Hollywood Hong Kong

Un film di Fruit Chan. Commedia, durata 105 min. - Hong Kong, Gran Bretagna, Giappone, Francia 2003.
   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

È un film sulla carne Hollywood, Hong Kong di Fruit Chan: carne umana, sformata ma palpitante, carne di arti amputati, carne di maiale. In una baraccopoli, sovrastata dalle torri di un condominio di lusso che porta il nome della mecca del cinema, vivono tre uomini, grassi come i porcellini della favola: un padre, che rosola e vende maiali al mercato, e due figli, uno adolescente e uno bambino. La loro vita cambia quando ne esce l'enorme Mama, scrofa in fuga, e vi entra l'adolescente Tong Tong, piccola prostituta esperta in ricatti. Innamorati di lei, i ciccioni adulti sono vittime di una truffa collettiva estesa anche a un loro parente magro, trafficone esperto in siti web pornografici. È lui a rimetterci una mano, amputata da una banda di teppisti; fortunosamente l'arto viene recuperato e trapiantato, salvo che poi il ragazzo si ritrova in possesso di due mani sinistre. Per mettere in scena la sua parabola carnale Fruit Chan rinuncia al suo stile naturalistico, un neorealismo rivisitato in chiave cinese, ed esalta gli elementi della rappresentazione giocando fitto sui contrasti: la bidonville in demolizione da una parte, il lussuoso condominio "Hollywood" dall'altra; i corpi obesi degli uomini di fronte alla grazia esile della giovane prostituta. Se la Hong Kong del nuovo millennio appare molto simile all'anticamera dell'inferno, e il grottesco invade quasi sempre i fotogrammi, una strana tenerezza si fa largo, a tratti, nella desolazione. Così, l'apparentemente repulsivo bambino obeso diventa commovente e quasi grazioso e la sua amicizia con Tong Tong prende i caratteri dell'autenticità. Dignitoso ma un po' neutro, invece, il francese Loin, diretto dal solitamente più talentoso André Téchiné. Ne sono protagonisti Serge, camionista silenzioso poco disposto ad aprirsi agli altri, la sua amante Sarah, che gestisce una pensione a Tangeri, e il loro comune amico Said, il cui sogno è riuscire ad entrare in Europa, circondati da gay britannici, single incinte, cineasti e altri abitanti assortiti di una specie di terra di nessuno, dove tutti sembrano costantemente in transito. Ed è precisamente questo senso di precarietà (Sarah e Serge si prendono e si lasciano continuamente; Said ritiene che Serge abbia tradito la loro amicizia) il tratto più interessante del film di Téchiné, dove Tangeri diventa l'emblema di un mondo fluttuante come quello odierno, pieno di partenze senza meta e di ritorni solo temporanei. La struttura drammaturgica è debole (con la sola variante di un viaggio a rischio di Serge, che accettato di trasportare hashish sul proprio camion), come indecisi e alla deriva sono i personaggi. Il finale liberatorio è edificante ma non sufficientemente motivato.
Da La Repubblica, 3 settembre 2001

di Roberto Nepoti, 3 settembre 2001

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