valeria de bari
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sabato 4 settembre 2010
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la metafora di un'esistenza in un piano-sequenza
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Johnny Marco (Stephen Dorff) è un attore alloggiato al famoso hotel Chateau Marmont che vive un'esistenza anestetizzata. Le giornate scorrono tutte uguali a loro stesse tra alcool, pasticche, sesso e ballerine di lap-dance a domicilio.
La vita di Johnny gira a vuoto, finché non arriva Cleo (Elle Fanning), sua figlia, detentrice di una genuinità e un'innocenza che si possono possedere solo a undici anni.
A partire da questo momento due mondi vengono posti a confronto: l'universo di Johnny si scontra con le lezioni di pattinaggio artistico di Cleo, con l'affetto con cui la ragazzina prepara la colazione, con le partite giocate a Guitar Hero. Il protagonista comprenderà così di dover dare letteralmente una svolta alla propria vita, cercando una qualche direzione (Somewhere, come suggerito dal titolo della pellicola).
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Johnny Marco (Stephen Dorff) è un attore alloggiato al famoso hotel Chateau Marmont che vive un'esistenza anestetizzata. Le giornate scorrono tutte uguali a loro stesse tra alcool, pasticche, sesso e ballerine di lap-dance a domicilio.
La vita di Johnny gira a vuoto, finché non arriva Cleo (Elle Fanning), sua figlia, detentrice di una genuinità e un'innocenza che si possono possedere solo a undici anni.
A partire da questo momento due mondi vengono posti a confronto: l'universo di Johnny si scontra con le lezioni di pattinaggio artistico di Cleo, con l'affetto con cui la ragazzina prepara la colazione, con le partite giocate a Guitar Hero. Il protagonista comprenderà così di dover dare letteralmente una svolta alla propria vita, cercando una qualche direzione (Somewhere, come suggerito dal titolo della pellicola).
Sofia Coppola riesce a suggerire il tema dell'esistenza persa e ritrovata anche soltanto con la sequenza introduttiva e con quella finale.
Cerchiamo di spiegarci.
Il film si apre su un interminabile piano-sequenza in cui una Ferrari entra ed esce dal campo seguendo un percorso circolare e girando intorno per parecchie volte. Alla guida dell'automobile c'è Johnny. Questa sequenza diventa metafora di un'esistenza che fondamentalmente non va da nessuna parte, perché continua a “girare su se stessa”.
Al contrario, nella sequenza con cui si chiude la pellicola, il protagonista finalmente consapevole di aver vissuto in un dirty world abbandona l'hotel e prende la Ferrari per seguire un rettilineo.
Lo spettatore non sa dove Johnny stia andando ma comprende che il personaggio sta prendendo una direzione per raggiungere infine il Somewhere del titolo.
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francesco giuliano
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venerdì 10 settembre 2010
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il vuoto dell'anima
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Sesso senza amore, Eros senza Psiche, monotonia, desideri non naturali e non necessari soddisfatti, squallore, superficialità, solitudine e ancora tanto altro nella vita di un uomo che ha molto successo e che possiede tutto ciò che la civiltà opulenta dei paesi post-industrializzati possa offrire, ma che ha il vuoto dentro di sé e attorno a sé. Un attore famoso che svolge una vita, programmata nei minimi particolari, e basata sul superfluo e sulla bizzarria e sullo sfogo degli istinti sessuali, con tante sottili e curate attenzioni, ma priva di significato e di affetto. Quell'affetto che, in termini epicurei, è un desiderio spontaneo naturale e necessario. Un desiderio questo che esplode nell'animo di John -così si chiama il protagonista - dal momento in cui è "costretto" ad accudire per un certo periodo la figlia undicenne, la quale manifesta quella genuinità sentimentale e spontanea nei confronti del padre caratteristica di quell'età.
