julien sorel
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martedì 16 febbraio 2010
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noir targato kurosawa
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Kurosawa giunto al suo 23° lavoro, dirige con sapienza e maestria una pellicola ispirata ad un genere fino ad allora mai esplorato. Tratto da un romanzo intitolato "Due colpi in uno", il film racconta con fluidità e ritmo una vicenda che incuriosisce e che ben si sviluppa , sapientemente costruita e diretta lungo il suo intricato dipanarsi. Kingo Gondo è un valido imprenditore giapponese pronto a compiere un passo importante, avendo onfatti raccolto un'ingente somma di denaro, decide di acquisire il totale controllo di un'importante compagnia calzaturiera di cui è gia membro azionista. Ma un ostacolo gli si pone dinanzi, minaccioso e funesto: qualcuno per telefono lo informa anonimamente di aver rapito suo figlio, il quale tenuto in ostaggio potrà essere liberato solo in cambio di un'ingente somma di denaro.
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Kurosawa giunto al suo 23° lavoro, dirige con sapienza e maestria una pellicola ispirata ad un genere fino ad allora mai esplorato. Tratto da un romanzo intitolato "Due colpi in uno", il film racconta con fluidità e ritmo una vicenda che incuriosisce e che ben si sviluppa , sapientemente costruita e diretta lungo il suo intricato dipanarsi. Kingo Gondo è un valido imprenditore giapponese pronto a compiere un passo importante, avendo onfatti raccolto un'ingente somma di denaro, decide di acquisire il totale controllo di un'importante compagnia calzaturiera di cui è gia membro azionista. Ma un ostacolo gli si pone dinanzi, minaccioso e funesto: qualcuno per telefono lo informa anonimamente di aver rapito suo figlio, il quale tenuto in ostaggio potrà essere liberato solo in cambio di un'ingente somma di denaro. Rinunciando da subito al suo ipotetico desiderio commerciale, l'imprenditore senza alcun dubbio, decide di acconsentire alla richiesta del rapitore. Improvvisamente però, si svela un particolare fondamentale, ovvero il bambino rapito non appartiene all'imprenditore ma bensì al suo autista, scoperta che tuttavia non farà cambiare idea al rapitore, ostinato e imperterrito a continuare ad esigere la somma richiesta. L'imprenditore pertanto, si troverà dinanzi ad una scelta cruciale: proseguire nei suoi intenti imprenditoriali o aiutare il povero autista abbandonando inevitabilmente quest'ultimi? Saranno gli investigatori a seguire le tracce del misterioso rapitore e a risolvere dopo lunghe indagini il delicatissimo caso. Diviso in due fondamentali sequenze, il film si sviluppa nella prima parte quasi esclusivamente all'interno delle mura domestiche, per mutare poi durante la seconda porzione, in cui il baricentro della storia viene spostato totalmente sulle indagini intraprese dalla polizia. Volutamente cangiante, la trama si evolve lungo il procedere del film, dal clima teso e soffocato che caratterizza il rapimento e il dilemma dell'imprenditore, questa si libera e si sposta lungo le strade e i meandri di una Tokyo che appare allo stesso tempo dispersiva e claustrofobica, alla ricerca del rapitore e di qualche suo indizio. Una sorta di contrapposizione e scontro tra due ideologici e dicotomici paradisi e inferni, rappresentati rispettivamente dal profondo divario tra classe dirigente e bassifondi, in cui la prima sovrasta e osserva dall'alto i secondi, come Gondo dalla sua casa in collina contempla e scruta l'identità del rapitore nascosto tra i meandri bui e miseri della città, e dove il rapimento stesso, rappresenta in fondo un tentativo sovversivo e disperato di riscatto. Ottima la fotografia e memorabili le sequanze del pedinamento, anche la musica viene adoperata in maniera suggestiva, assente durante le prime scene, aumenta progressivamente sino ad esplodere nel finale. Anatomia di un rapimento rappresenta un ottimo Noir di un regista che non ha bisogno di elogi o presentazioni. Kurosawa con questa pellicola non ha la pretesa di girare un capolavoro, tuttavia convince pienamente e riesce bene nell'intento di raccontare un'interessante vicenda appassionando lo spettatore fino alla fine.
