enrico omodeo salè
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venerdì 22 gennaio 2010
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il colonialismo tra le mura di casa (3)
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La scelta, così come in Borom Sarret, di far parlare Diouana in francese, attraverso la voce off, si inquadra in una logica del nazionalismo senegalese che cerca di usare dei mezzi che non gli appartengono per attaccare la cultura occupante. Questa contraddizione è evidente nei primi film di Sembène. A partire da Le Mandat invece la lingua africana diventa outil, vince la colonizzazione francese che l’aveva relegata ai margini. Con i film del primo periodo invece questo percorso è ancora in via di realizzazione.
Il film è anche un confronto tra due donne - una “moderna”, stanca e annoiata ma allo stesso tempo aggressiva e autoritaria - e l’altra bella, coraggiosa, orgogliosa della sua cultura (simboleggiata dalla maschera), con un forte senso della dignità.
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La scelta, così come in Borom Sarret, di far parlare Diouana in francese, attraverso la voce off, si inquadra in una logica del nazionalismo senegalese che cerca di usare dei mezzi che non gli appartengono per attaccare la cultura occupante. Questa contraddizione è evidente nei primi film di Sembène. A partire da Le Mandat invece la lingua africana diventa outil, vince la colonizzazione francese che l’aveva relegata ai margini. Con i film del primo periodo invece questo percorso è ancora in via di realizzazione.
Il film è anche un confronto tra due donne - una “moderna”, stanca e annoiata ma allo stesso tempo aggressiva e autoritaria - e l’altra bella, coraggiosa, orgogliosa della sua cultura (simboleggiata dalla maschera), con un forte senso della dignità. che la spingerà al rifiuto della sua condizione di serva.
E’ presente una tensione erotica: Sembène mostra più volte Diouana intenta a spogliarsi, e nella scioccante scena del suicidio lo spettatore osserva “la prima donna nera completamente nuda in un film, ed è morta!”.
IL VOLTO REALE DELL’INDIPENDENZA:
A Dakar Diouana sorride, è viva, felice: “ho trovato lavoro! Ho trovato lavoro!” ripete a tutti i conoscenti dopo l’assunzione.
Il fatto di trovare un’occupazione è una rarità nel Senegal degli anni ‘60. I sogni e le speranze di una nuova repubblica indipendente si infrangono nella realtà quotidiana, dove bidonvilles sempre più grandi circondano la capitale. Mentre i deputati escono dall’Assemblea Nazionale, i disoccupati affluiscono in cerca di lavoro e le donne vanno al “mercato delle domestiche” nella vaga attesa che qualche bianco offra loro una occupazione.
Nel Senegal di Senghor, la comunità francese è numerosa, concentrata nei quartieri borghesi di Dakar. Sono soprattutto assistenti tecnici e piccoli imprenditori, che si arricchiscono grazie alle loro competenze. Hanno paura dell’instabilità del governo, nonostante le rassicurazioni del presidente, e appena possono, ritornano in Francia con il denaro guadagnato. Pur creando occupazione (manodopera comune, domestiche…), non rappresentano una risorsa per il Senegal, anzi, sono “un fuorviante miraggio per tutte le Diouana” .
Anche la nuova classe borghese nera, formata nelle scuole dei bianchi viene giudicata negativamente. Non c’è niente in comune tra loro e il popolo, nemmeno il monumento ai caduti di guerra. Infatti in uno dei flashback Diouana cammina tranquillamente, senza alcun senso di colpa, sul monumento, e viene aspramente rimproverata dal suo compagno, “un funzionario, cresciuto nel contesto socio-culturale del colonizzatore (…). Questo amico, come gli altri intellettuali, troppo rivolti verso l’Europa e le sue astratte riflessioni, non vede la realtà quotidiana del popolo”, parlando di sacrilegio: il gesto di Diouana invece non è un atto irriverente verso i caduti, ma un’inconscia ribellione nei confronti di tutto ciò che è formale e alieno ai problemi reali del popolo africano. I “sacrilegi” sono altri: sono il razzismo e l’indifferenza dei padroni, che causano il suicidio della ragazza, ma anche la corruzione e la dipendenza econonomico-culturale della nuova classe dirigente figlia dell’indipendenza, che rinuncia vigliaccamente allo sviluppo autonomo dei paesi africani.
SIMBOLI
La maschera, che Diouana acquista a credito dal fratello per regalarla ai padroni, accompagna la gioia e la gratitudine iniziali verso i datori di lavoro, ma è anche un simbolo dell’Africa, della sua cultura tribale.
