amokubrik
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mercoledì 3 ottobre 2018
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ho visto un gran film
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Per favore doppiateli sti film
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nylonhair
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domenica 7 gennaio 2018
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un'altra perla thriller dalla corea
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Dopo "Two Sisters" e "Il buono, il matto e il cattivo" Jee-woon Kim si conferma regista capace di nobilitare, attraverso la sua straordinaria capacità registica, soggetti di genere e non particolarmente originali. Da brividi la scena sul taxi.
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andrej
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giovedì 2 febbraio 2017
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un thriller violento ed avvincente
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Straordinario triller, dinamico, avvincente e molto ben fatto. Pur presentando personaggi e situazioni estremi e facendolo in modo assai crudo e realistico, il film si mantiene quasi sempre sul terreno del verosimile, diventando cosi’ piu’ credibile e ancora piu’ inquietante e spaventoso. Ben approfonditi i personaggi dei due protagonisti; superlativo quello del demoniaco serial killer, magnificamente reso da un bravissimo Choi Min Sik (il protagonista di Old Boy), qui veramente in stato di grazia e mai troppo sopra le righe. Ottime le scene d’azione (anche grazie alle notevoli doti atletiche dell’attore coprotagonista, Lee Byung Hun). Un film che non concede un attimo di tregua, altamente raccomandato agli amanti di questo genere
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tarantinofan96
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venerdì 2 gennaio 2015
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la vanificazione della vendetta
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Un'altra storia sull'inutilità della vendetta e sulle sue disastrose conseguenze. Un thriller teso, violento, pessimista e drammatico dalle atmosfere cupe in cui protagonista assoluto è il Male. Non ci sono buoni o cattivi in questo contesto, non esiste bene, ma soltanto male. La vendetta è vista come sentimento che ottenebra l'uomo e che lo riporta ad un primitivo istinto animalesco e quindi alla sua vera natura, ma anche come sfida persa in partenza: la vendetta è stupida, la violenza genera solo altra violenza e alla fine il male trionferà sempre.
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Un'altra storia sull'inutilità della vendetta e sulle sue disastrose conseguenze. Un thriller teso, violento, pessimista e drammatico dalle atmosfere cupe in cui protagonista assoluto è il Male. Non ci sono buoni o cattivi in questo contesto, non esiste bene, ma soltanto male. La vendetta è vista come sentimento che ottenebra l'uomo e che lo riporta ad un primitivo istinto animalesco e quindi alla sua vera natura, ma anche come sfida persa in partenza: la vendetta è stupida, la violenza genera solo altra violenza e alla fine il male trionferà sempre. Tecnicamente il film è ottimo: la regia di Kim, ora dinamica e adrenalinica, ora statica e claustrofobica, riesce a mantenere la tensione per tutta la durata della pellicola (più di 2 ore e 20 minuti) e gli attori danno grande prova delle loro capacità. I Saw the Devil è un film che amalgama perfettamente l'azione con il thriller, il dramma con momenti che si avvicinano all'horror. Una pellicola coinvolgente e a tratti disturbante che riesce a tenere lo spettatore incollato alla sedia, ma allo stesso tempo farlo riflettere. Un capolavoro del cinema contemporaneo che si spera che trovi presto una distribuzione italiana.
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the review from nowhere
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sabato 29 novembre 2014
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l'autoinganno dell'esistenza del diavolo
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Un thriller viscerale e adrenalinico, organico e, in molte occasioni, profondamente sgradevole, a causa di un'estetica scatologica invasiva e debordante, già dai primi minuti. Pornografico e stupido, assuefacente nella sua reiterata ed efferata violenza. Incentrato su un ambiguo rapporto tra un uomo comune e il Male, uno scontro tra il dolore e l'apatia, tra due temerarietà malate, tenute assieme da una comune facillità a ricorrere a torture di vario genere per urlare al mondo, noi crediamo, la propria incapacità di significare situazioni che lasciano impotenti, incapaci di vivere l'ineluttabile vuoto di un non senso, di accettare la realtà. La giustificazione dei mezzi in favore di un fine traducibile ad un istinto di puro godimento, sia esso espresso attraverso la vendetta o tramite l'abusiva sopraffazione dell'altro, si rintraccia in entrambi, in un continuo altrenarsi tra (pseudo)bene e male fino a confondersi, prevedibilmente, in un unico e deprecabile corpo sofferente, rappresentante l'uomo moderno nichilista.