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tomdoniphon
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venerdì 27 giugno 2014
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delitto e castigo secondo kurosawa
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A Tokyo, uno studente intende rapire il figlio di un industriale. Ma per sbaglio rapisce quello del suo autista. L'industriale accetta comunque di pagare il riscatto. La successiva ricerca del rapitore da parte della polizia sarà una discesa nelle zone più povere e malfamate della città. Il romanzo giallo "Due colpi in uno" di Ed McBain, da cui è tratto il film, è un mero pretesto per affrontare alcuni dei temi più cari a Kurosawa: il male che si annida nella società, il delitto e i misteriosi legami tra i destini umani; non è un caso che il grande regista dichiarò di essersi ispirato al suo romanziere preferito, Dostoevskij (ed in particolare a "Delitto e castigo" e "I demoni").
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A Tokyo, uno studente intende rapire il figlio di un industriale. Ma per sbaglio rapisce quello del suo autista. L'industriale accetta comunque di pagare il riscatto. La successiva ricerca del rapitore da parte della polizia sarà una discesa nelle zone più povere e malfamate della città. Il romanzo giallo "Due colpi in uno" di Ed McBain, da cui è tratto il film, è un mero pretesto per affrontare alcuni dei temi più cari a Kurosawa: il male che si annida nella società, il delitto e i misteriosi legami tra i destini umani; non è un caso che il grande regista dichiarò di essersi ispirato al suo romanziere preferito, Dostoevskij (ed in particolare a "Delitto e castigo" e "I demoni"). La descrizione dei bassifondi della metropoli riporta alla mente i memorabili film "neorealisti" dello stesso Kurosawa, come "L'angelo ubriaco" e "Cane randagio", e alcuni noir americani, come "Mano pericolosa" di Fuller e "Bandiera gialla" di Kazan. Il film è tesissimo ed avvincente, anche grazie alla ottima ricostruzione dell'indagine poliziesca. Non sono poche le sequenze da antologia: basti citare il viaggio nel treno, il confronto finale tra l'industriale (un ottimo Mifune) e lo studente, e soprattutto la visita al quartiere dei drogati, che costituisce uno dei vertici del cinema di Kurosawa. Più sbrigativa, invece, l'analisi della personalità dello studente.
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luca scial�
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giovedì 1 agosto 2013
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kurosawa fa centro anche con un poliziesco
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Un bambino viene rapito per errore. I malviventi credono che sia il figlio di un imprenditore, il signor Gondo, invece è quello del suo autista. La richiesta è molto alta: 30milioni di yen e l'uomo è combattuto nel darglieli perchè in quel caso salterebbe la scalata in un'azienda più grossa. Ma alla fine cede. La polizia si mette sulle tracce del rapitore, scoprendo che arriva dalle viscere della città.
Un sorprendente Kurosawa dimostra di essere un ottimo regista anche per quanto concerne i polizieschi, trasponendo un romanzo di Ed McBain Due colpi in uno, del 1959. Il regista, anche sceneggiatore, ricostruisce nel dettaglio tutte le fasi dell'inchiesta, trascinando lo spettatore in una storia macabra, dove l'ingiustizia sociale fa da colonna sonora e da fine che comunque non giustifica i mezzi.
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Un bambino viene rapito per errore. I malviventi credono che sia il figlio di un imprenditore, il signor Gondo, invece è quello del suo autista. La richiesta è molto alta: 30milioni di yen e l'uomo è combattuto nel darglieli perchè in quel caso salterebbe la scalata in un'azienda più grossa. Ma alla fine cede. La polizia si mette sulle tracce del rapitore, scoprendo che arriva dalle viscere della città.
Un sorprendente Kurosawa dimostra di essere un ottimo regista anche per quanto concerne i polizieschi, trasponendo un romanzo di Ed McBain Due colpi in uno, del 1959. Il regista, anche sceneggiatore, ricostruisce nel dettaglio tutte le fasi dell'inchiesta, trascinando lo spettatore in una storia macabra, dove l'ingiustizia sociale fa da colonna sonora e da fine che comunque non giustifica i mezzi. Ottima prova del fido Toshiro Mifune, che smessi per una volta i panni del Samurai o del bandito, veste quelli del borghese, ben figurando anche in giacca e cravatta.
