biancaritacataldi
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mercoledì 17 agosto 2011
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la non-idea
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1963. La prigione di Alcatraz ritira finalmente i suoi artigli e viene chiusa per sempre. Martin Luther King tiene il discorso I have a dream dinanzi ad un’immensa folla, piccola parte di un’umanità che sta cambiando. In una sera di giugno, il mondo perde Giovanni XXIII. Mina canta Stessa spiaggia, stesso mare con un taglio di capelli a caschetto che ha fatto storia. E Federico Fellini gira un film che non è un film. Lo intitola provvisoriamente “8 ½” perché non gli viene in mente niente di meglio. Perché non ha un’idea precisa, per la verità. Il grande regista si è ormai lasciato travolgere da una caotica giostra di pensieri, che vortica dentro di lui e che preme, preme insistentemente contro le pareti del suo corpo per uscire.
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1963. La prigione di Alcatraz ritira finalmente i suoi artigli e viene chiusa per sempre. Martin Luther King tiene il discorso I have a dream dinanzi ad un’immensa folla, piccola parte di un’umanità che sta cambiando. In una sera di giugno, il mondo perde Giovanni XXIII. Mina canta Stessa spiaggia, stesso mare con un taglio di capelli a caschetto che ha fatto storia. E Federico Fellini gira un film che non è un film. Lo intitola provvisoriamente “8 ½” perché non gli viene in mente niente di meglio. Perché non ha un’idea precisa, per la verità. Il grande regista si è ormai lasciato travolgere da una caotica giostra di pensieri, che vortica dentro di lui e che preme, preme insistentemente contro le pareti del suo corpo per uscire. Un disordine che muove la sua penna verso una sceneggiatura che altro non è se non delirante poesia: parole che riecheggiano sul fondo degli incubi di ieri, di oggi e di sempre, parole che lottano contro il vuoto di significato per rivendicare la loro assoluta legittimità. E intanto, passano i giorni. C’è un film da realizzare, e ci sono produttori da mettere a tacere e risposte da dare alle infinite domande che gli vengono rivolte, ma Fellini non ha altre idee al di là di questa geniale, caotica Non-Idea. Dunque, il titolo. Un titolo messo lì per caso, perché non c’era niente di meglio. Eppure, quelle cifre – 8 ½ - sono l’estrema, matematica, sintesi di ciò che accade nella mente del regista. L’otto, perfetto nelle sue rotondità infinitamente percorribili, sembra quasi ricalcare l’ordine insito nei film già realizzati. Un numero che è completezza, che non si interrompe mai, che insegue continuamente le proprie curve senza scossoni né singhiozzi. Otto film. Otto idee. Poi, ½. Che non sembra nemmeno un numero, con quel taglietto obliquo che divide l’uno dal due. Un Non-Numero per una Non-Idea. L’incompletezza. L’imperfezione. L’interrotto. Otto film e un episodio. 8 ½, semplici numeri che quasi feriscono lo sguardo nel momento in cui appaiono nei titoli di testa, immobili nei loro caratteri gotici contro il nero dello sfondo. E qualche istante dopo questa fugace apparizione, il film ha inizio. Uno splendido Mastroianni in camicia inamidata si muove sicuro di sé in un personaggio che, al contrario, è insicuro e instabile. Un personaggio – Guido Anselmi, regista di mezza età alle prese con un nuovo film – in profonda crisi interiore. In lui, l’artista e l’uomo sembrano inizialmente seguire due strade diverse, ognuno perso nei suoi problemi e, tuttavia, pericolosamente vicini. Nella prima metà del film, infatti, è la crisi dell’uomo a prevalere: le numerose donne sono ancora reali, presenti, per così dire verosimili. I ricordi d’infanzia, che frenano di tanto in tanto il flusso già di per sé incostante della narrazione, sono di volta in volta critiche alla famiglia, alla Chiesa e all’istruzione, rielaborate dalla mente dell’uomo maturo. Nella seconda metà del film, invece, la crisi dell’artista - alle prese con un film che sembra irrimediabilmente destinato a divenire un aborto – si confonde con quella della persona stessa. Le scene iniziano a mescolarsi e a vorticare, il tempo diventa Fuori-tempo, e la Non-Idea, che aveva ormai occupato la mente del regista Fellini, entra prepotentemente nei pensieri del regista Anselmi, il