felicity
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domenica 25 agosto 2024
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opera molto diversa dalle solite biografie
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"Io non sono qui" non ha nulla del biopic tradizionale e la premessa iniziale parla chiaro: "ispirato alle molte vite di Bob Dylan".
Alla base della pellicola vi è una libertà espressiva tanto ariosa da lasciare spiazzato lo spettatore perchè Haynes utilizza citazioni cinematografiche per situarle in una visione molto personale di cinema.
Sei diversi personaggi interpretati da sei attori, ognuno dei quali ha un diverso nome, compreso un bambino e una donna.
Le carte sono scomposte, il montaggio frammentario e sconnesso, lo stile visivo cambia da capitolo a capitolo (e non solo per l'alternarsi del colore con il b/n) e la narrazione non bada certo a linearità e fedeltà storica, sebbene siano evidenti i rimandi politici: il Vietnam, certo, ma ritroviamo ombre sia di Kennedy che di Nixon.
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"Io non sono qui" non ha nulla del biopic tradizionale e la premessa iniziale parla chiaro: "ispirato alle molte vite di Bob Dylan".
Alla base della pellicola vi è una libertà espressiva tanto ariosa da lasciare spiazzato lo spettatore perchè Haynes utilizza citazioni cinematografiche per situarle in una visione molto personale di cinema.
Sei diversi personaggi interpretati da sei attori, ognuno dei quali ha un diverso nome, compreso un bambino e una donna.
Le carte sono scomposte, il montaggio frammentario e sconnesso, lo stile visivo cambia da capitolo a capitolo (e non solo per l'alternarsi del colore con il b/n) e la narrazione non bada certo a linearità e fedeltà storica, sebbene siano evidenti i rimandi politici: il Vietnam, certo, ma ritroviamo ombre sia di Kennedy che di Nixon.
E riesce a essere politico suggerendo di come la società sia riuscita spesso ad assorbire l'arte musicale, evidenziando, a questo proposito, la grandezza di Dylan, che quando ha voluto è riuscito invece a scappare via da danni sociali, finendo, a un certo punto, con l'isolarsi dal resto del mondo.
Dylan non è mai stato un personaggio politico, ci sembra di capire, o meglio: lo è sempre stato, ma è la politica che ha seguito il suo fantasma.
I momenti più alti del film sono quelli che vedono il one-woman-show di Cate Blanchett. L'attrice riesce nel miracoloso compito di fornire una prova che allo stesso tempo non cerca la mimesi dell'attore che prova a copiare la fonte primaria. Nessuna intenzione di imitare Dylan, ma una chiave di lettura personale, che riesce ad essere allo stesso tempo profondamente dylaniana pur appartenendo a se stessa. Una prova attoriale stupefacente.
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carloalberto
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domenica 16 gennaio 2022
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cervellotico biopic costruito tutto sulla metafora
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E’ un biopic sicuramente non convenzionale e con un ottimo cast, in cui spicca la performance di Cate Blanchett, nell’interpretazione del più riuscito dei sei alter ego di Dylan, che risente, tuttavia, di una eccessiva cerebralità nella scrittura e di una narrazione costruita artificiosamente sulla metafora, reiterata fino alla stucchevolezza, rientrante più nello stile di Oren Moverman, che ha cosceneggiato il film, che del regista Todd Haynes.
Il film, grondante di quella retorica melensa tipica dell’intellighenzia di sinistra americana, vorrebbe forse nelle intenzioni omaggiare il menestrello di Duluth e finisce, invece, per essere, alternando il bianco e nero al colore come la realtà all’immaginazione, un compiaciuto polpettone autoreferenziale, un freddo esercizio di differenti stili filmici e generi, che assembla pezzi di vita di Dylan, scivolando spesso nell’aneddotica e nel gossip da settimanale per vecchie signore, alcuni personaggi ispirati ai testi delle sue canzoni, come il giornalista che impersona il Mr.
