catia p.
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mercoledì 17 gennaio 2007
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armonia geometrica
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Da un lato, abbiamo una storia classica della “leggenda” americana: il mito del self made man. Dall’altro, un livello qualitativo molto elevato sia dal punto di vista artistico (in primis, Will Smith e suo figlio) che da quello tecnico (sceneggiatura, fotografia, musica, montaggio... sembra tutto ineccepibile).
Dall’altro ancora, abbiamo Gabriele Muccino, un “giovane” regista italiano che sa fare il suo mestiere (perché di questo si tratta) sia in patria che oltre oceano, dimostrando finalmente che unire la lezione dei grandi registi italiani del passato con la cultura americana è possibile, e con risultati brillanti.
Così formiamo un triangolo equilatero i cui vertici, combaciando perfettamente, creano un film che ci sa coinvolgere, a livello emotivo, su più di un piano: per la sua storia così umanamente commovente (e vicina a noi più di quanto sembri), per la bravura indiscussa di Will Smith, per tutto ciò che sta intorno ed è sapientemente diretto da un regista che di suo, a livello verbale, ha evidenti difficoltà di espressione, ma a livello di linguaggio cinematografico-visivo sa farsi capire e sa comunicare alla grande.
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Da un lato, abbiamo una storia classica della “leggenda” americana: il mito del self made man. Dall’altro, un livello qualitativo molto elevato sia dal punto di vista artistico (in primis, Will Smith e suo figlio) che da quello tecnico (sceneggiatura, fotografia, musica, montaggio... sembra tutto ineccepibile).
Dall’altro ancora, abbiamo Gabriele Muccino, un “giovane” regista italiano che sa fare il suo mestiere (perché di questo si tratta) sia in patria che oltre oceano, dimostrando finalmente che unire la lezione dei grandi registi italiani del passato con la cultura americana è possibile, e con risultati brillanti.
Così formiamo un triangolo equilatero i cui vertici, combaciando perfettamente, creano un film che ci sa coinvolgere, a livello emotivo, su più di un piano: per la sua storia così umanamente commovente (e vicina a noi più di quanto sembri), per la bravura indiscussa di Will Smith, per tutto ciò che sta intorno ed è sapientemente diretto da un regista che di suo, a livello verbale, ha evidenti difficoltà di espressione, ma a livello di linguaggio cinematografico-visivo sa farsi capire e sa comunicare alla grande.
Assolutamente consigliato agli spettatori che non hanno paura d’immedesimarsi, soffrendo e sperando col protagonista… E assolutamente consigliato ai giovani registi e sceneggiatori italiani: ora è dimostrato che la loro ricerca della felycità può tradursi in qualcosa di ben fatto per il Cinema e per chi lo ama, purché ci si metta a… correre.
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[+] brava catia!
(di luckyluke)
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doctor love
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giovedì 18 gennaio 2007
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meglio la ricerca o la felicità?
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Muccino cambia sponda, ed emigrando lascia a casa tradimenti borghesi e aspiranti veline per firmare il suo miglior lavoro, solido e convincente al punto di sedurre anche il pubblico statunitense, avvezzo a vicende di buoni sentimenti. Il film infatti è ben riuscito e, furbescamente, porta alla commozione lo spettatore nel prevedibile ma liberatorio lieto fine, dopo un crescendo di fatiche e frustrazioni. L'angoscia della mancanza di denaro è resa ottimamente, così come l'orgoglio che tiene in piedi il protagonista e gli da' la forza di non arrendersi. Apprezzabile è la scelta di non indugiare in troppe scene patetiche, scegliendo pochi ed efficaci momenti per lasciare libero sfogo alle emozioni (splendida la notte nel bagno della stazione, con qualcuno che bussa alla porta).
