audreyandgeorge
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giovedì 30 settembre 2010
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somewhere.. over the rainbow
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è la tipica risposta che si riceve postando questa parola su un social network. In effetti, il film è recente e non richiama il grande pubblico. Però mi chiedo se sia da escludere che il Mago di Oz, in tutto questo, possa avere qualche ruolo…
L’indifferenza di Moravia di sicuro ce l’ha: chi lo ha letto, sono certo, avrà come un dejà vu osservando con attenzione il ruolo giocato da ricchezza e successo nel vuoto d’anima di Johnny.
Radici assenti, non-luoghi in cui si non-abita, apatia e edonismo: tutti elementi marcati a dovere e sfacciatamente in contrasto con quanto portato dall’arrivo della figlia di 11 anni.
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è la tipica risposta che si riceve postando questa parola su un social network. In effetti, il film è recente e non richiama il grande pubblico. Però mi chiedo se sia da escludere che il Mago di Oz, in tutto questo, possa avere qualche ruolo…
L’indifferenza di Moravia di sicuro ce l’ha: chi lo ha letto, sono certo, avrà come un dejà vu osservando con attenzione il ruolo giocato da ricchezza e successo nel vuoto d’anima di Johnny.
Radici assenti, non-luoghi in cui si non-abita, apatia e edonismo: tutti elementi marcati a dovere e sfacciatamente in contrasto con quanto portato dall’arrivo della figlia di 11 anni. Undici, cioè assolutamente non più bambina ma decisamente ancora non donna! Proprio quell’età di “transizione” in cui si guardano i due mondi chiedendosi dove si vorrebbe andare… quindi l’età dei grandi quesiti, dei forti dubbi, proprio quello che porta nel padre il classico “breakthrough”: la scoperta che solo perdendo tutto quello che ha ottenuto col successo può capire ciò di cui ha veramente bisogno.
Questo mi pare sia tutto. Ma non arriva mica subito, o facilmente: nel film iniziano a parlare proprio quando cominci a pensare si tratti di un film muto… e, quando il film finisce non senti di aver raggiunto la fine, ed esci dalla sala chiedendoti se in realtà tu non fossi “somewhere else”.
Piano piano, lasciando decantare, qualcosa finalmente viene fuori. Non un granché, ma il gioco della Coppola forse era proprio quello.
Mentre il momento “italiano” del film l’ho trovato di cattivo gusto (se non offensivo), vedere la figlia di Johnny ordinare ingredienti dalla camera d’albergo per poi preparare da mangiare al suo papà con le sue manine mi è piaciuto. Una perla di tenerezza -all’interno di quel contesto- che forse è anche in parte autobiografica. Per questo vorrei legare il film a un piatto della tipica prima colazione americana fatta in casa: una cosetta che adoro, ma che in Italia non sono ancora riuscito a mangiare come si deve. I Pancakes. Per la ricetta e la recensione completa clicca su www.nonsolopizzaecinema.com
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(di elenute)
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metacritic
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lunedì 13 settembre 2010
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lentezza necessaria
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Analisi intensa di ciò che può accadere a chi, entrato nello Star Sistem, non ha più nulla da chiedere alla vita poiché intellettualmente vuoto, privo di profondità interiore e di alti o anche semplicemente di "altri" ideali, che non siano i soliti e molto terreni propositi di sesso, alcol, festini, e altre immense vacuità. Il sesso diventa troppo facile, tutto diventa troppo facile, i rapporti con l'altro completamente vuoti: il protagonista ha dei minimi scambi dialettici con gente che non conosce o che conosce a malapena e se l'arrivo di una persona più vicina a lui regala dei connotati diversi alla sua esistenza, la partenza della figlia svuota completamente il suo universo già iperatomizzato.