protagonista. Un film nel film, dunque. E lo spettatore non può più distinguere la realtà dalla fantasia, il vero dal falso. Il realistico cede il passo a un più largo verosimile che diviene infine, dopo una disperata accelerazione, surreale. Particolarmente interessante è il ripetersi, nel corso del film, dell’espressione “Più niente da dire”. Queste parole compaiono più volte sulle labbra del protagonista, che non riesce a venire capo del suo film, ma ancor più sulle labbra di sua moglie, Luisa, interpretata da un’Anouk Aimée splendidamente gelida e nervosa. Nel finale, Luisa grida addirittura “He has nothing to say” traducendo in inglese, dunque, la suddetta espressione. L’inglese è voluto e indispensabile, poiché è l’unica lingua che tutti i personaggi del film, attrici e attori di diverse nazionalità, possono comprendere. Luisa, quindi, rende definitivamente pubblica la disfatta di suo marito: tutti i personaggi del film e tutti gli spettatori al di là dello schermo devono sapere che Guido Anselmi ha fallito, che non ha più nulla da dire. E per ben due volte, nel film, il personaggio Guido muore: all’inizio, in una macchina piena di gas dinanzi agli occhi spenti e distratti degli altri, e alla fine. E non è un caso che Guido, pressato da tutte le donne e le attrici e i produttori della sua vita, si nasconda sotto un tavolo e si spari alla tempia dicendo “Datemi un attimo, devo pensare a cosa dire”. Cosa dire. Cosa dire. E’ questa la chiave dell’intero film: il disordine del pensiero che, tuttavia, è comunicazione, al contrario di ciò che Guido e Luisa credono. E’ il caos, ciò che il regista – Guido, ma anche Fellini – ha da dire. Dunque quel He has nothing to say è una bugia, così come sono una menzogna la macchina piena di gas e lo sparo sotto il tavolo. Infine, il protagonista giunge alla resa dei conti. L’enfer c’est les autres, scriveva Sartre. Guido, invece, capovolge questa affermazione, nel momento in cui capisce di dover accettare gli altri, il suo passato e tutto ciò che lo circonda per ricominciare a vivere. Significativa, infatti, è la scena dei provini: il produttore costringe Guido a guardare, e riguardare, le registrazioni dei provini per scegliere gli attori adatti al film. E gli attori in questione altro non sono che coloro che hanno popolato la vita di Guido. Accettando gli attori e scegliendoli per il suo film, il regista accetta tutte le persone – reali – che lo hanno accompagnato negli anni. Le donne del suo passato diventano personaggi, la realtà si capovolge e il film diviene, lentamente, inesorabilmente, uno specchio appena un po’ incrinato della sua vita. E tuttavia, così come il film, inizialmente destinato al fallimento, viene improvvisamente riportato alla luce negli ultimi minuti della pellicola, così la vita del protagonista ricomincia sotto la protezione di un imprevedibile ottimismo. Ecco spiegata, dunque, la scena finale: niente di meglio del circo, infatti, può esprimere la gioia improvvisa, la liberazione del protagonista, il ritorno del bambino che è in lui. Infatti, proprio nella scena finale, ricompare il bambino Guido, per la prima volta vestito di bianco. E’ lui, infatti, a dirigere la piccola orchestra che lo segue senza sosta in circolo, come in una stramba processione. L’innocenza del bambino prende il sopravvento sul disordine, sulla folla di gente – gli altri, appunto – che Guido ha finalmente imparato ad accettare. “Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com'è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire... Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso.” grida Guido, giunto ormai al termine della sua lotta interiore. E così, al ritmo della musica frizzante di Nino Rota, si chiude il film, spegnendosi al di sopra di ogni personaggio e lasciando soltanto il bambino al centro della scena, vestito di bianco, fermo nel suo limitato, e tuttavia splendente, alone di luce.
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radiante
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venerdì 8 aprile 2011
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pietra miliare (forse persa di vista)
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Confesso che non l'avevo mai visto.
Il lavoro è notevole, davvero a livelli altissimi (non lo scopro certo io).