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Muccino cambia sponda, ed emigrando lascia a casa tradimenti borghesi e aspiranti veline per firmare il suo miglior lavoro, solido e convincente al punto di sedurre anche il pubblico statunitense, avvezzo a vicende di buoni sentimenti. Il film infatti è ben riuscito e, furbescamente, porta alla commozione lo spettatore nel prevedibile ma liberatorio lieto fine, dopo un crescendo di fatiche e frustrazioni. L'angoscia della mancanza di denaro è resa ottimamente, così come l'orgoglio che tiene in piedi il protagonista e gli da' la forza di non arrendersi. Apprezzabile è la scelta di non indugiare in troppe scene patetiche, scegliendo pochi ed efficaci momenti per lasciare libero sfogo alle emozioni (splendida la notte nel bagno della stazione, con qualcuno che bussa alla porta). Forse la figura della madre, che abbandona figlio e marito solo a causa dei pochi soldi, era da approfondire o da tralasciare del tutto; contribuisce comunque a mostrare come l'indigenza abbia il sopravvento distruggendo progressivamnte affetti, amicizia e solidarietà. Quello che però viene da domandarsi è il perchè di alcune scelte di campo così radicali, del tutto fuori luogo in questa trama; di certo il film non è stato scritto per illustrare la filosofia alternativa degli hippy, o per denunciare i drammi sociali degli homeless, ma cha senso ha dipingere in modo così sgradevole soprattutto questi ultimi, che più verosimilmente potevano essere compagni di sventura del protagonista, con storie non dissimili dalla sua. Dall'altro versante la generosità nell'attibuire buon cuore e disponibilità agli altolocati uomini d'affari bianchi (che non vedono l'ora di accogliere tra le braccia il ragazzo nero indigente ma brillante) va a braccetto con la deludente didascalia finale: "..e fu così che Gardner guadagnò presto milioni di dollari ecc.ecc." La felicità è dunque chiudersi in un ufficio a urlare istericamente cifre e calcoli allo scopo di ingrassare conti in banca ed avere il posto migliore alla partita di football...probabilmente è la realizzazione del "sogno americano" che il pubblico si aspetta, e Muccino vi si adatta senza discutere. Del resto il regista romano non è noto per essere un sovversivo anticonformista, ma sta dimostrandosi un buon mestierante, furbo al punto giusto per entrare nei meccanismi complessi della produzione hollywoodiana, che ultimamente ama affidare le proprie star a registi stranieri emergenti. Infine permettetemi un augurio: se Muccino riuscirà a ritagliarsi ancora spazio negli USA (come è probabile) spero che riesca a mettere sempre un po' di Europa nella sua regia, come è riuscito a fare a tratti in questo film; con un regista americano il film si sarebbe concluso, invece che con una scena muta in chinatown seguita da barzellette in dissolvenza, con un abbraccio all'ombra di un bandierone stelle e strisce sulla frase "ti voglio bene figlio mio"
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antonello villani
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venerdì 26 gennaio 2007
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muccino realizza il suo sogno americano
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Per Gabriele Muccino è giunto il momento di svoltare. Segno del destino se il film “La ricerca della felicità” parla del sogno americano, eppure il deus ex machina è un attore comico che dimostra di avere stoffa anche quando si tratta di ruoli drammatici. Perché Will Smith, protagonista di questa fiaba metropolitana, è rimasto folgorato dopo aver visto “L’ultimo bacio” ed ha fatto il diavolo a quattro per assicurarsi il regista romano dietro la macchina da presa. La trama. Chris Gardner sbarca il lunario vendendo un aggeggio che misura la densità ossea, ha un pargoletto al seguito ed una moglie che fa i salti mortali per raggranellare qualche dollaro; bollette e multe non pagate, inizia il calvario del venditore che si ritrova a dormire persino nei bagni della metropolitana, ma l’incontro fortuito con un uomo d’affari e la fede in se stesso lo porteranno al successo contro ogni pronostico.