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Analisi intensa di ciò che può accadere a chi, entrato nello Star Sistem, non ha più nulla da chiedere alla vita poiché intellettualmente vuoto, privo di profondità interiore e di alti o anche semplicemente di "altri" ideali, che non siano i soliti e molto terreni propositi di sesso, alcol, festini, e altre immense vacuità. Il sesso diventa troppo facile, tutto diventa troppo facile, i rapporti con l'altro completamente vuoti: il protagonista ha dei minimi scambi dialettici con gente che non conosce o che conosce a malapena e se l'arrivo di una persona più vicina a lui regala dei connotati diversi alla sua esistenza, la partenza della figlia svuota completamente il suo universo già iperatomizzato.
I tempi lunghi fano parte della costruzione cinematografica della Coppola, come rendere meglio un certo tipo di disagio morale? Necessaria (x tutti?) la fuga dall'Italia, addirittura peggiore del suo mondo "incantato".
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voland
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domenica 27 febbraio 2011
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da qualche parte...probabilmente
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Sofia Coppola dipinge con leggerezza e sarcasmo la vita insulsa
di una 'star' del cinema holliwoodiano, sino alla suo risveglio,
complice la figlia undicenne.Una piccola parte vede tre personaggi
( e un ex-regista)tra i più rappresentativi del 'trash' della pattumiera
televisiva italiana, che interpretano penosamente se stessi, inducendo
il protagonista e la figlia a fuggire velocemente dal bel paese.
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kimera
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lunedì 6 settembre 2010
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da qualche parte.. si riparte..
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La grandezza del film è data dalla centralità della giovane co-protagonista femminile: una figura delicatissima e tenera! La purezza e spontaneità dei suoi undici anni che contrastano con l'ovvietà di un mondo patinato e sporco! Molto bella la fotografia dal gusto un pò retrò e altrettanto gradevoli e in sintonia le musiche (Phoenix).
Apprezzabile l'idea e la metafora del viaggio e dell'auto in corsa più volte richiamate dalla regia tutta tesa a rimarcare la frenesia di una vita spesa dietro a obiettivi effimeri e momentanei che poi, di colpo, in chiusura vengono abbandonati sull'orlo della strada insieme ad una macchina da corsa che sembra aver "finito" la sua corsa.
Quasi a significare che:è il momento di scendere per ripartire e per camminare con i "piedi per terra".
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La grandezza del film è data dalla centralità della giovane co-protagonista femminile: una figura delicatissima e tenera! La purezza e spontaneità dei suoi undici anni che contrastano con l'ovvietà di un mondo patinato e sporco! Molto bella la fotografia dal gusto un pò retrò e altrettanto gradevoli e in sintonia le musiche (Phoenix).
Apprezzabile l'idea e la metafora del viaggio e dell'auto in corsa più volte richiamate dalla regia tutta tesa a rimarcare la frenesia di una vita spesa dietro a obiettivi effimeri e momentanei che poi, di colpo, in chiusura vengono abbandonati sull'orlo della strada insieme ad una macchina da corsa che sembra aver "finito" la sua corsa.
Quasi a significare che:è il momento di scendere per ripartire e per camminare con i "piedi per terra".
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roberto simeoni
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domenica 5 settembre 2010
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magico e imperfetto
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Sofia Coppola torna dalle parti di "Lost in traslation" con una storia interessante nonostante l'esilità della trama (le inquietudini esistenziali di un attore divorziato ed il rapporto con la figlia) dimostrando di aver acquisito una notevole padronanza registica: a tratti inquadrature e montaggio hanno quasi la magia del Van Sant più sperimentale o del Jarmusch più ispirato. Peccato per qualche episodio poco riuscito (la trasferta milanese è dipinta senza la "cattiveria" che meriterebbe) e per un finale decisamente troppo debole.
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lili_k
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giovedì 23 settembre 2010
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il racconto del cinema
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Il primo pensiero inevitabile che si ha guardando l'ultimo film di Sofia Coppola va a Lost in translation, per varie cause: la location, un albergo e la poca vita che si sviluppa aldifuori di esso, la vita a due di una coppia non coppia, lì Bill Murray e Scarlett Johannson, quasi amanti, qui Elle Fanning e Stephen Dorff, figlia e padre.