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carloalberto
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giovedì 28 ottobre 2021
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opera pedagogica sottoforma di thriller
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Kurosawa indora la pillola e propina al grande pubblico americaneggiante del suo paese, con un evidente intento pedagogico, una serie di quadretti morali edificanti sottoforma di un popolare thriller poliziesco in stile hollywoodiano. Segue con spoiler.
Prologo: l’etica dell’imprenditoria buona, intesa come duro lavoro al servizio della collettività, che ha come effetto collaterale l’arricchimento individuale, incarnata dal dirigente d’azienda che si è fatto dal nulla, è messa a confronto con il cattivo capitalismo impersonato dai suoi soci in affari, i cinici azionisti che mirano soltanto al guadagno personale senza farsi scrupolo delle esigenze del cittadino consumatore.
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Kurosawa indora la pillola e propina al grande pubblico americaneggiante del suo paese, con un evidente intento pedagogico, una serie di quadretti morali edificanti sottoforma di un popolare thriller poliziesco in stile hollywoodiano. Segue con spoiler.
Prologo: l’etica dell’imprenditoria buona, intesa come duro lavoro al servizio della collettività, che ha come effetto collaterale l’arricchimento individuale, incarnata dal dirigente d’azienda che si è fatto dal nulla, è messa a confronto con il cattivo capitalismo impersonato dai suoi soci in affari, i cinici azionisti che mirano soltanto al guadagno personale senza farsi scrupolo delle esigenze del cittadino consumatore.
Nel Giappone del boom economico e della crescita industriale esponenziale degli anni ’60, suona come monito e vademecum per i giovani imprenditori.
Primo quadretto: dramma da camera con dilemma morale. L’eroe, Toshiro Mifune, da veder recitare in lingua originale, deve scegliere tra il lavoro vissuto come missione, sua unica ragione di vita, con annesse comodità e lussi per sé e la propria famiglia, e la vita di un bambino, il figlio del suo autista.
Confucio indica quale sia la scelta giusta da fare e parlando per bocca della moglie, simbolicamente vestita con l’abito tradizionale giapponese, suggerisce all’eroe la via della compassione e dell’empatia verso il prossimo. Nella scala dei valori, prima la difesa della vita dei più deboli, poi il lavoro come servizio sociale.
Secondo quadretto: la polizia, la stampa e l’opinione pubblica, tutta la società civile, compresi i tutori dell’ordine in divisa, sono al fianco dell’imprenditore etico e si schierano compatti contro i cattivi capitalisti che si sono impossessati, nel frattempo, dell’azienda, approfittando della momentanea debolezza di Mifune impoveritosi per pagare il riscatto. Polizia e stampa collaborano utopicamente nella caccia al rapitore, che rappresenta la feccia della società per aver ostacolato l’opera benefattrice dell’onesto capitalista.
La società si deve dimostrare coesa nel difendere gli antichi valori tradizionali in pericolo nello scenario economico e sociale imposto dalla modernità, che genera nuove diseguaglianze con conseguenti odi sociali che minano la civile convivenza ed intralciano il progresso in atto.
Terzo quadretto: il rapitore di bambini è anche un assassino e forse addirittura uno psicopatico. Occorre, infatti, essere folli per non riconoscere il Bene scambiandolo per il Male, ma anche stupidi per aver scambiato il figlio del povero con quello del ricco. Il reietto vive in una baracca fatiscente e dalla finestra è costretto a vedere tutti i giorni la bella villa di Mifune, in posizione dominante in alto sulla collina. Roso dall’odio verso i ricchi è destinato all’inferno in terra, rappresentato icasticamente dal villaggio dei drogati zombies nel quale cerca la sua vittima cavia per sperimentare la dose letale di eroina da iniettare ai suoi complici, non prima di essere passato in un bar, non a caso frequentato da americani, dove regna il vizio.
Ovvio l’invito, nella nascente società consumistica del dopoguerra, a non desiderare smodatamente la roba d’altri e ad accontentarsi del poco che si ha, tenendosi a debita distanza dal modello americano che rappresenta la strada che conduce diritta all’inferno.