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E’ un biopic sicuramente non convenzionale e con un ottimo cast, in cui spicca la performance di Cate Blanchett, nell’interpretazione del più riuscito dei sei alter ego di Dylan, che risente, tuttavia, di una eccessiva cerebralità nella scrittura e di una narrazione costruita artificiosamente sulla metafora, reiterata fino alla stucchevolezza, rientrante più nello stile di Oren Moverman, che ha cosceneggiato il film, che del regista Todd Haynes.
Il film, grondante di quella retorica melensa tipica dell’intellighenzia di sinistra americana, vorrebbe forse nelle intenzioni omaggiare il menestrello di Duluth e finisce, invece, per essere, alternando il bianco e nero al colore come la realtà all’immaginazione, un compiaciuto polpettone autoreferenziale, un freddo esercizio di differenti stili filmici e generi, che assembla pezzi di vita di Dylan, scivolando spesso nell’aneddotica e nel gossip da settimanale per vecchie signore, alcuni personaggi ispirati ai testi delle sue canzoni, come il giornalista che impersona il Mr. Jones della Ballad of a Thin Man, sequenze di evidente ispirazione felliniana e scene western reinventate ed attualizzate tra il surreale e l’onirico con effetti involontariamente parodistici e ridicoli.
Haynes non è però Pessoa e gli eteronimi di Dylan non esprimono che superficialmente le diverse personalità dell’artista e non è nemmeno Fellini, ingenuamente preso in prestito per rendere visionariamente poetico ciò che è semplicemente banale.
Nel complesso il film, che non coinvolge mai emotivamente, risulta ostico, noioso, e difficile da seguire fino alla fine.
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greatsteven
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martedì 12 marzo 2019
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quadri e versioni d'un talento inimitabile.
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IO NON SONO QUI (USA/GERM, 2007) diretto da TODD HAYNES. Interpretato da CHRISTIAN BALE, CATE BLANCHETT, RICHARD GERE, HEATH LEDGER, CHARLOTTE GAINSBOURG, JULIANNE MOORE, MARCUS CARL FRANKLIN, BEN WHISHAW, BRUCE GREENWOOD, BOB DYLAN
Nella decisione del regista di scomporre Bob Dylan (vero nome: Robert Allen Zimmermann, 24 maggio 1941) – uno dei più eccelsi talenti musicali del secondo ‘900 – in sette alter ego interpretati da sei attori, ognuno rappresentante un lato specifico della sua musica e della sua personalità, respingendo i canoni del cinema biografico, l’etica e l’estetica risultano inseparabili. In altalena fra vita e carriera musicale, l’epoca ondeggia tra gli anni 1950 e i primi 1970: 1.
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IO NON SONO QUI (USA/GERM, 2007) diretto da TODD HAYNES. Interpretato da CHRISTIAN BALE, CATE BLANCHETT, RICHARD GERE, HEATH LEDGER, CHARLOTTE GAINSBOURG, JULIANNE MOORE, MARCUS CARL FRANKLIN, BEN WHISHAW, BRUCE GREENWOOD, BOB DYLAN
Nella decisione del regista di scomporre Bob Dylan (vero nome: Robert Allen Zimmermann, 24 maggio 1941) – uno dei più eccelsi talenti musicali del secondo ‘900 – in sette alter ego interpretati da sei attori, ognuno rappresentante un lato specifico della sua musica e della sua personalità, respingendo i canoni del cinema biografico, l’etica e l’estetica risultano inseparabili. In altalena fra vita e carriera musicale, l’epoca ondeggia tra gli anni 1950 e i primi 1970: 1.) Woody, undicenne chitarrista di carnagione scura, nomade, che ha come mito Woodie Guthrie e, per assistere al capezzale del suo omonimo moribondo, scappa da un riformatorio; 2.) Jack Rollins, folk-singer celebre per le sue canzoni di protesta all’inizio degli anni 1960, dirette in particolar modo a screditare la guerra in Vietnam; 3.) John Rollins, illuminato cantante predicatore che si converte al cristianesimo; 4.) Jude Quinn, rockstar androgina, cinica e stizzosa dalle abitudini mondane che non ama troppo le