ripresa, di direzione degli attori, diviene un campo improvvisamente sterminato, nel quale si trasformano anche i materiali più apparentemente immodificabili. Una volta si stigmatizzava il cinema italiano "due camere e cucina" (intendendolo claustrofobico e rinunciatario), con registi come Costanzo anche le case più modeste - come quella di Hungry Hearts - fanno respirare tutt'altra aria.

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