A tratti mi ha lasciato decisamente a bocca aperta.
A volte è risultato un po' pesante, mi è arrivato un po' troppo "trottolante su se stesso". Ma, del resto, anche il miglior latte ha qualche grumo, e c'è a chi piace proprio per questo.
Un profondo lavoro di scavo psicanalitico, giù nella mente di un uomo (forse lo stesso regista?), nelle sue emozioni, nei suoi ricordi, fino ad arrivare alle debolezze ma anche alle sue forze ciclopiche.
A tratti ho provato dei brividi gelidi, come forse mai con alcun film dell'orrore.
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Confesso che non l'avevo mai visto.
Il lavoro è notevole, davvero a livelli altissimi (non lo scopro certo io).
A tratti mi ha lasciato decisamente a bocca aperta.
A volte è risultato un po' pesante, mi è arrivato un po' troppo "trottolante su se stesso". Ma, del resto, anche il miglior latte ha qualche grumo, e c'è a chi piace proprio per questo.
Un profondo lavoro di scavo psicanalitico, giù nella mente di un uomo (forse lo stesso regista?), nelle sue emozioni, nei suoi ricordi, fino ad arrivare alle debolezze ma anche alle sue forze ciclopiche.
A tratti ho provato dei brividi gelidi, come forse mai con alcun film dell'orrore.
A volte ho riso, a volte mi sono commosso. A tratti angosciato.
Insomma, l'ho vissuto, questo film.
Senza dubbio una pietra miliare.
Voto complessivo: 8 e mezzo, naturalmente!
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joker 91
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domenica 23 gennaio 2011
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un capolavoro italiano
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un film decisamente pazzesco che gioca su cosa è l'artista,dopo la dolce vita fellini affronta un tema non facile rifacendosi attraverso il personaggio di guido a se stesso ed a quello che il mitico 4 VOLTE PREMIO OSCAR stava passando. Mastroianni è senza ombra di dubbio il migliore attore italiano mai esistito ed lo dimostra ancor più qui che in la dolce vita ma il film resta geniale per la partecipazione di altri mitici attori E attrici e soprattutto per il tema non facile da rendere. Fellini è IL NEOREALISMO ED è L'ITALIA CINEMATOGRAFICA NEL MONDO CHE PURTROPPO DIFFICILMENTE TORNERà
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(di poggi)
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cineamatore
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mercoledì 27 ottobre 2010
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quando il cinema diventa un opera d'arte
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Non si può dire di amare il Cinema se non si ama questo autentico capolavoro del maestro di Rimini che mettendo in scena questo film ha scritto una delle più importanti pagine della settima arte...Mentre ne "La dolce vita" si intravede l'inquietudine e la desolazione di un uomo che impotente vive il cambiamento della PROPRIA società,con "8 1/2" Fellini scava dentro di se,mettendo in scena quella stessa inquietudine e desolazione stavolta però rappresentando visivamente(in maniera assolutamente geniale)i suoi pensieri e le sue paure,quindi mescolando realtà e sogno in una forma d'arte innovativa che trascende la semplice definizione di film...La descrizione della trama? Sfido chiunque a scriverne una in poche righe,perchè mi sembra assolutamente riduttivo dire che il film sia il ritatto di un regista con un blocco creativo che non sa se fare o meno un film, che si ritrova allo stesso tempo a soffrire d'una crisi esistenziale; 8 1/2 non ci racconta solo le angoscie di un uomo ma va a sviscerare la sua più profonda e inconscia psicologia mettendo a nudo la necessità di liberazione verso l'occlusione delle libertà più recondite che si trasformano in perversioni estreme(memorabile la scena dell'harem),le paure represse,il sentimento di vergogna (che tanto ricorda la sensazione che Kafka prova al suo risveglio vedendosi trasfgormato in un orribile insetto)rappresentato con uno splendido salto temporale che riporta il protagonista ai primi peccati dell'infansia,e ancora l'oppressione asfissiante nei rapporti con una carrellata eccezionale di personaggi reali e immagianari che si mescolano ritrovandosi tutti insieme nel meraviglioso girotondo finale.