interviste e i giornalisti; 5.) Robbie, popolare attore cinematografico, motociclista ed esperto dongiovanni che intrattiene una relazione con una famosa pittrice francese; 6.) Arthur, poeta sotto processo col vizio di citare Rimbaud; 7.) Billy the Kid, nostalgico cowboy di mezza età che in passato si inimicò Pat Garrett, spietato critico musicale. Sette personaggi in cerca di cantautore che analizzano la leggenda vivente di Duluth mettendone in risalto le caratteristiche molteplici che ne costituiscono le plurime sfaccettature: poeta, profeta, contestatore, cantastorie, messaggero, rivoluzionario e menestrello. Quella che colpisce maggiormente è la figura della stupefacente Blanchett che si guadagnò la Coppa Volpi a Venezia 2007, ma non meno significative appaiono le interpretazioni di Ledger nei panni dell’attore e di Gere come cowboy occhialuto in sella ad un fedele destriero (l’ispirazione al dualismo fra lo sceriffo indefesso e l’imprendibile criminale rimanda al film del 1973 che vide Dylan in persona vestire il ruolo di Alias, l’ambiguo, proteiforme amico di Billy). Resta il sospetto di un esercizio di stile per la sua struttura affastellata nel gioco delle rifrazioni: spiegandomi meglio, come è anche avvenuto nella realtà, alla fin fine è impervio per chi non conosce Dylan ed estraneo per chi invece possiede molte nozioni in merito al punto da dichiararsene esperto. L’anticonformismo, la follia e il genio indiscutibile del protagonista silente che non compare mai se non nelle esibizioni dal vivo preventivamente soffuse a livello cromatico, sono parti integranti di un ritratto che si costruisce da sé in un viaggio nel tempo di cui i sette personaggi intrecciano le loro storie di protesta, disagio, solitudine ed esistenza errabonda per comporre la rievocazione ultima desiderata da Haynes, o, più specificamente, dalla sua sceneggiatura, firmata insieme a Oner Moverman. Un’ottima ambientazione, riecheggiante un ventennio abbondante di storia americana, è utile a Haynes per sperimentare una narrazione frammentata e psichedelica, adoperando sei diversi stili di regia all’interno di ciascun microcosmo nel quale il carattere agisce sia da primo attore sia da spettatore delle proprie angosce oniriche. Un documentario davvero impressionante per caratura e qualità che va ben al di là della sua stretta definizione e in più costituisce non solo un semplice omaggio al Bob Dylan che la maggioranza del suo pubblico conosce e adora (lo stesso cantautore ha dichiarato, almeno sembra, che questo è l’unico ritratto che abbia apprezzato sul serio), ma una miscela magnificamente congegnata di arte visiva, musica e cinema. Quale attributo più gli si addice, fra quelli nominati sopra? Difficile stabilirlo. Difficile per via di una versatilità che gli ha permesso di spaziare nei più svariati ambiti ottenendo pressoché ovunque risultati da applauso, perfino un recente premio Nobel (molto discusso) che però non realizza la premiazione più adeguata per un artista di questo tipo perché, sebbene la canzone statunitense sia stata, grazie a lui, notevolmente rinnovata e accresciuta, un riconoscimento così spetterebbe di più ad un innovatore che abbia tuttavia effettuato il suo lavoro di rinvigorimento nel campo della letteratura, narrativa o saggistica che dir si voglia. Tornando alla pellicola, cui la giuria di Venezia conferì anche un Leone d’Argento, essa ha inoltre il considerevole pregio di scegliere i brani musicali migliori che si adattino alle sequenze e ai loro movimenti precipui mentre mostrano o la voglia di navigare controcorrente o la spinta verso una comunicazione unanime, universale ed eterogenea. In tal senso, abbiamo canzoni di straordinaria bellezza quali Like a Rolling Stone, I Want You e Ballad of a Thin Man che, nel senso veridico del vocabolo, misurano la forza delle immagini contemplando contemporaneamente lo sguardo su una poesia descrittiva di innegabile efficacia.