La dinamica di coppia è sempre la stessa: cercare in due di sfuggire alla monotonia che altrimenti è la vita di uno solo. Situazione rappresentata dal piano fisso su macchina che si muove in circolo dell'inizio e sulla ripetitività delle azioni che in quanto tali, perdono anche l'alone di trasgressione che normalmente le accompagna.
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Il primo pensiero inevitabile che si ha guardando l'ultimo film di Sofia Coppola va a Lost in translation, per varie cause: la location, un albergo e la poca vita che si sviluppa aldifuori di esso, la vita a due di una coppia non coppia, lì Bill Murray e Scarlett Johannson, quasi amanti, qui Elle Fanning e Stephen Dorff, figlia e padre.
La dinamica di coppia è sempre la stessa: cercare in due di sfuggire alla monotonia che altrimenti è la vita di uno solo. Situazione rappresentata dal piano fisso su macchina che si muove in circolo dell'inizio e sulla ripetitività delle azioni che in quanto tali, perdono anche l'alone di trasgressione che normalmente le accompagna.
Questo film si distacca però dal suo predecessore per il soggetto finale del racconto: in Lost in translation si descrivevano due vite in cambiamento che per caso incappavano l'una nell'altra, in questo, la vita del protagonista è perfettamente risolta, si cerca piuttosto di descrivere in un modo nuovo, il mondo in cui quest'uomo di muove.
La vita di Johnny Marco è prevalentemente noiosa, almeno per noi che la vediamo dal suo punto di vista, nessuno lo vede mai come essere umano, ma solo come il famoso attore da cui andare a fare una festa oppure con cui andare a letto. Le giornate sono scandite dal nulla o dalle telefonate dell'agente che gli ricorda gli impegni.
Ad un certo punto entra in gioco sua figlia Cloe, che però non è un motore per la moralità, ossia, non fa in modo che Johnny da quel momento inizi a mettere in questione il suo stile di vita, ma è un elemento che lo lega alla realtà, al suo essere un essere umano probabilmente poco maturo.
I due vivono in questo limbo che ha i ritmi dello showbusiness, che non è la vita normale della maggioranza delle persone, e che è rappresentato fisicamente dallo Chateau Marmont, l'albergo-rifugio dove i due passano le giornate.
Tanto è che nel momento in cui la vita vera (o lo shit happens con cui i comuni mortali hanno sempre a che fare) entra in gioco, una macchina che si rompe, Johnny si chiede perplesso cosa fare.
Certo, un cambiamento c'è, o il personaggio vuole che ci sia così nelle ultime sequenze lo vediamo diventare attivo e andare, da qualche parte.
Fino a qui la disamina dei personaggi, ma aldilà della solita cura per le inquadrature, la Coppola in questo film vuole fare un discorso sul cinema, diverso da quello che fa chi il cinema lo ha studiato, piuttosto chi, volente o no, lo ha vissuto.
La prima parte del film è come una confessione della noia che permea questo mondo, dei tempi morti lunghissimi che lo caratterizzano e la struttura che sta dietro il glamour (per fare degli esempi: Johnny Marco che deve salire su di uno scalino per essere almeno alto quanto la sua partner durante un photocall o la seduta agli effetti speciali).
Un altro film, 50 anni fa, descriveva lo showbusiness in maniera un po' più godereccia e compiaciuta, anche se critica: La dolce vita di Federico Fellini.
Nella scena finale Mastroianni, appena uscito da una festa per assistere al ritrovamento di un pesce mostruoso sulla spiaggia, vede una ragazza che ha incontrato tempo prima, sempre in spiaggia. Lei non appartiene al mondo dello spettacolo e non cerca di entrarci. I due sono ad una certa distanza e tra di loro c'è una specie di fossato per lo scarico dell'acqua. La ragazza cerca di parlargli, ma lui non sente, complice il rumore del mare. Come ci insegnano al Dams, con questo Fellini vuole descrivere la distanza tra questi due mondi, sorvolo sulla scelta dei colori dei vestiti usati in questa scena per tenere dentro la norma il livello di nerditudine.