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Sesso senza amore, Eros senza Psiche, monotonia, desideri non naturali e non necessari soddisfatti, squallore, superficialità, solitudine e ancora tanto altro nella vita di un uomo che ha molto successo e che possiede tutto ciò che la civiltà opulenta dei paesi post-industrializzati possa offrire, ma che ha il vuoto dentro di sé e attorno a sé. Un attore famoso che svolge una vita, programmata nei minimi particolari, e basata sul superfluo e sulla bizzarria e sullo sfogo degli istinti sessuali, con tante sottili e curate attenzioni, ma priva di significato e di affetto. Quell'affetto che, in termini epicurei, è un desiderio spontaneo naturale e necessario. Un desiderio questo che esplode nell'animo di John -così si chiama il protagonista - dal momento in cui è "costretto" ad accudire per un certo periodo la figlia undicenne, la quale manifesta quella genuinità sentimentale e spontanea nei confronti del padre caratteristica di quell'età. Sente John, allora, il bisogno di evadere da quel modo di essere e avverte la necessità riempire il vuoto che ha, cuocendo e mangiando un pentolone di spaghetti, e di acquistare quel vero senso della vita che lui non ha mai posseduto e di cui, adesso, colpevole l'amore della figlia, sente la necessità. Sente il bisogno naturale di trovare Psiche. E lo fa abbandonando tutte le fastosità che gli hanno creato il vuoto dell’anima (l’ultima scena del film, nella quale scende dal supertecnologico bolide nero e lo abbandona nella strada, è significativamente espressiva e molto efficace). Brava, anche questa volta dopo il successo di "Lost in traslation", la regista Sofia Coppola che ha magistralmente diretto Stephen Dorff e tutti gli altri attori con una scenografia essenziale ma efficace.
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alexia62
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giovedì 16 settembre 2010
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una ferrari nera
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Una Ferrari nera apre la prima scena del film e lo chiude con l'ultima.Una ferrari simbolo del lusso,del potere,dell'agio e anche della vacuità in cui vive,o meglio non vive il protagonista del film. Vita vacua fatta di droga ,sesso facile,alcool e tanta noia.....finchè compare inaspettata la figlia undicenne che lo pone di fronte alla cruda realtà e cioè che la vita è fatta di piccoli piaceri e non di frivolezze e la felicità sta nell'apprezzare le piccole cose come l'esibizione di pattinaggio artistico,la colazione preparata dalla figlia,una partita a tennis con la wi.....Ed infine resosi conto di ciò un pianto liberatorio al telefono con l'ex moglie e la decisione di cambiare vita.
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Una Ferrari nera apre la prima scena del film e lo chiude con l'ultima.Una ferrari simbolo del lusso,del potere,dell'agio e anche della vacuità in cui vive,o meglio non vive il protagonista del film. Vita vacua fatta di droga ,sesso facile,alcool e tanta noia.....finchè compare inaspettata la figlia undicenne che lo pone di fronte alla cruda realtà e cioè che la vita è fatta di piccoli piaceri e non di frivolezze e la felicità sta nell'apprezzare le piccole cose come l'esibizione di pattinaggio artistico,la colazione preparata dalla figlia,una partita a tennis con la wi.....Ed infine resosi conto di ciò un pianto liberatorio al telefono con l'ex moglie e la decisione di cambiare vita.
Bravissima la bambina,meno l'attore Stephen Dorff,bella la scenografia e la fotografia,buona la regia ,anche se molto offensiva secondo me l'idea di associare l'Italia al mondo frivolo,alla vita vissuta con superficialità (la premiazione dei Telegatti,il balletto orrendo della Marini).
Che altro dire?Alcune scene volutamente troppo lunghe,nel complesso un buon film.
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zozner
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domenica 5 settembre 2010
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non abbiamo solo la marini, la ventura e..