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aldebaran
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martedì 1 aprile 2014
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non fateci perdere tempo
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che hai al posto del cervello? cioè tu non guardi un film per intero, esci dalla sala (cosa poco furba, per non dire altro), poi vieni qui a scrivere la tua recensione????
ma veramente??? non ci sto credendo. sei veramente un incompetente.
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claudiofedele93
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martedì 22 ottobre 2013
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la storia di una leggenda vivente: bob dylan!
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Io Non Sono Qui (I’m Not There) è una pellicola che è giusto consigliare non solo ai fan di Dylan, ma anche a tutti coloro a cui piace la buona musica, le biografie ed il cinema.
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Io Non Sono Qui (I’m Not There) è una pellicola che è giusto consigliare non solo ai fan di Dylan, ma anche a tutti coloro a cui piace la buona musica, le biografie ed il cinema. Questo è senza dubbio un prodotto realizzato in un modo molto personale, la cui unica nota stonata risulta essere, appunto, l’approccio inizialmente non facile, con cui ci si pone ad esso. Eppure Todd Haynes riesce a cogliere l’essenza, la natura, la filosofia, la parte migliore e peggiore del giovane cantautore folk, filmando un biopic che convince sotto tutti i punti di vista e supportato da una sceneggiatura solida (che non fa dell’uomo né un santo né un peccatore), una fotografia di buon livello ed una scenografia ottima. Il tutto, come era possibile immaginarsi, arricchito dalle canzoni di Bob Dylan, reinterpretate da artisti minori, poco conosciuti o membri del cast. Un film che può fare affidamento anche su un casting stellare, dove a brillare più di ogni altro astro è proprio Cate Blanchett, che mette a nudo il suo incredibile talento rivelando al tutto il mondo di essere un’attrice con la A maiuscola e realizzando quella che, fino ad oggi per noi, è la sua miglior interpretazione (giusta quindi la coppa volpi assegnatale a Venezia!). Haynese Moverman (co-sceneggiatore) portano alla luce l’anima del poeta e la sua visione del mondo, dando vita ad una pellicola bella e imperdibile, ottima non solo a livello contenutistico e espressionistico, ma anche nella messa in scena. Bob Dylan in Io Non Sono Qui non appare mai, se non all’ultimo minuto, dove lo vediamo suonare tranquillamente la sua armonica ad un concerto, eppure dire che la presenza di quest’ultimo, durante la visione del film, non si sia mai avvertita sarebbe una bugia perché in tutti e sei i personaggi mostrati vi è qualcosa di lui, che questo sia un movimento, un’espressione, uno sguardo, una parola, una frase, una nota, un sorriso, tutto ciò non fa altro che ricordarcelo.
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shiningeyes
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venerdì 8 marzo 2013
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discreto, ma troppo caleidoscopico
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La vita, i pensieri e passioni di Bob Dylan raccontati attraverso sei personaggi dalle diverse sfaccettature. E' così che decide di realizzare questa sorta di film-documento Todd Haynes, sei storie intrise di poesia e psichedelia (quest'ultima usata in pieno tema anni 60) che per quanto complesse, a volte, fanno girare la testa allo spettatore.
Vedendo il film, un poco ci si confonde sulle idee espresse dai vari Dylan, non capiamo se è un rivoluzionario o un egoista, o che non voglia prendere nessuna posizione particolare.
Molta della confusione è data da un montaggio che si applica su scene di tempi brevi, in cui le storie si accavallano velocemente l'una su l'altra, non dandoti tempo di riflettere su ciò che si è visto.