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Per Gabriele Muccino è giunto il momento di svoltare. Segno del destino se il film “La ricerca della felicità” parla del sogno americano, eppure il deus ex machina è un attore comico che dimostra di avere stoffa anche quando si tratta di ruoli drammatici. Perché Will Smith, protagonista di questa fiaba metropolitana, è rimasto folgorato dopo aver visto “L’ultimo bacio” ed ha fatto il diavolo a quattro per assicurarsi il regista romano dietro la macchina da presa. La trama. Chris Gardner sbarca il lunario vendendo un aggeggio che misura la densità ossea, ha un pargoletto al seguito ed una moglie che fa i salti mortali per raggranellare qualche dollaro; bollette e multe non pagate, inizia il calvario del venditore che si ritrova a dormire persino nei bagni della metropolitana, ma l’incontro fortuito con un uomo d’affari e la fede in se stesso lo porteranno al successo contro ogni pronostico. Ispirato ad una storia vera –oggi Chris Gardner ha una compagnia e milioni di dollari in banca-, “La ricerca della felicità” si rivolge a tutti quelli che vivendo un momento di difficoltà preferiscono abbandonare le armi e lasciarsi andare alla deriva. Filosofia yankee che compare persino nella Costituzione con alcune citazioni di Jefferson, spirito dei pionieri che spinge a grandi cose persino chi è senza arte né parte, “La ricerca della felicità” dimostra quanto sia vivo nel paese a stelle e strisce il desiderio di riscatto. Muccino batte la concorrenza –una quarantina i registi in lizza per questo film- dando vita così al suo sogno americano: ricostruzione degli anni ’80 convincente –yuppies che girano in Ferrari, soldi facili con la borsa ai suoi massimi storici, entusiasmo alle stelle per una generazione in pieno boom economico-, regia sciolta con un ritmo da cinema internazionale, fotografia curata e sceneggiatura ben scritta; sullo sfondo il dramma degli homeless –dove ci sono i molto ricchi ci sono anche i molto poveri- che sembra gridare vendetta dinanzi ai vestiti firmati dei potenti in doppiopetto ed il quotidiano fatto di bollette scadute per milioni di americani. Dal canto suo Will Smith fa di necessità virtù, convince l’azienda a farsi assumere come stagista, cerca contatti importanti, si divide tra lavoro ed impegni familiari correndo come un matto per tutto il film. Perché in un mondo che corre senza sosta, l’indolenza rischia di mandare tutto all’aria: se vuoi qualcosa, devi sudare sette camicie e superare molti ostacoli ma alla fine quello per cui hai lottato ti ripagherà di mille sofferenze. Stavolta Gabriele Muccino trova la felicità lasciando perdere crisi di mezz’età ed amori adolescenziali. Una rinuncia che gli ha dato visibilità nel cinema che conta.
Antonello Villani
(Salerno)
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lex
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sabato 27 gennaio 2007
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grande muccino!
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sono andata a vedere questo splendido film e sono fiera di muccino per essere riuscito a racontare cosi bene il "sogno americano" con un cast eccezionale! will smith e il figlio sono fantastici! will ha un espressività che si trova in pochi attori ormai! e poi oltre che un grande professionista è anche un grande uomo per quanto ho potuto vedere e sentire nelle interviste!
è una coppia degna dell'oscar! muccino da "principiante" nel mondo di hollywood è riuscito a dimostrare quanto vale e ,permettetemi di dire, che credo abbia dato un piccolo "schiaffo morale" a tutti i grandi registi americani!
finalmente un film degno di essere visto e non scontato!
spero sia solo il primo di una lunga serie di successi perchè se li merita tutti!
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furio
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sabato 13 gennaio 2007
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muccino annega nella melma statunitense
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Film scorrevole, dalla storia semplice e diretta, ma drammatica e vera. Muccino veste i panni inediti del regista americano che realizza un film su commissione. Il risultato si direbbe più che riuscito, anche se francamente non traspare alcuna voglia, da parte di Muccino e Smith, di smascherare l'atrocità esistenziale in un paese enorme come l'America in modo aggressivo. Tutt'altro: il film è dolce e pur nella sua drammaticità, non ha mai vere e proprie scosse. Sì, perchè anche se alla fine Garner riesce ad ottenere il lavoro come agente di cambio, non si ribella per come è stato trattato, per come si è dovuto ritrovare in mezzo alla strada con un bambino. Garner, pur di raggiungere la tranquillità economica (non giriamoci intorno, quella sarebbe l'unica e autentica felicità per chiunque abbia una vita normale), si fa calpestare fino a sanguinare dentro - curiosa dunque la scena in cui si riduce a donare il sangue per avere 20 miseri dollari, che però per lui fanno la differenza -.
