C'era una volta la città dei matti

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Un film di Marco Turco. Con Fabrizio Gifuni, Vittoria Puccini, Michela Cescon, Branko Dujric, Thomas Trabacchi.
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Formato Film TV, Drammatico, - Italia 2010. MYMONETRO C'era una volta la città dei matti * * * 1/2 - valutazione media: 3,67 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

C'era una volta la città dei matti

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È stata questa forse una delle lezioni di Basaglia, inserita appieno all'interno del clima del '68. Il controllo dei sani sui malati, certo. Ma anche il controllo dei normali su tutti gli altri, sulle minoranze, sulle donne, sugli oppressi. La miniserie C'era una volta la città dei matti diventa molto interessante quando questo aspetto fa capolino nella narrazione, quando l'oppressione delle istituzioni accomuna tanto i malati quanto i medici. Così, l'infermiera è sotto processo perché ha somministrato degli estrogeni alle malate di mente: la contraccezione è vietata a quei tempi. La stessa subisce le accuse del marito che vuole denunciarla per "abbandono del tetto coniugale". Lei gli rinfaccia che adesso non è più così, adesso lui può chiederle la separazione, e adesso lei gliela concede con molto piacere. È su quell'adesso che è costruita l'intera miniserie, e quell'adesso è il clima del '68. È una tensione libertaria che c'era sicuramente in Basaglia, ma che rischia talvolta di prendere la mano senza riuscire a guidare nettamente la narrazione.
Oltre la fiction
La città dei matti sfugge a certi cliché tipici della fiction italiana. Per dire, niente flashback iniziale. Per dire, niente recitazione da serie z, ma un'interprete come Gifuni. Per dire, niente ricostruzione per scene da sacra rappresentazione ma un andamento più armonioso. La fiction ha dalla sua un tema molto forte. Bisogna dunque stare attenti a non farsi abbagliare dal suo contenuto, così libertario e liberal. Perché talvolta ci vuole molto controllo soprattutto a livello di scrittura. Che sì, il controllo serve ancora. Che sì, ci sono ancora delle regole da seguire per scrivere al meglio.
La voce dei famigliari
Un narratore deve mettere in scena il dramma inteso come contrasto, e dare risoluzione al suo personaggio. Deve evitare invece di mettere in scena una tesi senza sviluppo, e di cui ha già la soluzione. Il rischio è di scrivere la storia di un'Utopia non la storia di un uomo. Per dire: la voce narrante di Basaglia è molto didascalica, e spiega ciò che le immagini già dovrebbero dire, calcando la mano sulla sua Visione. Per dire: è buona regola dare la parola anche ai propri oppositori. Anzi, si insegna nelle grandi scuole di sceneggiatura americana: è buona regola dare il discorso migliore, quello più bello, più alto, più vigoroso, al "cattivo". Perché è trovando la falla in quel discorso perfetto che l'eroe svela meglio allo spettatore la forza delle sue idee. Ecco, nella storia di Basaglia manca del tutto la voce degli oppositori, intesi come famigliari dei malati. Dipinti per lo più come cinici e disumani. E questo è un errore, perché si perde mordente nella scrittura. E non si rende giustizia all'intera vicenda Basaglia, un'Utopia calata nel reale con tutte le sue grandezze e le sue difficoltà, che ha riguardato tutti, medici, malati, famigliari.
da Europa, 10 febbraio 2010

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