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La vita, i pensieri e passioni di Bob Dylan raccontati attraverso sei personaggi dalle diverse sfaccettature. E' così che decide di realizzare questa sorta di film-documento Todd Haynes, sei storie intrise di poesia e psichedelia (quest'ultima usata in pieno tema anni 60) che per quanto complesse, a volte, fanno girare la testa allo spettatore.
Vedendo il film, un poco ci si confonde sulle idee espresse dai vari Dylan, non capiamo se è un rivoluzionario o un egoista, o che non voglia prendere nessuna posizione particolare.
Molta della confusione è data da un montaggio che si applica su scene di tempi brevi, in cui le storie si accavallano velocemente l'una su l'altra, non dandoti tempo di riflettere su ciò che si è visto.
Confusione a parte, lo trovo un esperimento di regia un poco troppo complicato, ma indubbiamente è originale, dove si può trovare un punto a favore in una fotografia di stile simbolista ben eseguita.
Tutti gli interpreti dei personaggi fanno bene il loro lavoro: Cate Blanchett è la migliore tra gli attori presenti, dà un tocco più curioso al Bob Dylan più contestato, ed è senz'altro il fattore più attrattivo del film; Un buonissimo Heath Ledger fa un Dylan nella sua crisi matrimoniale, ormai imbevuto dal successo, il quale tenta di recuperare cercando di occuparsi dei suoi figli; Christian Bale e Richard Gere sono gli anelli deboli del cast, non si vedono molto (per fortuna), e comunque sono inconsistenti; mi ha colpito particolarmente M.C. Franklin, che nonostante la giovane età sembra vantare una maturata esperienza davanti alla macchina da presa (magari era pure il suo primo film).
Insomma, interessante la regia mutevole, le storie dei personaggi e buone le musiche. Ma credo che "Io non sono qui" sia uno di quei film che sono opera di un regista che si compiaccia troppo nel girare, facendo perdere un poco d'attenzione, che serve sempre per gustarsi al pieno un film.
Discreto, ma troppo caleidoscopico.
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target87
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giovedì 1 dicembre 2011
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film introspettivo
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...film psichedelico e introspettivo...è inutile cercarlo di capire...bisogna semplicemente lasciarsi andare alla visione..un ritratto di dylan molto piu vero di quanto potrebbe essere un film biografia spesso molto romanzati e poco reali con le vere personalità dell'artista.un film non x tutti c'è poco da fare.
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francesco84
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mercoledì 20 aprile 2011
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6 volti dello stesso personaggio
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Ottimo ritratto di Dylan realizzato in modo originale, utilizzando diversi attori i quali focalizzano i diversi aspetti controversi della personalità del famoso cantautore.
Per me il tentativo è pienamente riuscito, inoltre la forma e la regia è davvero ottima...
Lo considero un piccolo capolavoro, che va oltre gli standardizzazione delle forme cinematografiche, certo rischiando di non piacere a tutti.
Ovviamente la colonna sonora è come ci si aspetterebbe sublime, accompagnata quasi sempre da scene all'altezza, bianco e nero calzante e buona gestione delle inquadrature.
Consigliatissimo!
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fabrizias
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lunedì 28 marzo 2011
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film da vedere!
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catullo
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lunedì 6 dicembre 2010
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un film un pò felliniano
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Ho visto questo film in tv quasi per caso e mi ha colpito per la sua forza visiva e le parti in bianco e nero le ho trovate molto Felliniane al punto che il sospetto che il regista si sia ispirato volutamente al maestro viene spontaneo. Certo che bisogna essere molto esperti della biografia di Dylan per capirci qualcosa ma il film è godibile anche per chi della vita di Dylan conosce poco come il sottoscritto che tuttavia non è insensibile alle sue stupende canzoni e al fascino dei periodi culturali e musicali dell'america anni 60-70.Insomma...un'ottimo film!
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