bigio
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venerdì 28 settembre 2007
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brutto
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Una parola per i fans? Astronauta
Una parola per il film? EVITATELO!
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mariana
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giovedì 27 settembre 2007
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un film dove si racconta l'essenza del poeta dylan
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Io grande appassionata da sempre dell'eclettico Dylan posso capire le difficoltà di chi non lo conosce affatto a dare un senso al film di Haynes. Credo comunque che l'intenzione del regista sia stata quella di non precisare una trama che proprio per il soggetto descritto non avrebbe avuto senso. Una trama "logica" sarebbe stata una contraddizione,si è voluto invece dipingere il Dylan quasi chimerico che abbiamo imparato a conoscere raccontato attraverso la sua musica, la sua poesia e gli anni che ne hanno fatto da ispiratori e questo è ciò che deve essere apprezzato in un film ottimo tra l'altro per la fotografia e per la colonna sonora.
L'essere di Dylan meglio non poteva essere raccontato se non attraverso una storia non sempre comprensibile ma ricca di malinconiche emozioni.
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giuseppe potente/beppe
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martedì 25 settembre 2007
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un film sconvolgente per originalità e profondità
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E' un film, oltre che su Bob Dylan su una generazione, che è quella di Richard Gere, quella del 68, nutrita e cresciuta (se possibile) con la musica di Bob Dylan.Non si comprende il film se non ci si abbandona alla visione con modalità para-onirica, come in effetti anche espresso dallo stesso regista Haynes in una intervista riportata sul web. Questo vale, in particolare, per il personaggio di Billy the Kid interpretato da Richard Gere, che rappresenta il menestrello anziano, evoluzione (come si vede con un breve flash back) nel film) del menestrello ragazzo, che apre il film, su un carro merci .
Poco citata nelle recensioni mi pare la figura di Allen Ginsberg, culturalmente e poeticamente importantissima nella fase più dylaniana del film (quella interpretata in modo più realista del re da una strepitosa Kate Blanchett): credo che se non comprenderà lo spirito di questa visione del mondo, si avranno deficit gravi di comprensione del film.
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E' un film, oltre che su Bob Dylan su una generazione, che è quella di Richard Gere, quella del 68, nutrita e cresciuta (se possibile) con la musica di Bob Dylan.Non si comprende il film se non ci si abbandona alla visione con modalità para-onirica, come in effetti anche espresso dallo stesso regista Haynes in una intervista riportata sul web. Questo vale, in particolare, per il personaggio di Billy the Kid interpretato da Richard Gere, che rappresenta il menestrello anziano, evoluzione (come si vede con un breve flash back) nel film) del menestrello ragazzo, che apre il film, su un carro merci .
Poco citata nelle recensioni mi pare la figura di Allen Ginsberg, culturalmente e poeticamente importantissima nella fase più dylaniana del film (quella interpretata in modo più realista del re da una strepitosa Kate Blanchett): credo che se non comprenderà lo spirito di questa visione del mondo, si avranno deficit gravi di comprensione del film.
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judd quinn
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domenica 23 settembre 2007
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altro che noia!!
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Al di là dell'argomento - e del fatto che conoscerlo aiuta ad apprezzarlo di più - è un film coraggioso quanto a scelte narrative e stilistiche, e non è affatto noioso
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antonello villani
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venerdì 21 settembre 2007
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dylan in un ritratto criptico ed affascinante
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Menestrello, poeta, scrittore, rivoluzionario, sovversivo, populista, per Bob Dylan gli appellativi si sono sprecati in oltre quarant’anni di musica che ha fatto sognare milioni di fan eppure lui ha rifiutato qualsiasi etichetta. Il regista Todd Haynes gli ha dedicato un film che racconta la vita, anzi le molte vite, della rockstar che ha cantato il quotidiano di lavoratori sfruttati e le discriminazioni razziali che videro il loro epilolo nel discorso di Martin Luther King. Siamo in pieno ’68 tra manifestazioni di piazza e movimenti pacifisti, Nixon appare nei tg per ricordare ad ogni buon americano che la “sporca guerra” è giunta al termine: amore libero, droghe e poeti della beat generation, il film presentato all’ultimo Festival di Venezia è lo spaccato di un paese in piena crisi d’identità, infiammato dalla ribellione giovanile e martoriato dalle lotte di classe che infuriavano in quegli anni.