Epilogo: l’omicida, prima di essere giustiziato, chiede di incontrare non il prete ma l’imprenditore. L’arrivo in carcere dell’eroe è inquadrato da dietro le sbarre, a significare che siamo tutti un po’ colpevoli, anche se in diversa misura, del peccato di invidia verso chi è più fortunato e quindi tutti bisognosi dell’opera educatrice di Kurosawa, che, nell’ultima sequenza, indica quale sia la parte giusta da cui stare e colloca la cinepresa alle spalle dell’eroe, mentre pietoso guarda il poveretto farneticare di inferno e paradiso nella cella.
Il mentecatto non ha compreso l’insegnamento contenuto nelle ultime parole del maestro che gli chiede “sei sicuro di essere stato così sfortunato?”.
A prescindere dal valore estetico dell’opera, il film appare discutibile nei contenuti, soprattutto per la visione ingenuamente idilliaca del capitalismo e per l’ambigua aspirazione a fornire alle masse dei modelli esemplari da seguire per accogliere il progresso senza rinunciare ai valori tradizionali.
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alessandro rega
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venerdì 13 settembre 2013
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una riflessione sul male e sull’etica
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1963, Kurosawa dirige un noir che riflette attentamente sull’etica e sull’umanità.
Nella prima parte troviamo una sequenza importantissima dove viene caratterizzata la psicologia dei personaggi e vengono introdotti temi fondamentali.
Un bambino viene rapito, inizialmente si pensa che sia il figlio di Gondo, un ricco industriale.
Invece, si tratta del figlio dell’autista di Gondo.
Il rapitore ha commesso un errore perché l’obiettivo era il figlio del riccone.
Nonostante ciò, chiede comunque con forza il riscatto e qui, non so se il rapitore pensasse che Gondo avrebbe pagato o meno, suppongo che dubitasse della nobiltà d’animo di Gondo.
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1963, Kurosawa dirige un noir che riflette attentamente sull’etica e sull’umanità.
Nella prima parte troviamo una sequenza importantissima dove viene caratterizzata la psicologia dei personaggi e vengono introdotti temi fondamentali.
Un bambino viene rapito, inizialmente si pensa che sia il figlio di Gondo, un ricco industriale.
Invece, si tratta del figlio dell’autista di Gondo.
Il rapitore ha commesso un errore perché l’obiettivo era il figlio del riccone.
Nonostante ciò, chiede comunque con forza il riscatto e qui, non so se il rapitore pensasse che Gondo avrebbe pagato o meno, suppongo che dubitasse della nobiltà d’animo di Gondo.
Questo, aveva anche investito una grande cifra e, pagando il riscatto, si sarebbe trovato in rovina perché il suo segretario aveva investito già la somma non potendo credere che Gondo sul serio avesse accettato di pagare un figlio non suo.
Un gran bastardo il segretario…senza ombra di dubbio.
Nonostante una prima riluttanza, decide di pagare e, soprattutto grazie alla moglie e allo stesso figlio al quale non doveva dare cattivo esempio…suo figlio era molto affezionato al bambino rapito.
L’autista non potrebbe ami sognarsi di pagare quel riscatto, infatti, di certo non gode della somma richiesta.
Dopo questa sequenza iniziale, si svolgono le indagini della polizia che riesce a trovare il colpevole (l’ispettore che svolge le indagini è interpretato dal grandissimo Mifune).
Anche la parte tipica dei gialli è girata in modo buono ma, di certo, il punto forte di questo film sta nella psicologia dei personaggi, buoni o cattivi che siano.
È un film molto emozionante.
Alla fine, il bastardo rapitore viene preso e prima di essere condannato a morte, chiede udienza con Gondo e credo che ne riconosca il valore morale…cosa che lui non ha mai avuto…è il cattivo per eccellenza, credo che la sua storia sia molto triste proprio perché non ha mai avuto scelta…o meglio…ha sempre scelto la via del male.
Questa pellicola (tratta dal romanzo “Due colpi in uno di Ed McBain) dovrebbero farla vedere nelle scuole perché offre molti spunti di riflessione e conversazione.
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paola di giuseppe
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venerdì 19 marzo 2010
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tra terra e cielo,un titolo più appropriato
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Un giallo di E.McBain (Una grossa somma) ispira questo Tra cielo e inferno,film che diremmo “americaneggiante” se non stessimo parlando di Kurosawa.