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Buono anche se un po' troppo pretenzioso. Ad esempio, pretendere che lo spettatore si "diverta" a vedere quattro, cinque minuti continui di riprese a camera fissa. Ho trovato invece molto interessante il riferimento alla cultura italiana, dove é vero che facciamo i conti con la Ventura, Frassica e la Marini ma, abbiamo il Duomo e il Colosseo, quelli veri e soprattutto registi come Olmi. Il finale é lo stesso dell'inizio del film "Centochiodi" dove il protagonista, interpretato da Raz Degan, lasciata Bologna, la sua macchina sportiva, nera, il successo e si avvia a cercare se stesso lungo il Po. In Somewehere, nel deserto, dando all'immagine un significato simbolico più diretta e pregnante.
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Buono anche se un po' troppo pretenzioso. Ad esempio, pretendere che lo spettatore si "diverta" a vedere quattro, cinque minuti continui di riprese a camera fissa. Ho trovato invece molto interessante il riferimento alla cultura italiana, dove é vero che facciamo i conti con la Ventura, Frassica e la Marini ma, abbiamo il Duomo e il Colosseo, quelli veri e soprattutto registi come Olmi. Il finale é lo stesso dell'inizio del film "Centochiodi" dove il protagonista, interpretato da Raz Degan, lasciata Bologna, la sua macchina sportiva, nera, il successo e si avvia a cercare se stesso lungo il Po. In Somewehere, nel deserto, dando all'immagine un significato simbolico più diretta e pregnante.
Non sono assolutamente d’accordo con quasi tutte le recensioni che ho letto, dove si da un peso rilevante se non addirittura determinante all'arrivo della figlia Cleo. Anzi, sembra che il film dica esattamente il contrario. Certo, nel vuoto esistenziale che il protagonista vive, la figlia sembra portare un po' di acqua fresca ma, non disseta, rimanda solo la scelta.
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nigel mansell
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martedì 14 settembre 2010
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dopo lost in traslation
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Dopo Lost in Traslation, ancora questi luoghi non luoghi, questa gente che è il riflesso di se stessa. La Coppola stessa afferma di avvere passato l'infanzia in questi alberghi alienanti così artificiosi e fuori dal mondo. La vita che scorre è quella della bambina che pattina e va in campeggio; quella fissa, che gira intorno a se stessa come la nera Ferrari 360 nel deserto, è invece l'esistenza del padre: bello, famoso, ma senza prospettive. Tutto concorre a creare questa sensazione, la telecamera molto fissa con le inquadrature lunghe ed interminabili, una colonna sonora quasi inesistente ed il rumore dell'otto cilindri di Maranello che ipnotizza.
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Dopo Lost in Traslation, ancora questi luoghi non luoghi, questa gente che è il riflesso di se stessa. La Coppola stessa afferma di avvere passato l'infanzia in questi alberghi alienanti così artificiosi e fuori dal mondo. La vita che scorre è quella della bambina che pattina e va in campeggio; quella fissa, che gira intorno a se stessa come la nera Ferrari 360 nel deserto, è invece l'esistenza del padre: bello, famoso, ma senza prospettive. Tutto concorre a creare questa sensazione, la telecamera molto fissa con le inquadrature lunghe ed interminabili, una colonna sonora quasi inesistente ed il rumore dell'otto cilindri di Maranello che ipnotizza. La coppola non ci fa vedere la ricca Los Angeles, ma la periferia, uguale a tutte le altre, alle nostre, a quelle asiatiche, a tutti i posti non posti. E poi questi alberghi, un pò fatiscenti oppure molto lussuosi, ma che non hanno niente di quella che vorremmo chiamare casa.
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sickboy
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giovedì 23 settembre 2010
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distanze incolmabili...
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Soldi, successo, bellezza, potere, sesso, lussi e stravaganze : nella "perfetta" vita dell'attore Johnny Mario, sembra non manchi nulla. Ma quando si presenta l'occasione di trascorrere alcuni giorni con la figlia Cleo, qualcosa comincerà ad incrinarsi... Sofia Coppola ha un grande pregio : pur non raccontando nulla di nuovo, sa usare un suo personale linguaggio espressivo, tale da far assumere ai suoi film una dimensione di rara efficacia. Fin dalla sua opera d'esordio, il cardine del suo cinema si fonda sull'incomunicabilità e le sue drammatiche conseguenze : incomprensioni, spaccature e distanze incolmabili. E così anche questa sua ultima fatica dall'emblematico titolo Somwhere, non fa eccezione.