Una scena molto simile chiude la parentesi di normalità, data dalla presenza della figlia, nella vita di Johnny Marco: lei se ne va, lui cerca di dirle qualcosa, ma il rumore dell'elicottero copre ogni suono.
Il fascino di questo film è tutto qui, ed è anche il suo errore, visto che molti discorsi, che vengono riconosciuti da chi è un addetto ai lavori o un critico o un cinefilo, non sono poi così interessanti per tutti, insomma non si tratta di Effetto notte. La Coppola cerca insomma di far vedere quello che la macchina cinema è, senza gli imbellettamenti che siamo abituati a vedere.
Oltre tutto il suo protagonista è un attore di film d'azione, non certo di film indipendenti o impegnati, che quanto meno avrebbe avuto almeno un paio di party in più da seguire, rispetto a quelli che vediamo, quindi è più che evidente che si stia facendo un discorso intellettuale avendo come oggetto chi non lo è (Marco non ha fatto corsi di recitazione, ha solo preso un agente e fatto dei provini, scopriamo ad un certo punto).
Il film non è sul personaggio, ma è sul mondo in cui il personaggio vive, il che giustifica il suo essere passivo, per tre quarti di film; è parte di un mondo che essenzialmente lo fa lavorare.
Per questo non ci sono parabole evolutive o epifanie, Johnny Marco è il veicolo attraverso il quale fare un discorso sul cinema.
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reservoir dogs
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giovedì 28 ottobre 2010
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lasciare la ferrari per andare verso...
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Sofia Coppola torna con un altro bellissimo film sul tema dello 'spaesamento" in cui si trovano i protagonisti delle sue storie.
Johnny Marco è un attore di fama mondiale, ha tutto un lavoro che ama, donne, soldi e una rombante Ferrari ma la sua vita scorre irrimediabilmente senza una senso, legato al superfluo e ad i rapporti fugaci.
Una Ferrari che gira continuamente davanti ad una cinepresa immobile, come basita testimania così una vita ripetitiva e vuota del protagonista sin dalla prima scena.
Tutto cambia con l'arrivo della figlia Clio che scuote l'attore a tal punto da rendersi conto di essere entrato in un "circolo vizioso" che non lo porterà a nulla di concreto, il suo ruolo di padre è stato discontinuo, i suoi occhi cambiano quando vede per la prima volta la figlia pattinare e probabilmente anche il suo animo.
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Sofia Coppola torna con un altro bellissimo film sul tema dello 'spaesamento" in cui si trovano i protagonisti delle sue storie.
Johnny Marco è un attore di fama mondiale, ha tutto un lavoro che ama, donne, soldi e una rombante Ferrari ma la sua vita scorre irrimediabilmente senza una senso, legato al superfluo e ad i rapporti fugaci.
Una Ferrari che gira continuamente davanti ad una cinepresa immobile, come basita testimania così una vita ripetitiva e vuota del protagonista sin dalla prima scena.
Tutto cambia con l'arrivo della figlia Clio che scuote l'attore a tal punto da rendersi conto di essere entrato in un "circolo vizioso" che non lo porterà a nulla di concreto, il suo ruolo di padre è stato discontinuo, i suoi occhi cambiano quando vede per la prima volta la figlia pattinare e probabilmente anche il suo animo.
Il modo di vivere della figlia sconvolge così il padre e la cinepresa qui più analitica che mai attraverso la sua fissità testimonia questo suo cambiamento.
L'uomo se ne andrà dell'albergo in cui viveva da tempo e lascerà la Ferrari sul lato della strada proseguendo la sua nuova vita a piedi.