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mercoledì 20 gennaio 2010
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il colonialismo tra le mura di casa (2)
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Unico film dell’autore dove i bianchi sono gli autentici protagonisti dell’azione, “La Noire de..” si fonda su un’idea principale: l’oppressione della domestica africana non deriva dalla condizione di donna delle pulizie, considerata come un fatto, ma da un rapporto sociale: la pauperizzazione relativa dei suoi padroni, che abbandonano i privilegi di cooperanti (in Senegal) per ridivenire dei semplici salariati (in Francia)”.
Questo elemento modifica lo spirito di Diouana, che a Dakar si trovava bene, in una condizione tutto sommato privilegiata rispetto alle sue coetanee. Ad Antibes si ritrova sola (a Dakar c’era un cuoco), i lavori si concentrano (oltre alla cura dei bambini deve badare alla pulizia della casa, fare la spesa, cucinare…), la chiusura con l’esterno la rende triste e passiva (a Dakar usciva con il fidanzato e frequentava i familiari).
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Unico film dell’autore dove i bianchi sono gli autentici protagonisti dell’azione, “La Noire de..” si fonda su un’idea principale: l’oppressione della domestica africana non deriva dalla condizione di donna delle pulizie, considerata come un fatto, ma da un rapporto sociale: la pauperizzazione relativa dei suoi padroni, che abbandonano i privilegi di cooperanti (in Senegal) per ridivenire dei semplici salariati (in Francia)”.
Questo elemento modifica lo spirito di Diouana, che a Dakar si trovava bene, in una condizione tutto sommato privilegiata rispetto alle sue coetanee. Ad Antibes si ritrova sola (a Dakar c’era un cuoco), i lavori si concentrano (oltre alla cura dei bambini deve badare alla pulizia della casa, fare la spesa, cucinare…), la chiusura con l’esterno la rende triste e passiva (a Dakar usciva con il fidanzato e frequentava i familiari). Il potere della padrona (Anne-Marie Jelinek) diventa dunque totale: ed è l’odio nei confronti di quest’ultima una delle principali cause del suicidio: “lei non può dire no, ma allo stesso tempo si trova in un mondo che la rifiuta. E’ rifiutata dalla sola famiglia che ha, il suo padrone e la sua padrona”.
Il marito, interpretato da Robert Fontaine (che ritroveremo in Emitaï), lascia alla compagna il compito di gestire gli affari di casa e il rapporto con Diouana. E’ apatico, dorme spesso, ma cerca di mostrarsi comprensivo e rispettoso nei confronti della domestica, senza comprendere che il suo problema è la solitudine: “cos’hai Diouana, sei malata? Vuoi la tua paga?”. Il comportamento del padrone cela una inconscia attrazione sessuale, percepita dalla moglie, che a causa di ciò diventa ancora più aggressiva.
Da rimarcare che la coppia di padroni resterà sempre anonima (“madame” et “monsieur”).
L’ANTICOLONIALISMO LINGUISTICO IN VIA DI REALIZZAZIONE:
Diouana è analfabeta. Ma comprende e parla il francese. Smette progressivamente di dialogare con “Monsieur”, “Madame” e i bambini perché “si sente in clausura dentro un universo di interdizione. Rimugina sola il suo malessere, estremizzando la sua posizione di rifiuto”.
Appena giunta in Francia, “Monsieur” la accompagna a casa in macchina. I due compiono un tragitto che va dal porto di Marsiglia all’appartamento di Antibes. Il panorama della Costa Azzurra farà pronunciare a Diouana le uniche parole positive di tutto il film: “E’ bella la Francia!” dirà sorridente. Dopo questo incipit le scene ad Antibes si svolgono esclusivamente nell’appartamento: qui comincia il mutismo della protagonista.
La progressiva perdita di fiducia e di speranza è rappresentata dai suoi pensieri e dalle rare parole che pronuncia.
“Oui monsieur, oui madame” dice all’inizio, poi non parla più. Comincia a fare a sé stessa delle domande: “non sono venuta per questo”, “com’è la gente qui?”, “le porte qui sono sempre chiuse”, “dove sono i bambini?”, “non sono una cuoca, né una domestica”. In più viene trattata come un fenomeno da baraccone dagli amici di famiglia riuniti a cena: un signore le tasta le guance e chiede il permesso di baciarla perché: “non ho mai baciato una negra in vita mia”. Il razzismo è palese quando gli ospiti chiedono alla moglie:
- Parla francese?