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Film scorrevole, dalla storia semplice e diretta, ma drammatica e vera. Muccino veste i panni inediti del regista americano che realizza un film su commissione. Il risultato si direbbe più che riuscito, anche se francamente non traspare alcuna voglia, da parte di Muccino e Smith, di smascherare l'atrocità esistenziale in un paese enorme come l'America in modo aggressivo. Tutt'altro: il film è dolce e pur nella sua drammaticità, non ha mai vere e proprie scosse. Sì, perchè anche se alla fine Garner riesce ad ottenere il lavoro come agente di cambio, non si ribella per come è stato trattato, per come si è dovuto ritrovare in mezzo alla strada con un bambino. Garner, pur di raggiungere la tranquillità economica (non giriamoci intorno, quella sarebbe l'unica e autentica felicità per chiunque abbia una vita normale), si fa calpestare fino a sanguinare dentro - curiosa dunque la scena in cui si riduce a donare il sangue per avere 20 miseri dollari, che però per lui fanno la differenza -. Insomma, il film non ha mordente. La vibratilità europea di Muccino a cui ci eravamo abituati coi suoi film precedenti quì scompare per dare posto al manierismo tipico del film "hollywoodiano" di denuncia. Anche lui, al di fuori della finzione cinematografica e in parallelo alla vicenda di Garner, si è piegato agli ordini dei pesci grossi di Los Angeles. E allora viene in mente ERIN BROCKOVICH, con Julia Roberts, che è molto simile. Muccino avrebbe fatto un film di maggior impatto e che sarebbe rimasto, magari in modo anche più unito al resto della sua filmografia, se si fosse ispirato a MONSTER, in cui la bellissima Charlize Theron si è trasformata in Aileen Wournos, la prostituta che uccise negli stessi anni una decina dei suoi clienti insieme ad una compagna di avventura teen-ager, pur di raggiungere la stessa felicità. Un'occasione mancata per Muccino e un esperimento strano e francamente, ai miei occhi, inutile.
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goldy
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domenica 14 gennaio 2007
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proprio niente di nuovo
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Niente ma proprio niente di nuovo racconta il film. Il mito americano della felicità, premio che aspetta tutti coloro che si impegnano con tenacia e impegno è decisamente sfibrato. Non ci crede più nessuno. Il film al contrario mostra quanto sia impossibile per un non abbiente vivere in America. La brutalità dei comportamenti degli uffici erariali sarebbe insopportabile in Italia anche se molti la auspicherebbero in un paese di impuniti evasori come il nostro.
Bravi gli attori e anche il regista ma francamente davvero valeva la pena per quest'ultimo attraversare l'Atlatico' ne guadagnerà la sua carriera di regista ma per gli spettatori non vedo nessun valore aggiunto.
[+] sogno americano
(di gulliver)
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[+] sì...
(di swift)
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(di luckyluke)
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fafà
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mercoledì 17 gennaio 2007
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man in red
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Per dirla alla Muccino:-“questo capitolo della mia vita”, potremmo chiamarlo “recensione”. Recensione di un film triste ma bello, drammatico ma significativo, lento ma coinvolgente. Diviso in capitoli come Kill Bill, ma decisamente iper-reale rispetto al surreale di Tarantino, questo film segna un “felice” debutto hollyvoodiano per il regista dell’ “Ultimo bacio”. Ispirato ad una storia vera, la pellicola racconta la vita di Chris Gardner, “grande sombrero” della San Francisco degli anni ’80 che, tra mille difficoltà economiche, ricerca spasmodicamente quella porzione di felicità, a lui spettante per diritto dalla Dichiarazione d’ Indipendenza. Su e giù per le scomode e ripide strade della città californiana, a piedi e con il peso di una macchina medica di cui non ci si riesce a liberare (metafora forse dei problemi della vita ?), sempre con lo stesso abito da festa, con l’orgoglio e la speranza di chi sa che prima o poi arriverà il suo “indipendence day” economico, la sua occasione.