Gondo, ricco industriale, sta per conquistare la quota di maggioranza della società con una operazione finanziaria in cui rischia il suo capitale (“cinquanta milioni, non un centesimo di meno”)ma viene fermato dalla telefonata del rapitore di suo figlio che chiede un riscatto di trenta milioni.
Pagare significa rinunciare a tutto e rovinarsi,lasciando campo libero ai soci che non aspettano altro (i primi venti minuti tagliati nell’edizione italiana fotografavano l’antefatto e la lotta di Gondo per un prodotto di qualità contro la protervia utilitaristica dei soci che vogliono immettere roba scadente sul mercato).
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Un giallo di E.McBain (Una grossa somma) ispira questo Tra cielo e inferno,film che diremmo “americaneggiante” se non stessimo parlando di Kurosawa.
Gondo, ricco industriale, sta per conquistare la quota di maggioranza della società con una operazione finanziaria in cui rischia il suo capitale (“cinquanta milioni, non un centesimo di meno”)ma viene fermato dalla telefonata del rapitore di suo figlio che chiede un riscatto di trenta milioni.
Pagare significa rinunciare a tutto e rovinarsi,lasciando campo libero ai soci che non aspettano altro (i primi venti minuti tagliati nell’edizione italiana fotografavano l’antefatto e la lotta di Gondo per un prodotto di qualità contro la protervia utilitaristica dei soci che vogliono immettere roba scadente sul mercato).
Gondo viene dalla gavetta,sacrificare il lavoro di una vita per il figlio è scontato, non altrettanto decidere di farlo quando si scopre che il rapitore ha sbagliato bambino prendendo il figlio dell’autista,amico di giochi vestito come l’altro da sceriffo.
Prende quota a questo punto quello scandaglio dell’animo umano che Kurosawa affonda sempre implacabile e rivela l’uomo a sé stesso.
Gondo è ad un bivio: pagare e rovinarsi o mettere a rischio la vita del bambino?
Pagherà, e non saranno le parole della moglie e del figlio, e neppure il pianto disperato dell’altro padre a deciderlo: “..io e mio figlio lavoreremo come bestie tutta la vita gratuitamente per lei..”.
Sottili,quasi impercettibili variazioni di stati d’animo sono disseminate dal regista a cogliere il travaglio interiore dell’uomo fino alla decisione.
I primi cinquanta minuti del film ristagnano nel chiuso del soggiorno della villa,le dinamiche sono tutte interne alle figure dei protagonisti,le corde tese fino allo spasimo toccano l’apice nel secondo atto,sul rapido per Osaka da cui le due valigette col denaro dovranno essere scagliate dal finestrino “C'è tutta la mia vita qua dentro” mormora Gondo.
Da questo momento l’azione diventa frenetica, la seconda parte del film ruota tutta sulla figura del sequestratore e sull’inchiesta che porterà alla soluzione.
Il rapitore e la sua condanna a morte.
Due film in uno, e che film!
Il giovane studente di medicina è un bohémien in chiave new age. Accostato al dostojeskiano Raskolnikov,è piuttosto il prodotto di un dopoguerra già ampiamente documentato da Kurosawa (Cane randagio, L’angelo ubriaco, Dodés ka dén).
La villa in collina di Gondo è la sua ossessione, rapirgli il figlio e rovinarlo,umiliarlo,sono la condanna emanata,non c’è molto di Raskolnikov in questo quanto una profetica(siamo nel ’63) previsione di tempi a venire,di vite usa e getta,di facili guadagni e tempo dissipato.
Non a caso la Tokio by night è sempre molto esplorata dal cinema d’impegno sociale di Kurosawa e qui fa da sfondo all’inchiesta, minuziosa, capillare di questi detectives molto poco americanizzati, soprattutto senza quel cipiglio cinico e sprezzante,ma ciononostante molto efficienti e risolutori.
Lo studente e Gondo sono sulla scena di chiusura,uno di fronte all’altro, separati dalle sbarre.
Poche parole.
Gondo sta ricominciando una nuova vita, è ripartito dal poco e guarda avanti con fiducia.
Lo studente va a morire, non ha niente per cui vivere, la sua morale si è rivelata fallimentare, capace solo di stampargli un sorrisetto beffardo che ben presto si trasforma in urlo selvaggio.
Gondo, di spalle, lo guarda impotente mentre cala il sipario,una pesante lastra di lamiera che nasconde le sbarre
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