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Soldi, successo, bellezza, potere, sesso, lussi e stravaganze : nella "perfetta" vita dell'attore Johnny Mario, sembra non manchi nulla. Ma quando si presenta l'occasione di trascorrere alcuni giorni con la figlia Cleo, qualcosa comincerà ad incrinarsi... Sofia Coppola ha un grande pregio : pur non raccontando nulla di nuovo, sa usare un suo personale linguaggio espressivo, tale da far assumere ai suoi film una dimensione di rara efficacia. Fin dalla sua opera d'esordio, il cardine del suo cinema si fonda sull'incomunicabilità e le sue drammatiche conseguenze : incomprensioni, spaccature e distanze incolmabili. E così anche questa sua ultima fatica dall'emblematico titolo Somwhere, non fa eccezione. La regista da la parola ai silenzi e al vuoto, avvisandoci che il cancro dei nostri tempi risiede nella incapacità dilagante di comunicare e nella dispersione che ne deriva, generatrice poi, di tragedie annunciate. E lo fa con il suo originale stile, che procede per sottrazione e mai per eccessi : l'apatia e il torpore della vita di Johnny , vengono mostrate senza sensazionalismi, fra giri a vuoto, siparietti scadenti, sorrisi di plastica (bellissima la scena del servizio fotografico per la promozione del film), aria fritta e silenzi assordanti. Impera la finzione della forma, ma la sostanza è totalmente assente. E questo per sottolineare che non c'è bisogno di prendere la strada dell'eccesso per raccontare il vuoto, ma esso è tragicamente annidato ormai nella nostra quotidianità, nascosta in ogni angolo della nostre vite ordinarie e ordinate. Avvalendosi di uno Stephen Dorff straordinariamente in parte, con la sua interpretazione misurata e della brava Elle Fanning, con una colonna sonora più assente del consueto e con il suo modo speciale di fare cinema, la Coppola ci regala l'ennesimo film del disagio, che nel finale, col protagonista che si allontana nel deserto, ci rende l'ultimo grande messaggio : il bene più prezioso di questi tempi è la serenità. Da qualche parte ,(Somwhere, appunto), non importa di preciso dove e come. Quello di cui abbiamo davvero urgente bisogno, è la serenità...
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jayan
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giovedì 23 settembre 2010
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la solitudine di un famoso attore
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Johnny Marco è un famoso attore che trascorre gran parte della sua vita, oltre alla recitazione nei film a vivere in grandi e lussuosi alberghi, circondato da donne facili che entrano nella sua camera per danzare seminude e fare l'amore con lui. Tutte vogliono andare a letto con il grande attore, tutti vogliono incontrarlo, ma solo perché è un attore famoso, non per altro. E lui si annoia, al punto da addormentarsi mentre fa l'amore con una donna. Tutte donne che incontra una volta e poi dimentica. Nessuna vera amicizia. Poi un giorno va a stare da lui la figlia avuta con la moglie da cui si era separato, una ragazzina di 11 anni, molto semplice e fresca di sentimenti.