- No.
- Comprende?
- Se vuole…
- Come un animale…però cucina molto bene.
Diouana in voce off dirà con odio: “comprendo tutto”. “Madame” diventa sempre più aggressiva e le ripete continuamente: “qui non è l’Africa”.
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martedì 19 gennaio 2010
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il colonialismo tra le mura di casa (1)
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“Questo film introduce l’Africa nel circuito cinematografico mondiale. Tale avvenimento è una data nella storia del cinema” Paulin Soumanou Vieyra
Tratto da una novella di Voltaïque, ispirata a sua volta da un articolo di cronaca nera apparso su Nice-Matin, La noire de.. è il primo lungometraggio di finzione girato da un africano. La sua durata in realtà sta al confine tra un mediometraggio e un lungometraggio, tuttavia la sceneggiatura era stata pensata per una lunghezza di circa 90’, poi tagliata dalla produzione con l’accordo dell’autore: “all’origine il film doveva durare 90’con delle scene a colori e altre in bianco e nero. In seguito a difficoltà amministrative con il Centro Nazionale di Cinematografia (carte professionali che non possedevo), l’ho ridotto a 55’ tagliando le scene a colori.
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“Questo film introduce l’Africa nel circuito cinematografico mondiale. Tale avvenimento è una data nella storia del cinema” Paulin Soumanou Vieyra
Tratto da una novella di Voltaïque, ispirata a sua volta da un articolo di cronaca nera apparso su Nice-Matin, La noire de.. è il primo lungometraggio di finzione girato da un africano. La sua durata in realtà sta al confine tra un mediometraggio e un lungometraggio, tuttavia la sceneggiatura era stata pensata per una lunghezza di circa 90’, poi tagliata dalla produzione con l’accordo dell’autore: “all’origine il film doveva durare 90’con delle scene a colori e altre in bianco e nero. In seguito a difficoltà amministrative con il Centro Nazionale di Cinematografia (carte professionali che non possedevo), l’ho ridotto a 55’ tagliando le scene a colori. Esse descrivevano le idee idilliache che Diouana aveva della Francia. Comunque sia, la versione attuale mi soddisfa perché quella da 90’ sarebbe stata appesantita da alcune lungaggini”, racconta l’autore.
Non è ancora un film interamente africano (la lingua è il francese, buona parte dell’ambientazione si svolge in Costa Azzurra), ma parte della produzione (la neonata Domireew), i tecnici, la musica e metà degli attori sono africani. Girato in 35mm bianco e nero nel 1966, ha una durata di 55’ (ma circolano versioni da 60’).
STRUTTURA
Il film è composto da due parti ben distinte, una ad Antibes e l’altra a Dakar, che si concatenano nella messa in scena. Non vengono rispettate le unità di tempo, luogo e azione. Il personaggio centrale della domestica fornisce però una continuità drammatica alla vicenda, quindi la struttura del film è comunque lineare.
Tre flashback, due con stacchi secchi e uno con dissolvenza, descrivono la vita a Dakar della protagonista: nel primo cerca lavoro, va al “mercato delle domestiche” e viene scelta dalla padrona. Nel secondo annuncia al suo ragazzo che partirà per la Francia, mettendosi a camminare sul monumento ai caduti. Nel terzo parla a letto con il fidanzato, prima della partenza.
Questi stacchi temporali permettono, così come in Guelwaar, di inquadrare con più precisione la psicologia del personaggio. Sono ricordi felici della vita recente a Dakar, con il suo fidanzato, che rendono ancora più insopportabile la solitudine nel presente.
Lo sviluppo della narrazione interseca sintagmi ambientati nella capitale senegalese - presente all’inizio, alla fine e durante i flashback - e la casa di Antibes. E’interessante notare che a Dakar le scene sono girate esclusivamente in esterni, simbolo di libertà, mentre ad Antibes si svolgono quasi esclusivamente in interni, simbolo di oppressione.
L’audio non è registrato in presa diretta: gli attori (non professionisti) sono doppiati e la voce di Diouana non è di Thérèse M’Bissine Diop, bensì di Toto Bissainthe, un’attrice di mestiere.
TEMATICHE
L’INCOMPRENSIONE COLONIALE:
“In questo film denuncio tre cose: il neocolonialismo (mi chiedo, perché la tratta degli schiavi continua ancor oggi?), la nuova classe africana composta generalmente da burocrati e una certa forma di assistenza tecnica”.
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