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Non si può dire di amare il Cinema se non si ama questo autentico capolavoro del maestro di Rimini che mettendo in scena questo film ha scritto una delle più importanti pagine della settima arte...Mentre ne "La dolce vita" si intravede l'inquietudine e la desolazione di un uomo che impotente vive il cambiamento della PROPRIA società,con "8 1/2" Fellini scava dentro di se,mettendo in scena quella stessa inquietudine e desolazione stavolta però rappresentando visivamente(in maniera assolutamente geniale)i suoi pensieri e le sue paure,quindi mescolando realtà e sogno in una forma d'arte innovativa che trascende la semplice definizione di film...La descrizione della trama? Sfido chiunque a scriverne una in poche righe,perchè mi sembra assolutamente riduttivo dire che il film sia il ritatto di un regista con un blocco creativo che non sa se fare o meno un film, che si ritrova allo stesso tempo a soffrire d'una crisi esistenziale; 8 1/2 non ci racconta solo le angoscie di un uomo ma va a sviscerare la sua più profonda e inconscia psicologia mettendo a nudo la necessità di liberazione verso l'occlusione delle libertà più recondite che si trasformano in perversioni estreme(memorabile la scena dell'harem),le paure represse,il sentimento di vergogna (che tanto ricorda la sensazione che Kafka prova al suo risveglio vedendosi trasfgormato in un orribile insetto)rappresentato con uno splendido salto temporale che riporta il protagonista ai primi peccati dell'infansia,e ancora l'oppressione asfissiante nei rapporti con una carrellata eccezionale di personaggi reali e immagianari che si mescolano ritrovandosi tutti insieme nel meraviglioso girotondo finale...8 1/2 è la rappresentazione e il confronto dell'io con la realtà;alla fine Guido deciderà di fare il film mettendoci dentro tutte le inquietudini,le passioni,i sogni, i ricordi che delineano la sua vita..quel film che comincerà a dirigere è 8 1/2 e Guido non è altro che Fellini stesso..
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catullo
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lunedì 25 ottobre 2010
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il grande narciso
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Fellini che trasforma la sua crisi creativa dopo i trionfi della "dolce vita" in un film epico tra i più copiati della storia del cinema. Introduce l'onirico e la psicoanalisi nel linguaggio cinematografico lui che dai tempi de "la strada" è in psicanalisi junghiana. Ma sono convinto che il suo enorme narcisimo da grande affabulatore si serviva di questa terapia in cui cercava i segreti dei sogni e del subconscio scavando in se stesso come il cercatore d'oro scava nel letto del fiume o nelle viscere della terra. lo sappiamo che Fellini alle 10 di sera salutava tutti e andava a letto per sognare.Accusato di essere un narciso ripetitivo fellini ha coperto lo spazio di decenni con film uguali ai suoi sogni ma profondamente e fondalmentamente diversi l'uno dall'altro.
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il cinefilo
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giovedì 24 giugno 2010
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8 1/2
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TRAMA: Il film racconta la crisi professionale e esistenziale di un regista di nome Guido(un grande Marcello Mastroianni)e che durante la lavorazione di un nuovo film si trova a "fronteggiare" psicologicamente i ricordi del passato e la sua stessa figura inizia a dimenarsi tra sogno e realtà...RECENSIONE: Federico Fellini,con questo film,tocca(a tutti gli effetti)l'apice del suo "surrealismo onirico" e riesce a calibrare e "mischiare" in maniera affascinante il mondo reale,il mondo dei ricordi e il mondo della pura fantasia instaurando magistralmente un immenso "vaudeville" dalle componenti fortemente "psicanalitiche" e tipicamente "Felliniane".
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TRAMA: Il film racconta la crisi professionale e esistenziale di un regista di nome Guido(un grande Marcello Mastroianni)e che durante la lavorazione di un nuovo film si trova a "fronteggiare" psicologicamente i ricordi del passato e la sua stessa figura inizia a dimenarsi tra sogno e realtà...RECENSIONE: Federico Fellini,con questo film,tocca(a tutti gli effetti)l'apice del suo "surrealismo onirico" e riesce a calibrare e "mischiare" in maniera affascinante il mondo reale,il mondo dei ricordi e il mondo della pura fantasia instaurando magistralmente un immenso "vaudeville" dalle componenti fortemente "psicanalitiche" e tipicamente "Felliniane".