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Johnny Marco è un famoso attore che trascorre gran parte della sua vita, oltre alla recitazione nei film a vivere in grandi e lussuosi alberghi, circondato da donne facili che entrano nella sua camera per danzare seminude e fare l'amore con lui. Tutte vogliono andare a letto con il grande attore, tutti vogliono incontrarlo, ma solo perché è un attore famoso, non per altro. E lui si annoia, al punto da addormentarsi mentre fa l'amore con una donna. Tutte donne che incontra una volta e poi dimentica. Nessuna vera amicizia. Poi un giorno va a stare da lui la figlia avuta con la moglie da cui si era separato, una ragazzina di 11 anni, molto semplice e fresca di sentimenti. Lei gli fa scoprire la gioia delle cose semplici, come suonare una chitarra senza corde in un videogioco, o semplicemente stare stesi su un materassino sull'acqua della piscina a rilassarsi. E quando dovrà andarsene lui entrerà in crisi, crisi dovuta al fatto che si sente solo e inutile, fino ad allora non aveva mai trovato il tempo per stare un po' con sua figlia. E allora va con la Ferrari in qualche luogo sconosciuto nel deserto, lascia l'auto a cuiera molto legato, e si incammina per andare "non si sa dove", alla scoperta della sua vera identità. La felicità è un fatto interiore, gli oggetti e le persone non potranno mai darcela. Sono proprio i bimbi, coloro che hanno conservato l'innocenza dell'adolescenza, che si entusiasmano per piccole cose, o quando fanno delle scoperte, sono proprio loro a essere felici. E Johnny lo comprende soltanto alla fine del film. Un altro capolavoro di Sofia Coppola, che ha giustamente meritato il Leone d'oro a Venezia. Da non perdere!
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francesco2
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venerdì 1 ottobre 2010
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e' nata un'autrice?forse.
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E' arrivato il Leone d'Oro, dunque, per chi era stato accusato ne di avere confezionato un polpettone storico("Maria Antonietta")postmoderno, come se l'alternativa all'elogio smodato del postmoderno sia considerare sempre questa parola sinonimo dis superficialità. Dopo elogi non sempre meritati per "Il giardino delle vergini suicide" e "Lost in Translation", questo film sembra ispirarsi proprio a quello con la Johannson, per come ironizza stile "Pret-à-porter" sulla vacuità di un certo mondo. Nelle prime scene si respira una ripetitività, forse non priva di presunzione, basata su insistiti primi piani riguardanti Dorrf, che, sia detto senza offesa, appare altettanto (in) espressivo come il "divo" che vorrebbe raffigurare.
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E' arrivato il Leone d'Oro, dunque, per chi era stato accusato ne di avere confezionato un polpettone storico("Maria Antonietta")postmoderno, come se l'alternativa all'elogio smodato del postmoderno sia considerare sempre questa parola sinonimo dis superficialità. Dopo elogi non sempre meritati per "Il giardino delle vergini suicide" e "Lost in Translation", questo film sembra ispirarsi proprio a quello con la Johannson, per come ironizza stile "Pret-à-porter" sulla vacuità di un certo mondo. Nelle prime scene si respira una ripetitività, forse non priva di presunzione, basata su insistiti primi piani riguardanti Dorrf, che, sia detto senza offesa, appare altettanto (in) espressivo come il "divo" che vorrebbe raffigurare. Tempo passato a fumare sigarette ed a perdersi in amorazzi(?) momentanei, a costo di avere due gemelle nello stesso letto. L'uomo è molto più famoso del personaggio interpretato da Murray, ma non ha né la sua ironia nè l'atteggiamento trasgressivo di quello di Scarlett, anche se la cui popolarità purtroppo si estende a a livello internazionale(Non è un caso se parteciperà ai Telegatti).
