Pulp Fiction

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Dai giornali gangsteristici a un film mozzafiato. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 17 novembre 2014

PULP FICTION (USA, 1994) diretto da QUENTIN TARANTINO. Interpretato da JOHN TRAVOLTA – SAMUEL L. JACKSON – UMA THURMAN – BRUCE WILLIS – HARVEY KEITEL – TIM ROTH – AMANDA PLUMMER – VING RHAMES – CHRISTOPHER WALKEN – ERIC STOLTZ – ROSANNA ARQUETTE – QUENTIN TARANTINO – MARIA DE MEDEIROS – PETER GREENE – DUANE WHITAKER – STEVE BUSCEMI – ANGELA JONES § Quattro storie di violenza s’intersecano in una struttura apparentemente circolare che va avanti e indietro nel tempo: 1) due balordi (Roth, Plummer) si accingono a fare una rapina in una tavola calda; 2) due sicari (Travolta, Jackson) recuperano una valigetta preziosa, puliscono la loro automobile, insozzata dal sangue e dal cervello di un ragazzo ucciso per sbaglio, con l’aiuto di Mr. Wolf (Keitel), l’uomo che risolve i problemi, e vanno a mangiare nella tavola calda della rapina; 3) uno dei bounty killers (Travolta) deve portare a ballare Mia (Thurman), moglie del capo (Rhames), ma lei va in overdose; 4) il pugile Butch (Willis) vince un incontro che doveva perdere e scappa con la borsa. Ispirato a quella narrativa popolare di ambiente criminale che, dagli anni 1930 e 1940, era pubblicata dai pulp magazines, il secondo film di Tarantino (1963) procede sul filo di un’irridente ironia, di un efferato umorismo nero, di una dialettica tra buffonesco e tragico (tra fun e funesto) che mettono azioni, gesti e personaggi come tra parentesi, in corsivo, anche quando, come nel torvo episodio della sodomizzazione, questo film divertente e caustico dai dialoghi irresistibili penetra nell’abominio del male. Le interpretazioni costituiscono un elemento cruciale e determinante per l’ottimo successo che quest’opera autoironica, dissacrante e travolgente riscosse tanto fra la critica quanto presso il pubblico: Travolta si aggiudica prepotentemente il ruolo di protagonista (ricevendo anche una nomination agli Academy Awards, al pari di Jackson e Thurman), incarnando un personaggio spassoso, un po’ ingenuo ma simpatico, vivace e anticonvenzionale che fa della sua fisicità abbondante ma tutt’altro che goffa il punto su cui incardinare le doti comiche e recitative che da troppo tempo, per quanto riguarda l’attore, erano rimaste in ombra, ritagliandogli un angolo buio nel panorama della cinematografia statunitense, dal quale tuttavia emerse grazie a questo film che gli ha regalato indubbiamente soddisfazioni, una delle quali il ballo nella discoteca sulle note della stupenda You Never Can Tell di Chuck Berry, e c’è da dire che nella danza Travolta trova un mezzo di espressione congeniale e ideologico mica da scherzare; Jackson è un suo compagno fedele, loquace, moderatamente sadico e sovversivo, che recita un passo biblico (inventato dagli sceneggiatori e quindi non tratto dai testi sacri) ogni volta che s’appresta ad uccidere o minacciare una vittima, e sa sventare rapine di altri criminali compromettendoli e facendoli sentire insulsi e insignificanti; l’allora ventiquattrenne Thurman dà già prova di una recitazione ben oliata e congegnata, in cui sfoggia simpatia, limitata maturità ma anche femminilità rapace e autodistruttiva, e le scene in cui dà libero sfogo alla parlantina vitale e sciolta e anche quella in cui attraversa la crisi di rigurgito dovuta all’intruglio di alcool e droghe rappresentano i suoi momenti migliori, coadiuvata anche dall’eccellente copione che non lesina in fatto di gag brillanti e momenti di divertimento sano, sarcastico e rumoroso; Willis si dà da fare nel ruolo di un pugile insolito, deciso, rozzo, potente e sfortunato, che fugge col premio del match vinto contro gli accordi presi e riesce a salvarsi dai pericoli cavalcando una motocicletta, gestendo abilmente e sardonicamente il rapporto con la bistrattata fidanzata e scivolando fortunosamente tra i rischi che evita sempre per un pelo; Roth è un rapinatore maldestro ma empatico, che mette nel suo personaggio tutto il suo bagaglio di espressioni facciali raffigurative, ticchettii antitradizionalisti e mosse impeccabili, consegnando al pubblico un’interpretazione memorabile per preparazione e intensità; Keitel ha forse una parte troppo ristretta e relegata nei bassifondi per potersi esprimere al meglio delle sue capacità, ma la sua performance è senza dubbio valente e imperiosa per l’impegno che mette nel suo personaggio inconsueto, flemmatico e tutto sommato anche positivo (in antitesi dunque con la predominanza caratteriale del film). Tarantino dirige con occhio arguto e pazienza notevole, registrandosi anche con un ruolo secondario come spesso fa nelle sue pellicole, che interpreta con maestria e sapiente golosità, compiacendosi di dirigere sé stesso ma anche attori professionisti che non sbagliano un colpo, calibrando da autentici maestri le veridicità crollanti e maestose dei discorsi, che rimangono comunque il punto di forza e la leva su cui poggiare la gigantesca sfera che decide se un film ha valore oppure è da scartare e classificare come prodotto mediocre o perlomeno minimamente corretto. Bella anche la scenografia di David Wasco, che dipinge con tinte forti e quasi magiche i paesaggi urbani dell’America dell’ultimo decennio del XX secolo. La fotografia è stata curata da Andrzej Sekula, e anche questa costituisce un approdo mirabile e abbordabile di un’opera che conta fra i suoi difetti probabilmente una lunghezza un po’ eccessiva e un uso poco azzeccato delle musiche nei momenti giusti (credo che sarebbe stato meglio affidare la stesura della colonna sonora a un compositore esperto, piuttosto che delegare il compito ad autori vari, benché poi le canzoni ricordino momenti meravigliosi e sognanti). Guardandolo, tuttavia, ci si diverte, e la commistione saggia e crepitante di thriller, commedia noir, drammatico e gangster-movie colpisce nel segno. Vietato in Italia ai minori di quattordici anni. Palma d’oro a Cannes e Oscar per la sceneggiatura (Tarantino, Roger Avary).

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