Arianna Finos
Il Venerdì di Repubblica
Sognano il jazz e invece fanno film. In casa Avati è una storia che si ripete, di padre in figlia. Pupi in Ma quando arrivano le ragazze? ha raccontato la sua carriera fallita di clarinettista, schiacciato dal talento dell’amico Lucio Dalla. Ora la primogenita Maria Antonia, che voleva fare la cantante jazz, debutta come regista con Per non dimenticai-ti, nelle sale in autunno. Lei però tiene subito a distinguersi dal padre. E, tanto per cominciare, rinnega la somiglianza fisica. «In realtà, ho preso da mamma», spiega, con la stessa voce sonora e perentoria di Pupi, fissandoti con gli stessi occhi allungati.
«Nel mio film ci sono dieci donne prossime al parto nella maternità di un ospedale romano» racconta. «L’anno è il 1946». La protagonista èAnita Caprioli, una giovane moglie ricoverata per complicazioni all’ottavo mese. «Parto dalla esperienza personale» dice ancora Maria Antonia Avati. «Mio figlio Lorenzo, che oggi ha cinque anni, è nato prematuro. E io ho vissuto per un p0’ in corsia al Gemelli. Ne ho parlato con mio fratello Tommaso, che ha scritto la sceneggiatura». Da papà invece, nessun aiuto? «No, era troppo indaffarato a girare il suo film. È venuto un paio di volte sul set, e si è commosso vedendo me e Tommaso insieme».
Dei resto, Maria Antonia dai punto di vista registico dice di non ispirarsi al padre. «Non vi aspettate i suoi virtuosismi di macchina, le sue ricostruzione d’ambiente. Io punto sulla recitazione, sulle facce». Ora sta lavorando al montaggio, nel casale di famiglia a Todi: «Spero che il film sia all’altezza, sarò severa nel giudicarmi» assicura. «E deciderò se andare avanti».
Per ora la strada non sembra essere stata troppo difficile. Per esempio Per non dimenticarti è stato l’ultimo film ad avere i finanziamenti statali. Però, a giudicare dai precedenti, questo potrebbe davvero essere il primo e ultimo film della regista, capace di autocensure durissime. Dopo aver trascorso l’adolescenza studiando canto jazz, ha infatti lasciato tutto, quando ha capito che le mancavano i numeri della fuoriclasse. Nessuno, a parte la sua insegnante, l’ha mai sentita cantare. Quella del tutto o niente sembra essere una filosofia di famiglia. «Ma no, è normale» replica lei «se non sei il massimo, meglio rinunciare. Ognuno deve trovare la sua strada: mio fratello Alvise è appassionato di animazione tridimensionale, ha messo i suoi lavori su Internet e l’ha chiamato Peter Jackson. Ora lavora al remake di King Kong».
Maria Antonia per trovare la sua strada ci ha messo un po’. Diplomata dirigente di comunità, il volontariato è stata una delle sue passioni, dopo il canto jazz, il violoncello e la scherma: «Stavo per partire per la Tanzania, e invece mi sono sposata», racconta. Al set era già arrivata a 18 anni. «il mio fidanzato mi lasciò. Ero distrutta. Mio padre, preoccupato, mi portò al lavoro con lui. Nell’89, con Storia di ragazzi e ragazze, sono diventata sua assistente».
Da sola, ha girato documentari per Sat 2000, II canale tv della Conferenza Episcopale (di cui Pupi Avati è potente consulente artistico). Con il marito, produttore di programmi proprio per Sat 2000, ha aperto una piccola società. «Ma non è facile conciliare tutti gli impegni con il ruolo di madre» dice. «Per fortuna ho l’aiuto dei miei: Pupi è un nonno meraviglioso e Lorenzo lo gratifica ascoltando con gioia i suoi racconti. Mio figlio studia il clarinetto, come il nonno, da quando aveva due anni. Chissà che non sia lui l’orecchio assoluto, il talento jazz della famiglia Avati. Il nonno ci spera».
Da Il Venerdì di Repubblica, 8 luglio 2005
di Arianna Finos, 8 luglio 2005