L'entrata in scena (In tutti i sensi) della figlia, peraltro realizzata attraverso un'efficace inquadratura che segue altro tempo perso dal protagonista, ma sancisce l'inizio di una nuova fase,d poteva assumere l'impostazione di un bieco pedagogismo politicamente corretto (La bambina ne sa di più). Ed invece, da questo punto in poi, la regista azzecca quasi tutto quello che dovrebbe azzeccare. Intanto la piccola protagonista, che non riesce a non strapparmi simpatia, il cui sguardo cerca di captare un mondo più grande(Sic!)di lei. In una scena, sembrano quasi gli occhi da cerbiatto della Hepburn in una scena di "Sabrina",dove l'innocua ex-cuoca (rac) oglieva con gli occhi "verità" su una classe superiore. Agevola la crescita del padre, in un mondo falso descritto con ironia sempre più acuta: i primi piani, ora sì, ricordano il meglio del film di Altman già citato, e purtroppo considerato da diversa gente un' opera minore. La stessa tecnica, dall'altra parte, viene applicata al padre, che si gode la piscina di turno disteso su un materassino(E se questo fosse una prima "Simulazione2"della distanza che poi prenderà alla fine?.)Ora l'uso di
questa tecnica è più motivato e meno ripetitivo, e il film si avvale (anche)di un'ottima fotografia per ca(r) pire degli scorci(ancora) della cosiddtta "verit"su ogni personaggio.
Quello stesso quadro desolante che emerge nella scena dei "Telegatti": stavolta si cerca di cogliere non l'inconsistenza del singolo, ma quella di un (Ex, per il momento) rito di massa, ma con risultati altrettanto brillanti. Relegare il malcapitato Nichetti ai peggiori personaggi del "Grande Fratello" serve, al contempo, a restituirci il senso della presenza della ragazzina: rassicura il padre visibilmente emozionato, non si appropria di un ruolo non suo, ma semplicemente gli regala pillole di maturità in un momento particolare.
Se Moretti, nel suo stupidamente celebrato "La stanza del figlio", attraverso il lutto cresceva ma era destinato a soffrire per sempre((La comparsa della Trinca gli dava qualche speranza), qui Dorrf smette i panni del "figlio cresciuto" grazie a chi l'ha spinto a maturare per davvero, in un finale troppo repentino ma realizzato molto bene: contrasto tra una musica tesa e la fuga del protagonista, una macchina che esplode senza che ne sentiamo il fragore. Forse è nata una regista.
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sodrunkintheaugustsun
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sabato 4 settembre 2010
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sofia coppola ci riesce ancora
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La storia ruota attorno al rapporto tra un padre e sua figlia interpretati impeccabilmente da Stephen Dorff ed Elle Fanning (la sorellina altrettanto brava di Dakota) guidati magistralmente da un inappuntabile regia di Sofia Coppola al suo quarto lungometraggio di cui il secondo con sceneggiatura originale.
E' impossibile non richiamare alla mente Lost in Translation guardando il suo nuovo lavoro (da considerare a mio parere più "complementare" che "simile"). Indubbiamente i due lungometraggi hanno molte (forse troppe) analogie negli elementi e in alcuni temi, tuttavia mentre in Lost in Translation la regista riusciva nel miracoloso intento di creare e mantenere un equilibrio impalpabile e indistinto che implode nel finale (ma che allo stesso tempo continua ad andare avanti); in Somewhere questo equilibrio rimane soffocato "da qualche parte" appunto, ossia perso in una serie di ambientazioni assolutamente prive di appartenenza e significato precisi per il personaggio di Dorff - intrappolato nel tipico non-tempo sofiacoppoliano che contribuisce in maniera ingente alla spirale del vuoto interiore del protagonista.
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La storia ruota attorno al rapporto tra un padre e sua figlia interpretati impeccabilmente da Stephen Dorff ed Elle Fanning (la sorellina altrettanto brava di Dakota) guidati magistralmente da un inappuntabile regia di Sofia Coppola al suo quarto lungometraggio di cui il secondo con sceneggiatura originale.
E' impossibile non richiamare alla mente Lost in Translation guardando il suo nuovo lavoro (da considerare a mio parere più "complementare" che "simile"). Indubbiamente i due lungometraggi hanno molte (forse troppe) analogie negli elementi e in alcuni temi, tuttavia mentre in Lost in Translation la regista riusciva nel miracoloso intento di creare e mantenere un equilibrio impalpabile e indistinto che implode nel finale (ma che allo stesso tempo continua ad andare avanti); in Somewhere questo equilibrio rimane soffocato "da qualche parte" appunto, ossia perso in una serie di ambientazioni assolutamente prive di appartenenza e significato precisi per il personaggio di Dorff - intrappolato nel tipico non-tempo sofiacoppoliano che contribuisce in maniera ingente alla spirale del vuoto interiore del protagonista.