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Per dirla alla Muccino:-“questo capitolo della mia vita”, potremmo chiamarlo “recensione”. Recensione di un film triste ma bello, drammatico ma significativo, lento ma coinvolgente. Diviso in capitoli come Kill Bill, ma decisamente iper-reale rispetto al surreale di Tarantino, questo film segna un “felice” debutto hollyvoodiano per il regista dell’ “Ultimo bacio”. Ispirato ad una storia vera, la pellicola racconta la vita di Chris Gardner, “grande sombrero” della San Francisco degli anni ’80 che, tra mille difficoltà economiche, ricerca spasmodicamente quella porzione di felicità, a lui spettante per diritto dalla Dichiarazione d’ Indipendenza. Su e giù per le scomode e ripide strade della città californiana, a piedi e con il peso di una macchina medica di cui non ci si riesce a liberare (metafora forse dei problemi della vita ?), sempre con lo stesso abito da festa, con l’orgoglio e la speranza di chi sa che prima o poi arriverà il suo “indipendence day” economico, la sua occasione. Questa è la vita di Chris. Un uomo dalle ossa forti, quello interpretato da un bravissimo (anche da statuetta) Will Smith, tanto forti, da infrangere il parabrezza di una macchina (o forse della vita?) e poi rialzarsi per andare a “lavoro”, magari claudicante, ma mai per un osso rotto, ma, al massimo, per una scarpa persa. Simbolo di un uomo-abito che può perdere la sua etichetta ma non la qualità della sua forte stoffa. Basterebbe la capacità di sopportare i fallimenti di un lavoro in cui si erano investiti tutti i propri risparmi, e la compostezza nell’accettare la felicità quattro ruote degli altri esibitagli in faccia, a renderci simpatico questo vinto, ma basterebbe a noi, non alla sceneggiatura. Sì perché per quelle salite e discese di San Francisco, passa anche la vita di un figlio di 5 anni (1 nella realtà del vero Gardner), condannato a studiare la storia della marina americana guardando “Love Boat” in uno sgangherato asilo del quartiere cinese e a scriversi una lista di regali per il compleanno, per la sola illusione di avere poi ottenuto in quel unico destinatogli, il più bello, il più atteso. E qui Muccino si fa un po’ Benigni, ma senza la poesia e magia del regista toscano, e questo “la ricerca della felicità” si fa un po’ “la vita è bella”, sostituendo ai nazisti i ricchi indifferenti, ed alle file degli ebrei senza futuro, quelle dei barboni senza tetto. Facce diverse eppur a volte così simili di una società ancora profondamente squilibrata e ingiusta. Ed è qui, in questo campo di “sconfortamento” che Smith “benigneggia”, addolcendo la dura realtà al figlio amato (anche nella vita vera) attraverso la pillola dell’immaginazione e della bugia a fin di bene, coprendo lui le orecchie dai rumori della terribile realtà, proprio come il padre ebreo coprì gli occhi del suo piccolo dinanzi alla montagna di cadaveri. Girare mille e mille volte i pezzi del cubo di Rubik cercando disperatamente di risolverne il rompicapo, ed accorgersi che a riuscirci alla fine è solo chi non lo fa per spasso o intrattenimento, ma chi ogni giorno è impegnato a sistemare i pezzi della sua vita, questo è forse l’insegnamento primario di questo film, che restituisce al cinema un Muccino finalmente liberato dai tradimenti e le ipocrisie della media borghesia, e regala agli spettatori una grande interpretazione dell’ ex uomo in nero, qui “in rosso”, ben lontano dal mingherlino viziato di Bel Air, ma molto più uomo, nel fisico e nel personaggio. Dormire a cinque anni in uno squallido Motel, ma stringere ugualmente con forza il proprio pupazzo di Capitan American e trovare alla fine “nella terra delle opportunità” la propria chance, sono forse gli elementi più stelle e strisce della pellicola, simboli di un cinema che anche quando critica un po’ celebra, e che raccontando (bene) la storia vera (e bella) di uno che c’è l’ha fatta, non può farci dimenticare, tutti quelli ancora lì in fila, per un tetto/letto sotto/in cui dormire.
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pollakis
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sabato 20 gennaio 2007
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americano ma non troppo
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Le recensioni dei quotidiani italiani non sono molto lusinghiere, in particolare i quotidiani di sinistra hanno stroncato il film perchè troppo "reaganiano" e punitivo nei confronti del mondo della strada (hippy e barboni) mostrati come ladri e cattivi. Non riesco a stupirmi di ciò, d'altronde al potere c'è Bush e non vedo come anche un regista (probabilmente) di sinistra come Muccino potesse esimersi (attenzione però, la sceneggiatura non è sua). Io, che pure ho idee di sinistra, vi dico che mi è piaciuto. Sì è vero, la mancanza di solidarietà sociale tra pari e l'ipocrisia dei ricchi tutti bravi e buoni è una faciloneria da conservatori di destra, ma l'idea che Gardner abbia potuto riscattarsi socialmente, da misero barbone a ricco di successo, mi piace ed è piaciuta al pubblico (non solo americano) che nelle sale qualche lacrimuccia l'ha lasciata.