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Menestrello, poeta, scrittore, rivoluzionario, sovversivo, populista, per Bob Dylan gli appellativi si sono sprecati in oltre quarant’anni di musica che ha fatto sognare milioni di fan eppure lui ha rifiutato qualsiasi etichetta. Il regista Todd Haynes gli ha dedicato un film che racconta la vita, anzi le molte vite, della rockstar che ha cantato il quotidiano di lavoratori sfruttati e le discriminazioni razziali che videro il loro epilolo nel discorso di Martin Luther King. Siamo in pieno ’68 tra manifestazioni di piazza e movimenti pacifisti, Nixon appare nei tg per ricordare ad ogni buon americano che la “sporca guerra” è giunta al termine: amore libero, droghe e poeti della beat generation, il film presentato all’ultimo Festival di Venezia è lo spaccato di un paese in piena crisi d’identità, infiammato dalla ribellione giovanile e martoriato dalle lotte di classe che infuriavano in quegli anni. Tanto cinema e poco film, la sceneggiatura firmata dallo stesso regista e' criptica e costringe lo spettatore a continui sforzi nel tentativo di decifrare i parecchi volti nell’artista che assume di volta in volta le sembianze del cantante androgino in polemica con il mondo, del cowboy che vive appartato tra le montagne, del padre premuroso e persino del bambino di colore fuggito dal riformatorio. Sei attori interpretano diversi momenti della sua vita, sei personaggi in cerca d’autore, vita e leggenda di un artista che si è battuto per i diritti civili sfuggendo a qualsiasi definizione eppure osannato dai critici che hanno riconosciuto la sua “Like a rolling stone” come la più bella canzone di tutti i tempi. Christian Bale, Cate Blanchette, Richard Gere, Heath Ledger, tanto per citarne alcuni, sono gli attori che prestano il volto ad un cantante divorato dai dubbi esistenziali, mentre il suo entourage racconta l’uomo e l’artista nelle molte interviste che scorrono sullo schermo. Film per nulla facile nel suo percorso narrativo, “Io non sono qui” risulta frammentario e discontinuo ma può vantare una fotografia spettacolare -il bianco e nero calibrato alla perfezione si alterna alle immagini sgranate dell’epoca- che riesce a cogliere le atmosfere di un’epoca e le ansie di una generazione convinta di cambiare il mondo con gli slogan pacifisti. In tanto fracasso la sperimentazione di Haynes soffre nelle interviste che vogliono prendersi gioco del perbenismo di certi intellettuali al punto da sfociare nei dialoghi non sense con il giornalista che rappresenta l’ordine costituito. Alcool e droga party per alcuni liberi pensatori che fanno della musica una vera forma d’arte, il trip onirico di Haynes è spesso irritante, talvolta criptico, e culmina nel messaggio ecumenico di una musica che avvicina popoli e culture tanto diversi. Interpretazioni a parte -sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore del regista-, dopo quasi mezzo secolo dal suo debutto il menestrello continua ad incantare con quella voce gracchia ed inconfondibile che lo ha portato in vetta alle classifiche di mezzo mondo. Il risultato è per certi versi discutibile, ma Haynes non sembra preoccuparsi più di tanto perché il suo viaggio emoziona nonostante le mille incomprensioni. Di pubblico e, forse, anche di critica.
Antonello Villani
(Salerno)
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marie
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venerdì 21 settembre 2007
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fa schiffo
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merola
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giovedì 20 settembre 2007
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guardabile a stento
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Mi sembra lavoro di eccessiva indulgenza dare al film un significato che obiettivamente non ha. Un'accozzaglia ben fatta di spezzoni, episodi, allucinazioni, ma non un film. La colonna sonora è ottima (ci mancherebbe che Haynes fosse riuscito a rovinare anche quella).
