
Intervista con Stéphane Aubier e Vincent Patar.
di Marianna Cappi
Dalla televisione al cinema
Versione di lungo metraggio della serie televisiva ideata dal duo di animatori belgi Aubier e Patar, Panico al Villaggio si annuncia come un'ondata di spasso incontrollabile; puro divertimento all'insegna del nonsense che governa i giochi dei bambini e, nella vita come nelle arti, è ingrediente imprescindibile del miglior umorismo. Cowboy, Indiano e Cavallo sono i protagonisti di quest'opera in stop motion che l'anno scorso ha sfilato nella selezione ufficiale di Cannes e ora si avvia a divenire un piccolo cult. In attesa del debutto del film nelle sale italiane, abbiamo intervistato gli autori.
Il trailer originale presenta il film come “un'avventura per i piccoli e per i grandi che hanno saputo restare piccoli”. Cosa vuol dire per voi “restare bambini”? Qual è la cosa più importante che perdiamo crescendo?
Scrivendo Panico al Villaggio non avevamo in mente un target specifico. Abbiamo sempre fatto film per tutti. Però sì, può darsi che il pubblico adulto di questo film sia un pubblico di grandi che hanno conservato un lato infantile. Quel che si perde, crescendo, è forse la spensieratezza e una certa spontaneità. Ne ritroverete un po' in questo film.
La popolarità della serie televisiva all'origine del film è stata per voi un limite o un vantaggio?
Quando abbiamo deciso di fare un lungometraggio di Panique au Village, pensavamo che, disponendo di un universo e di personaggi conosciuti, avremmo potuto scrivere la sceneggiatura piuttosto rapidamente, ma in realtà ci abbiamo messo tre anni. Infatti, partire da un universo già noto è stato un vantaggio perché avevamo già dei personaggi e anche a livello tecnico avevamo delle buone basi di lavoro, ma poiché il film era pensato per la proiezione nelle sale, presto ci siamo resi conto anche dei limiti, dei personaggi innanzitutto, a livello di scrittura. Abbiamo dovuto espanderli, renderli più umani e “emotivi” perché reggessero la nuova lunghezza.
Per questo, ad esempio, abbiamo immaginato una storia d'amore tra Cavallo e la professoressa di pianoforte del conservatorio. Ma anche limiti tecnici. Abbiamo dovuto esser molto più precisi nei dettagli delle scenografie (la serie era più grezza nelle rifiniture) e anche dei modellini: abbiamo scolpito 1500 figurine di Cowboy, Indiano, Cavallo e altri nelle diverse posizioni (solo per far camminare Cavallo servono otto pupazzetti differenti). Abbiamo utilizzato degli stampi per duplicare i personaggi e le sculture nelle posizioni necessarie alla storia. Anche il fatto di aver scelto come formato il cinemascope ci ha costretto a rivedere il nostro modo di girare.
L'estetica retro e l'immaginazione
L'estetica retro del film lascia pensare che proviate una certa nostalgia per l'epoca della vostra infanzia. C'è forse anche una critica dei giocattoli attuali, più sofisticati ma che lasciano forse meno spazio alla fantasia?
No, non è una critica dei giocattoli di oggi. Nel recupero di questi soldatini e simili abbiamo trovato la possibilità di raccontare le nostre storie in una maniera più spontanea e meno laboriosa dell'animazione tradizionale.
È a scuola che abbiamo cercato delle soluzioni per raccontare delle storie nel modo più facile possibile, semplificando i personaggi e le scenografie (un po' come nella “linea” di Osvaldo Cavandoli) perché l'animazione prende in generale molto tempo.
Abbiamo provato anche altre tecniche –ritagli di carta, oggetti animati, pixillazione, disegno su carta…- per vedere quello che era più consono alla nostra personalità. È in quegli anni che abbiamo pensato di utilizzare i personaggi della fattoria giocattolo, leggermente modificati, per raccontare le nostre storie deliranti senza troppe difficoltà. Come col “live action”, ci possiamo permettere d'improvvisare davanti alla macchina da presa o di aggiungere un gag all'ultimo minuto. Bisogna anche tener conto che, dal momento che non ci sono delle bocche animate per i dialoghi, abbiamo registrato le voci in un secondo momento, dopo l'animazione, cosa che dà all'attore ulteriore libertà.