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Le recensioni dei quotidiani italiani non sono molto lusinghiere, in particolare i quotidiani di sinistra hanno stroncato il film perchè troppo "reaganiano" e punitivo nei confronti del mondo della strada (hippy e barboni) mostrati come ladri e cattivi. Non riesco a stupirmi di ciò, d'altronde al potere c'è Bush e non vedo come anche un regista (probabilmente) di sinistra come Muccino potesse esimersi (attenzione però, la sceneggiatura non è sua). Io, che pure ho idee di sinistra, vi dico che mi è piaciuto. Sì è vero, la mancanza di solidarietà sociale tra pari e l'ipocrisia dei ricchi tutti bravi e buoni è una faciloneria da conservatori di destra, ma l'idea che Gardner abbia potuto riscattarsi socialmente, da misero barbone a ricco di successo, mi piace ed è piaciuta al pubblico (non solo americano) che nelle sale qualche lacrimuccia l'ha lasciata. Il film è una sorta di catarsi. Nelle tribù antiche per diventare uomo bisognava resistere una settimana nella foresta, ritrovando la strada per tornare al proprio villaggio. Ecco, Gardner è un novizio degli anni '80 che si deve confrontare con la giungal metropolitana che ti ignora e schiaccia (il barbone "fatto" riverso a terra non considerato dai passanti è l'abstract del film, l'aticipazione di ciò che succederà). Devi essere tu con le tue forze a uscirne, purificandoti e dimostrando di essere un uomo che vale. Il vero esame di Chris Gardner non è quello per diventare broker, ma l'esame della vita. Per diventare "grande" è necessario abbandonare la condizione di vita mediocre iniziale (una casa, una famiglia, un investimento fallito), sprofondare nella miseria più totale e risalire fino alla vetta. La passione cristologica di Chris (non a caso, così come non è un caso il nome del figlio Cristopher) si compie nella risurrezione non mostrata al pubblico. La ricerca della felicità è compiuta e non ha bisogno di mostrare altro. Ancora una volta vince l'America.
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maema
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lunedì 22 gennaio 2007
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una "lenta" ricerca della felicità
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Bel film, grande regia, grande attore, bellissima storia di caparbietà e forza interiore. Grande esaltazione del libero arbitrio. Libero arbitrio, non Destino come qualcuno ha detto, ma libero arbitrio. Non è il destino che fa trovare quel padre sul lastrico, ma la sua decisione di investire su dei macchinari senza assicurarsi prima dell’impatto sui clienti, non è il destino che lo costringe a dormire in un bagno della metropolitana con il figlio, ma il suo desiderio di mostrare che vale qualcosa, il desiderio che lo spinge a mettersi in gioco, sempre e comunque, ed essendoci un figlio di mezzo non so se la sua decisione di provare ad arricchirsi con uno stage non retribuito anziché andare a fare qualsiasi altro lavoro, dal cameriere allo scaricatore di porto, sia da elogiare o da criticare.
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Bel film, grande regia, grande attore, bellissima storia di caparbietà e forza interiore. Grande esaltazione del libero arbitrio. Libero arbitrio, non Destino come qualcuno ha detto, ma libero arbitrio. Non è il destino che fa trovare quel padre sul lastrico, ma la sua decisione di investire su dei macchinari senza assicurarsi prima dell’impatto sui clienti, non è il destino che lo costringe a dormire in un bagno della metropolitana con il figlio, ma il suo desiderio di mostrare che vale qualcosa, il desiderio che lo spinge a mettersi in gioco, sempre e comunque, ed essendoci un figlio di mezzo non so se la sua decisione di provare ad arricchirsi con uno stage non retribuito anziché andare a fare qualsiasi altro lavoro, dal cameriere allo scaricatore di porto, sia da elogiare o da criticare. Bel film dunque, ma nel complesso per me è stato, (e nel dirlo so già che verrò messa in croce per questo) un po’ deludente. Forse perché quando si leggono delle critiche molto positive si va al cinema con delle aspettative estremamente alte, ma ho trovato il film (soprattutto la prima parte) un po’ “lento”. Come ho già detto la storia è bella è il ritmo non potrebbe essere diverso, non è un thriller e nemmeno un film d’azione o di avventura, e si distacca tanto anche dal genere dai ritmi incalzanti delle pellicole Mucciniane Italiane ma, quando davanti ad un film inizio a distrarmi, e a chiedermi quanto tempo sia passato, per me c’è qualche cosa che non va! Non voglio fare l’anticonformista che mette al bando un’opera solo per il gusto di farlo; sicuramente il film è tra i migliori del suo genere, ( come ho già letto in qualche altra critica, le scene della metropolitana che per gioco si trasforma in un luogo primitivo con tanto di dinosauri, e quella del discorso fatto da W.S. al figlio nel campo di Basket, sono davvero esemplari) ma, nel complesso non è il grande film che mi aspettavo. E il dubbio che mi assale è: non sarà che l’orgoglio per il lavoro di un nostro connazionale ci porta ad essere un po’ meno imparziali del solito?