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cineofilo92
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martedì 18 settembre 2007
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lui non è qui
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Storie intrecciate e tanto talento per mostrare la vita di Robert Zimmerman. Questo fà guadagnare un punto in più al regista. Solo fare qualcosa a proposito di Bob Dylan è già complicato, fare un film, che abbia incarnato perfettamente il menestrello e che sia diverso in tutto e per tutto ai film odierni non può che spiazzare lo spettatore, che si ritrova in un vortice a tratti psichedelico di storie e ricordi che impastandosi formano la storia di quello che è considerato l'artista più puro del ventesimo secolo. E alla fine del film non si può che provare una malinconia dolce e incredibile verso quegli anni che hanno sconvolto il mondo. é il film che tutti aspettavamo. Da molto tempo.
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alberto verde
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martedì 18 settembre 2007
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ma che noia il film di todd haynes!
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Quello di Todd Haines è il classico film che si preoccupa di comunicare solo agli appassionati di Dylan, disinteressandosi totalmente degli altri spettatori, che non possono cogliere il significato di molte frasi tratte dalle canzoni dell'artista o di alcune scene ispirate alla sua vita.
Tutto ciò, unitamente alla totale assenza di empatia e alla durata a dir poco eccessiva, rende il film una noia letale, non salvato dallo stile indubbiamente originale del regista.
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(di tamar)
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liz@rd_king
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lunedì 17 settembre 2007
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i'm not there
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Sarebbe stato facile per Todd Haynes girare una biografia perfetta di Bob Dylan, essendo quest'ultimo ancora in vita.
Dal momento in cui si spengono le luci nella sala, fino all'ultima pellicola del film che ci presenta un'esibizione del cantante con una fisarmonica in dissolvenza, signori miei ci troviamo di fronte all'Arte con la lettera maiuscola.
Un documentario nonchè film d'autore ci viene presentato in modo assolutamente innnovativo.
Il regista tratteggia momenti fondamentali della vita di Dylan grazie ai volti di Christian Bale,
Richard Gere, Marcus Carl Franklin ed una spettacolare Cate Blanchette che merita di essere elogiata per una performance davvero strepitosa!
L’inizio del suo viaggio verso New York nei vagoni del treno alla ricerca del suo padre spirituale Woody Guthry, il suo approccio al falk, l’alleanza artistica con Joan Betz, il suo matrimonio, il passaggio dal falk al rock, il periodo di frequentamento dei Beatles, le prime feste.
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Sarebbe stato facile per Todd Haynes girare una biografia perfetta di Bob Dylan, essendo quest'ultimo ancora in vita.
Dal momento in cui si spengono le luci nella sala, fino all'ultima pellicola del film che ci presenta un'esibizione del cantante con una fisarmonica in dissolvenza, signori miei ci troviamo di fronte all'Arte con la lettera maiuscola.
Un documentario nonchè film d'autore ci viene presentato in modo assolutamente innnovativo.
Il regista tratteggia momenti fondamentali della vita di Dylan grazie ai volti di Christian Bale,
Richard Gere, Marcus Carl Franklin ed una spettacolare Cate Blanchette che merita di essere elogiata per una performance davvero strepitosa!
L’inizio del suo viaggio verso New York nei vagoni del treno alla ricerca del suo padre spirituale Woody Guthry, il suo approccio al falk, l’alleanza artistica con Joan Betz, il suo matrimonio, il passaggio dal falk al rock, il periodo di frequentamento dei Beatles, le prime feste..tutti passaggi della vita del famoso cantante.
Potrebbe sembrare ingiustificata, la figura di Richard Gere che interpreta un Dylan al di sopra della sessantina.
Alla fine arriva la quadratura del cerchio poiché tutto si conclude nel villaggio di Enigma, dove era partito il viaggio di Woody e dove termina quello di Billy, in un villaggio che altro non è che l’America degli anni 50, ricca di contraddizioni.
Fotografia eccezionale, commento musicale che parla da se per una miscela di film d’autore e documentario davvero ben riuscita.
Non c’è che dire: è un film che merita assolutamente di essere visto.
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