Roberto Nepoti
La Repubblica
Sale lemme Salemme nella classifica degli incassi con L'amico del cuore, uno "slepper" all'italiana che replica la vicenda dei Laureati di Pieraccioni: partenza in sordina con pochissime copie, poi diffusione nazionale, buon successo, lancio di un nuovo cineasta già pronto per il prossimo film. Questa volta la Cecchi Gori factory propone un esordiente napoletano con vasta esperienza teatrale e autore della commedia omonima. Il cui soggetto, un po' menagramo, è il seguente. Alla vigilia della partenza per gli Stati Uniti, dove subirà un delicatissimo intervento al cuore, il dottor Roberto Cordova (Salemme) chiede all'amico Michele (Carlo Buccirosso) di realizzare l'ultimo desiderio del probabile condannato: lasciarlo andare a letto con la sua bella moglie svedese Frida (Eva Herzigova). La prima metà del film è spesa tra Roberto che spiega la faccenda a Michele, Roberto e Michele che la spiegano a Frida; la seconda prende più l'andamento della pochade, con sorpresa (ma non tanto) finale. Realizzato in economia, ben fotografato da Italo Petriccione, girato quasi esclusivamente in interni, L'amico del cuore è un film facile facile, che si regge tutto sul pretesto narrativo: tanto che poi, a cose fatte, stenta visibilmente a trovare una conclusione. Se la Herzigova è assai meno credibile come attrice che come oggetto del desiderio, Salemme e Buccirosso, perfetta spalla nello stile di Peppino De Filippo, si danno bene la replica in gag rigidamente teatrali, come quella del chihuahua Cocco Bill, che ricorda la famosa scenetta del sarchiapone di Walter Chiari. Si sorride, qualche volta si ride senza cadere (salvo per un paio di macchiettoni di contorno) nel cattivo gusto. E allora, qual è il problema? Il problema è che L'amico del cuore è un non- film; come altri titoli italiani sugli schermi in questi giorni; come sono non-libri i volumi (di Pieraccioni, di Jovanotti) più richiesti in libreria. Una larga fetta di pubblico, a quanto pare, sceglie la facilità. Roba che va giù d'un fiato, si digerisce subito. E non lascia nessuna traccia.
Da La Repubblica 11 gennaio 1999
di Roberto Nepoti,