Che cos'è un Manrico

Film 2012 | Documentario, 77 min.

Anno2012
GenereDocumentario,
ProduzioneItalia
Durata77 minuti
Regia diAntonio Morabito
AttoriManrico Zedda, Stefano Romani, Vanda Petrelli, Vincenzo Tanassi .
Uscitagiovedì 7 aprile 2016
DistribuzioneCinecittà Luce
MYmonetro 3,00 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Antonio Morabito. Un film con Manrico Zedda, Stefano Romani, Vanda Petrelli, Vincenzo Tanassi. Genere Documentario, - Italia, 2012, durata 77 minuti. Uscita cinema giovedì 7 aprile 2016 distribuito da Cinecittà Luce. - MYmonetro 3,00 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 8 aprile 2016

Sette giornate normali per Manrico e il suo operatore, Stefano, trascorse nel cuore di Roma, d'estate, in sella ad una carrozzina a motore.

Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
Sette giorni di una quotidianità "diversa ma uguale" in un racconto pulsante di vita.
Recensione di Olivia Fanfani
Recensione di Olivia Fanfani

Un gelato al sole, voci stonate, sirene assordanti, quei ricordi un po' imbarazzanti che si stemperano con un sorriso e il caldo asfissiante di una Roma estiva, caotica, irrispettosa. L'avventura di Manrico e Stefano si dipana in due percorsi paralleli: due eroici personaggi che sembrano usciti da un libro di epica moderna, lottano con rabbia e determinazione, emancipati dall'idea dell'aitante eroe greco ma allo stesso tempo coraggiosi cavalieri in lotta con ostacoli anatomici.
Manrico è un uomo distrofico che vive con l'anziana nonna dopo aver perso entrambi i genitori.
Un uomo mosso da pulsioni e passioni, dalla nazionale di hockey in carrozzina -di cui faceva parte- alle donne, passando per i social network. Il lento ma progressivo avanzare della malattia lo ha costretto su una sedia a rotelle, che muove grazie alla leggera pressione dei pollici su un joystick. Stefano, l'operatore sanitario che lo accompagna nell'eterno peregrinare romano, è come l'ombra che non lo abbandona mai, amico e interlocutore con cui l'uomo si confronta sulle problematiche dell'esistenza, su quanto il grado di sopportazione possa trovare limiti solo nella mente umana e su quanto possano essere fastidiosi i sampietrini capitolini. "Avevi detto che la tua vita sarebbe finita quando avresti smesso di mangiare da solo", cose che si dicono. Eppure Manrico di mangiare da solo ha smesso ormai da tempo, la caparbietà invece è rimasta, e di fronte alle forze che vengono meno, appare un Davide che non si arrende alla lotta contro Golia.
Una normalità sondata nell'arco di sette giornate estive, seguita a breve, brevissima distanza dalla sferzante regia di Antonio Morabito (Il venditore di medicine), intento a esorcizzare una quotidianità "diversa ma uguale, lontana dai facili pietismi che la disabilità potrebbe suscitare". Ne emerge il ritratto crudo di un uomo combattivo, che anima dialoghi con lucidità estrema, sradicando i luoghi comuni che avvolgono la malattia. Si arrabbia Manrico, con le persone troppo accondiscendenti e con una nonna veemente, che non vorrebbe dividere l'affetto del nipote con nessun altro. La forza non nella tragedia, non nel dramma di un'esistenza intorno alla quale è crollato tutto, ma in un racconto pulsante di vita, che si dipana tra i meandri di una storia di intrecci e contraddizione, mossa da un innato e ancestrale spirito di avventura che argina ostacoli grazie a straordinarie peripezie.
La distrofia è "un lavoro a tempo pieno, dove non esistono vacanze: pasqua natale o capodanno". Ogni giorno è una sfida con la pedana di casa o con gli incivili che parcheggiano le automobili sulle rampe di accesso ai marciapiedi, ma i due sono determinati a farsi strada in sella a un'ironia pungente, senza bisogno che la malattia diventi l'unico tratto caratteristico dell'individuo. Quando poi la macchina da presa s'insinua tra le mura dell'abitazione che Manrico condivide con l'irrefrenabile nonna, s'intravede il sottile equilibrio entro cui Morabito muove la camera, consentendo alla vulnerabilità dell'uomo di entrare in campo senza nascondere i momenti più duri della giornata, in un'alternanza costante tra un linguaggio dissacrante e un ossigeno sempre più rarefatto.
Un documentario indirizzato a smantellare l'immaginario popolato da piccole nevrosi di cui si alimenta il pubblico contemporaneo, convinto che la distrofia si possa raccontare solo con sguardo tanto penoso quanto sgraziato. La camera a mano regala invece sequenze armoniose, che stridono con l'immagine sporca e discontinua così prossima al protagonista.
Con un'estetica dettata dall'esigenza tecnica, le angolazioni inconsuete permettono uno straordinario effetto realistico: ora dall'alto, ora dal basso o da terra, con i movimenti che ricreano quasi lo sguardo di un terzo personaggio (un altro Manrico?) in soggettiva. Ciò che emerge è un Manrico solare, topos funesto ma consapevole dell'eroe contemporaneo.

Sei d'accordo con Olivia Fanfani?
Sette giorni, tra gioie e difficoltà, insieme a Manrico.

Manrico è un trentenne distrofico, che muove debolmente solo la testa e i pollici. Orfano di padre e madre, vive da solo con la nonna ormai incapace di provvedere alle sue esigenze, in totale dipendenza da operatori sociali e volontariato. Manrico è un ex giocatore della nazionale di hockey su sedia a rotelle, un ex Robocop, uno stonatissimo cantante, un assiduo frequentatore di social network. Manrico è sarcastico, incisivo, provocatorio, sessuato, arrabbiato, ironico, sorridente, ridanciano.
Che cos'è un Manrico è un film documentario di Antonio Morabito che racconta sette giornate normali per Manrico e il suo operatore, Stefano, trascorse nel cuore di Roma, d'estate, in sella ad una carrozzina a motore. La quotidianità e la normalità di una persona diversa ma uguale, raccontata attraverso alcune giornate trascorse a fare slalom tra le macchine, arrampicandosi per i marciapiedi ostruiti, facendo tappa nei bar di Borgo Pio, nei ristoranti cinesi, a piazza San Pietro, fra i suonatori di strada di Campo De' Fiori, arginando in casa quel torrente in piena che è la nonna, andando a vedere una partita della sua squadra di hockey per la prima volta da spettatore, in mezzo a tanti altri Manrico.

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RECENSIONI DELLA CRITICA
Federico Pontiggia
Il Fatto Quotidiano

Mi sono abbastanza abituato, ma mi rode il culo". Confessione di Manrico, un 30enne distrofico che può muovere solo la testa, i pollici e il pene che - precisa - gli funziona ancora benissimo. Tallonato dal regista Antonio Morabito (il venditore di medicine) e aiutato dal suo assistente sociale Stefano, Manrico manda un bel vaffanculo al politically correct: dal concetto fallace di "diversamente abile" [...] Vai alla recensione »

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