Senza tetto né legge

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Un film di Agnès Varda. Con Sandrine Bonnaire, Macha Méril, Stéphane Freiss, Yolande Moreau, Laurence Cortadellas.
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Titolo originale Sans toit ni loi. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 105 min. - Francia 1985. MYMONETRO Senza tetto né legge * * * * - valutazione media: 4,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

una giovane anarchica senza speranze Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51015 | altri commenti e recensioni di carloalberto
martedì 15 dicembre 2020

 Il destino di un’esistenza, senza vincoli di appartenenza ad una comunità o ad un territorio, senza legami stabili familiari, amicali o di coppia, che aspira ad essere assoluta, ispirata da un puro anarchismo ribelle e oramai anacronistico, etichettato come randagismo umano nelle moderne società omologanti di massa, è icasticamente rappresentato dalla Varda nell’immagine iniziale, che è anche la fine della breve parabola della vita della protagonista, interpretata da una giovanissima Sandrine Bonnaire, che, ad appena diciotto anni, ha già una maturità artistica ed una naturale drammaticità espressiva che rimangono impresse.
Di lei, che cammina sola ai margini di una strada, sfuggente alla stessa macchina da presa, entrando ed uscendo dal campo visivo, senza lasciare traccia del proprio passaggio, fino ad essere catturata in un fermo immagine come cadavere irrigidito dal freddo invernale in un fosso, finalmente immobile, preda selvatica raggiunta ed infilata in un civile ed asettico telo bianco, abbiamo scarne notizie e relative soltanto agli ultimi giorni precedenti alla morte, ricostruiti attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuta o semplicemente incontrata.
Le inquadrature in campo lungo con una fabbrica in lontananza sullo sfondo, segno di una civiltà distante che si annuncia in avamposti di squallore suburbano, e la giovane in primo piano come naufrago alla deriva che si sofferma un attimo a riprender fiato ed un po’ di calore accanto al fuoco acceso dagli operai di una casa in costruzione, danno simbolicamente l’idea della difficoltà di sottrarsi totalmente a qualsiasi tipo di convivenza essendo il mondo ormai disseminato di umanità infestante come il fungo venuto d’oltreoceano ad infettare i platani morenti.
La macchina della docente universitaria, la casupola diroccata, la roulotte del giovane filosofo che alleva capre, la stanza del lavoratore tunisino, la tenda piantata in un cimitero o nello spiazzo di un’officina, sono tutti rifugi temporanei e precari che si sgretolano dinanzi alla decisione irrevocabile di non far parte di nessun gruppo umano. Alla ragazza che vuole dimenticare, tutti ricordano costantemente il suo ruolo di donna nella società maschilista. Tutti quelli che incontra nel suo peregrinare odissiaco vogliono coinvolgerla nelle loro vite, in meccanismi di subordinazione o affiliazione, nella condivisione di un progetto.
E, tuttavia, nell’animo della ragazza, il desiderio di qualcuno che si prenda cura di lei in modo disinteressato, forse dovuto ad un’infanzia priva di cure parentali in un passato che rimarrà oscuro, da cui emergono pochi frammenti di una vita piccolo borghese, si combatte con la spinta opposta alla fuga peregrinante alla ricerca di una disperante libertà nella solitudine assoluta.
Alla docente universitaria occorre la scossa elettrica per destarsi dal torpore in cui è immersa, come tutti gli altri personaggi prigionieri del sogno delle loro false esistenze nelle quali la costruzione di senso si origina nello scambio reciproco di illusioni che tengono avvinti ad una realtà che prevale sulle vite fantasmatiche dei cosiddetti, per la tranquillità della coscienza dei benpensanti, barboni, troppo scomode, sporche e maleodoranti per poter essere una valida alternativa al tran tran delle menzogne interessate, degli egoismi travestiti di buone maniere, della beata esistenza borghese.

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