Lo stile quieto ed intimista della Coppola rimane invariato: lunghe e lente inquadrature che catturano completamente lo Zeitgeist con sfumature e ritratti tipicamente "anni zero" che amalgama con riferimenti alla cultura pop (Twilight, Guitar Hero, Wii) ed elementi trash (di cui forse esagera un po'). La colonna sonora è come sempre un elemento fondamentale e strettamente relazionato alla pellicola.
Inoltre da segnalare un irresitibile cameo di Benicio del Toro, la scena dei telegatti che rappresenta in modo realistico la tragicomica realtà ripugnante della televisione italiana e una chitarra scordata con la quale si raggiunge un ossimorico picco di impalpabile dolcezza.
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audreyandgeorge
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giovedì 30 settembre 2010
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somewhere.. over the rainbow
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è la tipica risposta che si riceve postando questa parola su un social network. In effetti, il film è recente e non richiama il grande pubblico. Però mi chiedo se sia da escludere che il Mago di Oz, in tutto questo, possa avere qualche ruolo…
L’indifferenza di Moravia di sicuro ce l’ha: chi lo ha letto, sono certo, avrà come un dejà vu osservando con attenzione il ruolo giocato da ricchezza e successo nel vuoto d’anima di Johnny.
Radici assenti, non-luoghi in cui si non-abita, apatia e edonismo: tutti elementi marcati a dovere e sfacciatamente in contrasto con quanto portato dall’arrivo della figlia di 11 anni.
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è la tipica risposta che si riceve postando questa parola su un social network. In effetti, il film è recente e non richiama il grande pubblico. Però mi chiedo se sia da escludere che il Mago di Oz, in tutto questo, possa avere qualche ruolo…
L’indifferenza di Moravia di sicuro ce l’ha: chi lo ha letto, sono certo, avrà come un dejà vu osservando con attenzione il ruolo giocato da ricchezza e successo nel vuoto d’anima di Johnny.
Radici assenti, non-luoghi in cui si non-abita, apatia e edonismo: tutti elementi marcati a dovere e sfacciatamente in contrasto con quanto portato dall’arrivo della figlia di 11 anni. Undici, cioè assolutamente non più bambina ma decisamente ancora non donna! Proprio quell’età di “transizione” in cui si guardano i due mondi chiedendosi dove si vorrebbe andare… quindi l’età dei grandi quesiti, dei forti dubbi, proprio quello che porta nel padre il classico “breakthrough”: la scoperta che solo perdendo tutto quello che ha ottenuto col successo può capire ciò di cui ha veramente bisogno.
Questo mi pare sia tutto. Ma non arriva mica subito, o facilmente: nel film iniziano a parlare proprio quando cominci a pensare si tratti di un film muto… e, quando il film finisce non senti di aver raggiunto la fine, ed esci dalla sala chiedendoti se in realtà tu non fossi “somewhere else”.
Piano piano, lasciando decantare, qualcosa finalmente viene fuori. Non un granché, ma il gioco della Coppola forse era proprio quello.
Mentre il momento “italiano” del film l’ho trovato di cattivo gusto (se non offensivo), vedere la figlia di Johnny ordinare ingredienti dalla camera d’albergo per poi preparare da mangiare al suo papà con le sue manine mi è piaciuto. Una perla di tenerezza -all’interno di quel contesto- che forse è anche in parte autobiografica. Per questo vorrei legare il film a un piatto della tipica prima colazione americana fatta in casa: una cosetta che adoro, ma che in Italia non sono ancora riuscito a mangiare come si deve. I Pancakes. Per la ricetta e la recensione completa clicca su www.nonsolopizzaecinema.com
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[+] colonna sonora
(di elenute)
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