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lollo92
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domenica 12 settembre 2010
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una delizia
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Somewhere è il film più minimalista di Sofia Coppola. La sua quasi totale assenza di musiche (cosa che invece era quasi diventata un marchio di fabbrica), le sue lunghe inquadrature, i pochi dialoghi. Tutto in questo film è funzionale alla storia da raccontare.
Una storia che tocca momenti divertenti ed altri di assoluta delizia.
Fino ad arrivare ad un finale aperto che lascia sorridere e riflettere. Perchè in fondo la storia che Sofia racconta è una storia universale. Lei sceglie di mettere al centro un attore perché il cinema è il mondo che pensa di sapere meglio raccontare. Ma l'universalità della storia tocca chiunque sotto qualunque cielo, facendo riflettere ciascuno sulle proprie scelte e su quale destino abbiamo scelto di prendere.
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Somewhere è il film più minimalista di Sofia Coppola. La sua quasi totale assenza di musiche (cosa che invece era quasi diventata un marchio di fabbrica), le sue lunghe inquadrature, i pochi dialoghi. Tutto in questo film è funzionale alla storia da raccontare.
Una storia che tocca momenti divertenti ed altri di assoluta delizia.
Fino ad arrivare ad un finale aperto che lascia sorridere e riflettere. Perchè in fondo la storia che Sofia racconta è una storia universale. Lei sceglie di mettere al centro un attore perché il cinema è il mondo che pensa di sapere meglio raccontare. Ma l'universalità della storia tocca chiunque sotto qualunque cielo, facendo riflettere ciascuno sulle proprie scelte e su quale destino abbiamo scelto di prendere. Perchè il titolo proprio questo vuole dire. Non c'è los angeles con la sua frivolezze, non c'è Milano con la sua volgarità, non c'è nessuno hotel: c'è soltanto una storia, in cui chiunque dovrebbe riconoscersi, da qualche parte...
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alaska001
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giovedì 10 febbraio 2011
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sofia coppola raggiunge/supera lost in translation
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Sceneggiatura,fotografia,inquadrature ma anche titolo e colonna sonora sono complementari in questo film che,come Lost In Translation,non gioca su forti emozioni ma è incentrato su rapporti più intimi e pacati ma non per questo meno sinceri e profondi.Se ci si siede sul divano con l'aspettativa di trovare un film con una sceneggiatura articolata o patimenti sentimentali fatti di separazioni e ricongiungimenti si rimarrà indubbiamente delusi,se invece ci si lascia trascinare dalle inquadrature ferme,simmetriche e lunghe,con altrettanti lunghi silenzi che raccontano,senza condannare apertamente,il viscido mondo dello spettacolo,vissuto con apatia da Johnny Marco (classico attore hollywoodiano annoiato dalla fama,proprio come Bill Murray a Tokyo),che lascia spazio all'ingresso in punta di piedi della figlia Cleo nella vita del padre,si può vivere piacevolmente quest'ora e mezza curata nei dettagli.
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Sceneggiatura,fotografia,inquadrature ma anche titolo e colonna sonora sono complementari in questo film che,come Lost In Translation,non gioca su forti emozioni ma è incentrato su rapporti più intimi e pacati ma non per questo meno sinceri e profondi.Se ci si siede sul divano con l'aspettativa di trovare un film con una sceneggiatura articolata o patimenti sentimentali fatti di separazioni e ricongiungimenti si rimarrà indubbiamente delusi,se invece ci si lascia trascinare dalle inquadrature ferme,simmetriche e lunghe,con altrettanti lunghi silenzi che raccontano,senza condannare apertamente,il viscido mondo dello spettacolo,vissuto con apatia da Johnny Marco (classico attore hollywoodiano annoiato dalla fama,proprio come Bill Murray a Tokyo),che lascia spazio all'ingresso in punta di piedi della figlia Cleo nella vita del padre,si può vivere piacevolmente quest'ora e mezza curata nei dettagli.