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Un thriller viscerale e adrenalinico, organico e, in molte occasioni, profondamente sgradevole, a causa di un'estetica scatologica invasiva e debordante, già dai primi minuti. Pornografico e stupido, assuefacente nella sua reiterata ed efferata violenza. Incentrato su un ambiguo rapporto tra un uomo comune e il Male, uno scontro tra il dolore e l'apatia, tra due temerarietà malate, tenute assieme da una comune facillità a ricorrere a torture di vario genere per urlare al mondo, noi crediamo, la propria incapacità di significare situazioni che lasciano impotenti, incapaci di vivere l'ineluttabile vuoto di un non senso, di accettare la realtà. La giustificazione dei mezzi in favore di un fine traducibile ad un istinto di puro godimento, sia esso espresso attraverso la vendetta o tramite l'abusiva sopraffazione dell'altro, si rintraccia in entrambi, in un continuo altrenarsi tra (pseudo)bene e male fino a confondersi, prevedibilmente, in un unico e deprecabile corpo sofferente, rappresentante l'uomo moderno nichilista. Il male radicale viene spettacolarizzato nelle sue continue e prevedibili manifestazioni, dall'asservimento della donna intesa come un oggetto da consumare, alla violenza cruda degli sfregi sulla carne innocente. In questo macabro e compiaciuto sadismo masochistico, non si può che prendere tristemente atto della disumanizzazione che un certo cinema ruffiano e reazionario fa dell'essere umano e della realtà rappresentata, per mezzo di astrazioni che riducono a pensare caratteristiche, rintracciabili realmente nel quotidiano, in termini fittizi e controproducenti, scandalizzando demagogicamente, e cospargendo di sale le ferite infette di persone arrabbiate. Come se il male non fosse altro che la sua esasperazione traumatizzata.
Molto più difficile e, allo stesso tempo, interessante sarebbe stato, certamente, mostrare la conflittualità del magma storico di questi anni, dove il male ristagna nella vita standardizzata dello sfruttamento capitalistico, nella morte della poesia oltre che delle persone, dove pulsano riflessi traslucenti, inespressi da un'arte sempre più uguale a se stessa e prefabbricata. Cominciamo a filmare la coesistenza inseparabile del bene e del male, l'autoinganno dell'esistenza del diavolo.
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gianleo67
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domenica 6 aprile 2014
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'tarantinismo di ritorno' made in seul
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Per vendicare la fidanzata, uccisa e fatta a pezzi da uno spietato e sanguinario serial killer, agente dei servizi di sicurezza coreani pedina e bracca l'omicida grazie ad una microspia gps che lo costringe ad ingoiare. Deciso ad infliggergli una punizione lenta e dolorosa, inizia a tormentarlo e massacrarlo ad ogni incontro, ma non ha fatto i conti con la bieca furbizia della sua vittima e con il pericolo che sembra minacciare la sicurezza dei suoi cari...
Il cinema coreano dimostra, ad ogni confronto con i clichè del genere (qualunque esso sia), di aver fatto i compiti a casa rielaborando, secondo l'estetica iperrealista del cinema d'azione made in Hong Kong (et similia) ed il gusto per un inveterato 'grand guignol', i canoni del thriller drammatico 'revenge based' che sembra diventare una costante un pò retriva degli autori di Seul (vedasi la felice accoglienza di pubblico e critica riservati alla omologa trilogia di Park Chan-wook).
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Per vendicare la fidanzata, uccisa e fatta a pezzi da uno spietato e sanguinario serial killer, agente dei servizi di sicurezza coreani pedina e bracca l'omicida grazie ad una microspia gps che lo costringe ad ingoiare. Deciso ad infliggergli una punizione lenta e dolorosa, inizia a tormentarlo e massacrarlo ad ogni incontro, ma non ha fatto i conti con la bieca furbizia della sua vittima e con il pericolo che sembra minacciare la sicurezza dei suoi cari...