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cult movie
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lunedì 22 gennaio 2007
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in italia muccino langue. in america rinsavisce.
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Mettiamo subito dei paletti (così il discorso fila via liscio): non ho mai amato Muccino. Che prendiate "L'ultimo bacio", che prendiate "Ricordati di me" la solfa è sempre quella: storie furbe, movimenti di camera repentini e videoclippari (Mtv docet) e interpretazioni apparentemente decenti, in realtà pessime (e la regia cerca sempre di ovviare a questa enorme pecca). Mi sono dunque avvicinato alla "Ricerca della felicità" con tanti dubbi e tanta diffidenza. Dopo quasi due ore di film mi sono stupito, un pò meravigliato. Possibile che l'aria americana abbia fatto bene a Muccino? Possibile, eccome. "La ricerca della felicità" è più di un filmino a stelle e striscie tutta retorica e buoni sentimenti, qui c'è dell'altro: introspezione psicologica, l'altra faccia dell'America che al cinema si è vista mille volte, ma almeno da trent'anni non si vedeva così bene (con la mente bisognerebbe tornare indietro ai tempi di Sidney Poitier, anni Sessanta o giù di lì), e finalmente delle ottime interpretazioni.
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Mettiamo subito dei paletti (così il discorso fila via liscio): non ho mai amato Muccino. Che prendiate "L'ultimo bacio", che prendiate "Ricordati di me" la solfa è sempre quella: storie furbe, movimenti di camera repentini e videoclippari (Mtv docet) e interpretazioni apparentemente decenti, in realtà pessime (e la regia cerca sempre di ovviare a questa enorme pecca). Mi sono dunque avvicinato alla "Ricerca della felicità" con tanti dubbi e tanta diffidenza. Dopo quasi due ore di film mi sono stupito, un pò meravigliato. Possibile che l'aria americana abbia fatto bene a Muccino? Possibile, eccome. "La ricerca della felicità" è più di un filmino a stelle e striscie tutta retorica e buoni sentimenti, qui c'è dell'altro: introspezione psicologica, l'altra faccia dell'America che al cinema si è vista mille volte, ma almeno da trent'anni non si vedeva così bene (con la mente bisognerebbe tornare indietro ai tempi di Sidney Poitier, anni Sessanta o giù di lì), e finalmente delle ottime interpretazioni. La storia è stranota, ma vedere Will Smith calarsi con tanta partecipazione nei panni di un poveraccio costretto a rimediare qualche centesimo vendendo apparecchi medici è esemplare quanto ammirevole. C'è tutta la storia di un America diversa da quella celebrata da Rocky (anch'esso nelle sale in questi giorni): è il dark side of Usa (tanto per citare pure i Pink Floyd), è il mondo che non ci viene mai mostrato. Ottima la visione che ne ha Muccino: da italiano, dunque europeo, distante anni luce dal Mito Americano, filtra attraverso il proprio lucidissio sguardo le contraddizioni di un Paese enorme, bellissimo, diviso, ingiusto. Pecca forse in fase di sceneggiatura (la parte centrale del tirocinio a tratti lascia un pò perplessi), ma chi ci ha visto buonismo, melassa o cose del genere, farebbe meglio ad occuparsi d'altro. Tutto dunque molto bello, e un Muccino che, se vuole aspirare a qualche ambizione d'autore, non dovrebbe più mettere piede in Italia. Non si possono escludere eventuali piacevoli sorprese (vedi alla voce Oscar?). Da vedere.
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