Le feste e le donne lasciano spazio a un rapporto padre-figlia quasi amichevole davvero ben construito nelle sue sfaccettature senza subire un taglio drastico sebbene l'arrivo della figlia sia inatteso.Il tutto è costruito senza assumere toni troppo coloriti o manifestazioni sentimentalistiche dirette (ad eccezione di qualche sprazzo nell'ultima parte del film),nonostante ciò tutto risulta lucido e congegnato con idee ben precise e il messaggio alla fine risulti ben chiaro nonostante il finale sia semi-aperto (o forse no?).Love Like a Sunset dei Phoenix è la colonna sonora ideale per questo fiIm.
Il tentativo di Sofia Coppola è coraggioso,a causa dei temi già molte volte affrontati (l'opprimente mondo dello spettacolo,il rapporto padre e figlia),ma il modo in cui vengono affrontati,in modo estremamente minimalista,sono le immagini e i gesti a essere padroni,se non contribuisce a rendere la pellicola noiosa oltre che scontata,può diventare un'opera emozionante che giustifica pienamente il premio conseguito a Venezia
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enrico omodeo salè
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giovedì 17 febbraio 2011
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il seguito minimale di lost in translation
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Somewhere è un film molto coraggioso. Si apre con il logo della berlusconiana Medusa e subito dopo va in scena un piano sequenza di cinque minuti in cui il protagonista Johnny Marco (Stephen Dorff) compie, con la sua Ferrari nera, cinque giri di una strada anonima di campagna. Somewhere, "da qualche parte", ma forse sarebbe meglio intitolarlo Nowhere, "da nessuna parte". Una pellicola che ha il grande merito di scavare nel mondo delle star, un mondo che Sofia Coppola conosce molto bene, fatto di grandi alberghi, lusso sfrenato, sorrisi forzati da tutte le parti. Un mondo che rappresenta perfettamente l'altra faccia della globalizzazione, cioè l'omologazione di tutto: "somewhere".
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Somewhere è un film molto coraggioso. Si apre con il logo della berlusconiana Medusa e subito dopo va in scena un piano sequenza di cinque minuti in cui il protagonista Johnny Marco (Stephen Dorff) compie, con la sua Ferrari nera, cinque giri di una strada anonima di campagna. Somewhere, "da qualche parte", ma forse sarebbe meglio intitolarlo Nowhere, "da nessuna parte". Una pellicola che ha il grande merito di scavare nel mondo delle star, un mondo che Sofia Coppola conosce molto bene, fatto di grandi alberghi, lusso sfrenato, sorrisi forzati da tutte le parti. Un mondo che rappresenta perfettamente l'altra faccia della globalizzazione, cioè l'omologazione di tutto: "somewhere". I non luoghi sono gli aereoporti, i grand hotel, i tappeti rossi e, ancora più agghiacciante, ci sono anche le non persone, rappresentate in questo caso dalle due bionde che fanno lo striptease d'asporto (i comuni mortali si fermano alla pizza). Johnny dapprima non si rende conto di questo vuoto, che è anche un vuoto di parole (basta il sorriso, soprattutto nella sua trasferta italiana ai "Telegatti"). Poi c'è la svolta, grazie alla figlia (Elle Fanning), che in qualche modo fa uscire Johnny dal torpore, permettendogli involontariamente di interpretare per la prima volta un ruolo non finto, quello di padre. Fintanto che alla fine, al Chateau Marmont, si respira quasi aria di casa, essendo quell'albergo paradossalmente il primo luogo vero, in cui si ha anche il tempo di ascoltare un anziano inserviente suonare uno struggente "Teddy Bear" alla figlia.
Finale di speranza e una stupenda colonna sonora rock, che passa da Sting agli Strokes per concludersi con i Phoenix.
Per dirla in due parole, il seguito minimale di Lost in Translation. Difficile per gli over 50 apprezzare questo film di Sofia che sta sempre di più diventando una regista generazionale.
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