Il cinema coreano dimostra, ad ogni confronto con i clichè del genere (qualunque esso sia), di aver fatto i compiti a casa rielaborando, secondo l'estetica iperrealista del cinema d'azione made in Hong Kong (et similia) ed il gusto per un inveterato 'grand guignol', i canoni del thriller drammatico 'revenge based' che sembra diventare una costante un pò retriva degli autori di Seul (vedasi la felice accoglienza di pubblico e critica riservati alla omologa trilogia di Park Chan-wook). A questa regola produttiva e culturale non sfugge nemmeno questo lavoro a tinte forti del talentuoso Kim Jee-woon che, come nel precedente 'The Good, the Bad, the Weird' sembra emulare un certo 'tarantinismo di ritorno' nel mettere in scena un gusto decisamente 'pulp', sospeso tra ironia e ferocia, tra sentimentalismo e pornografia, tra iperrealismo e compiacimenti splatter, nel restituirci un mondo di personaggi che, benchè afflitti da un certo fumettismo e mossi da un oscuro relativismo etico, sono perfettamente coerenti e funzionali all'escalation di orrore e di violenze di cui si rendono consapevoli protagonisti. A tratti raffinato nella composizione delle inquadrature e nella efficace dialettica del montaggio, questa ennesima variante sul tema della vendetta in terra coreana alterna con spigliata noncuranza (o forse è proprio il contrario) tutta la gamma di registri che vanno dal dramma sentimentale al thriller poliziesco, alla horror comedy, rendendo la misura spropositata del metraggio (143 minuti) addirittura necessario per contenerne appena le funamboliche peripezie narrative lungo il risaputo tragitto che dal delitto conduce sempre all'inevitabile castigo che,in questo caso, sembra non risparmiare proprio, ma proprio nessuno. Spettacolo per stomaci forti (ma bisognerebbe educare un pò tutti al gusto ludico e citazionista del cinema coreano) fa della inverosimiglianza e del ritmo incalzante i suoi precipui codici estetici, impartendo una lezione di stile e di competenza artistica alla cupa seriosità della produzioni americane di riferimento. Attori di grande professionalità ed attrici più che fotogeniche (vedere la scena di sesso 'doggy style' senza peli sulla lingua e non solo) al servizio di una regia che sa benissimo dove andare a parare.
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molenga
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giovedì 18 agosto 2011
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attento a chi tocchi...
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Kim Jee-Won, ovvero la sintesi di quanto di bello il c "inema coreano ci ha offerto negli ultimi tre lustri: cari spettatori, ancora una volta non rimarrete delusi. Certo, se siete facilmente impressionabili lasciate perdere, prima almeno preparatevi guardando la trilogia della vendetta e, di questo stesso autore, "bittersweet life", ma sappiatelo, in "i saw the devil non c'è posto per la malinconia elegante di un assassino, la vendetta non è neanche lontanamente eticizzata. Un violentatore assassino di ragazze commette un grave errore, quello di eliminare la moglie incinta di un agente: l'agente èLee Hyung-Bun, e l'idea di catturare il colpevole( l'onnipresente volto del cinema coreano, Choi min-sik) non gli sfiora l'anticamera del cervello: lo rovina pezzo per pezzo, come a ppezzi ha ritrovato la moglie.
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Kim Jee-Won, ovvero la sintesi di quanto di bello il c "inema coreano ci ha offerto negli ultimi tre lustri: cari spettatori, ancora una volta non rimarrete delusi. Certo, se siete facilmente impressionabili lasciate perdere, prima almeno preparatevi guardando la trilogia della vendetta e, di questo stesso autore, "bittersweet life", ma sappiatelo, in "i saw the devil non c'è posto per la malinconia elegante di un assassino, la vendetta non è neanche lontanamente eticizzata. Un violentatore assassino di ragazze commette un grave errore, quello di eliminare la moglie incinta di un agente: l'agente èLee Hyung-Bun, e l'idea di catturare il colpevole( l'onnipresente volto del cinema coreano, Choi min-sik) non gli sfiora l'anticamera del cervello: lo rovina pezzo per pezzo, come a ppezzi ha ritrovato la moglie.
Un film incredibilmente bello dove il dolore diventa spettacolo angosciante d'alto ritmo, una fotografia eccezionale e una scelta stilistica nel montaggio oltre le possibili citazioni da altri film( su tutto la scena del doppio omicidio in taxi): Caro tarantino, non vada a copiare dagli anni '60 e '70, c'è carne macellata di fresco di Corea
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(di vapor)
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