Il personaggio di Guido può essere visto come una forma di "personificazione" di quel ambigua forma di "solitudine" e di "malessere" che rischia di attanagliare tutti coloro che desiderano raccontare delle storie da presentare al grande pubblico(per l'appunto i registi)e questo personaggio racconta se stesso e tutte le sue virtù,i suoi difetti,i suoi desideri e le sue "componenti" più ambigue.
Quest'opera si potrebbe dunque definire e interpretare come una lunga e complessa "seduta psicanalitica" in cui lo stesso spettatore potrebbe giungere a identificarsi con alcuni aspetti della personalità del protagonista e in cui il tema principale(il concetto stesso di cinema)è solamente uno strumento con il quale il regista pone indirettamente agli spettatori alcune domande esistenziali come "perchè esistiamo e come troveremo la nostra strada attraverso il mondo?" oppure "esiste veramente Dio?".
Federico Fellini non manca di attaccare l'istituzione della chiesa(vedi l'inquietante raffigurazione del cardinale)e condisce tutto quanto con una buona dose di raffinato umorismo nero straordinariamente intelligente e "tagliente" e tra le scene memorabili voglio citare la sequenza finale del girotondo circense che avviene insieme al protagonista.
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paolo ciarpaglini
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sabato 22 agosto 2009
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8 1/2
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Sarà che Fellini, o meglio, il suo modo di fare cinema non mi piace. Non posso che associarmi quindi che, a chi come me lo giudica esageratamente onirico, sfasato, persino pesante e noioso. L'unica peculiarità, credo la si possa riscontrare 'e non è poco', nella somma poeticizzazione dell'opera. Assolutamente da fuoriclasse. Ma purtroppo anche ristretta a una cerchia di soli amatori del genere, ovvero del solo Fellini. Insomma, o lo si detesta o lo si ama, difficle riconoscerne meriti e demeriti. Ritengo il regista romagnolo una sorta di anti-Kubrick nostrano, poichè cineasti similari per la ricerca inconsueta e spesso oltremodo ricercata, ma geniale, di quel 'qualcosa' che agli altri sfugge.
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Sarà che Fellini, o meglio, il suo modo di fare cinema non mi piace. Non posso che associarmi quindi che, a chi come me lo giudica esageratamente onirico, sfasato, persino pesante e noioso. L'unica peculiarità, credo la si possa riscontrare 'e non è poco', nella somma poeticizzazione dell'opera. Assolutamente da fuoriclasse. Ma purtroppo anche ristretta a una cerchia di soli amatori del genere, ovvero del solo Fellini. Insomma, o lo si detesta o lo si ama, difficle riconoscerne meriti e demeriti. Ritengo il regista romagnolo una sorta di anti-Kubrick nostrano, poichè cineasti similari per la ricerca inconsueta e spesso oltremodo ricercata, ma geniale, di quel 'qualcosa' che agli altri sfugge. Il primo, Fellini, servendosi di metodi se così li possiamo definire, assai più 'contenuti' e logici. Dove non c'è traccia alcuna di impudicizia, usata comunque da Kubrick con maestria unica. I risultati di tali elaborazioni sono a volte sì altre no, efficaci. Si aprezzano nei lavori di questi due indubbi talenti, momenti di una purezza che supera l'oniricità che descrive. Compito impossibile per altri, normalità per questi due artisti del cinema. Genialità e poesia, o paranoia lucida, ma che non di rado egoisticamente, non tiene conto degli 'altri'. E gli altri al cinema, siamo noi!. Questo il peccato maggiore che gli si può imputare; "il volerci trascinare volenti o no, verso quella dimensione spesso alterata ed 'alienante', insita nella loro natura.
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[+] lascia perdere il cinema
(di sergioleonefan)
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giovi
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lunedì 17 agosto 2009
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cinema!
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secondo me 8 1/2 e in assoluto il film più bello della storia e rappresenta nè più nè meno IL CINEMA. L'ultima scena è bellissima grazie anche a nino rota.
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enrik
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venerdì 13 febbraio 2009
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per essere un grande regista,
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bisogna essere assolutamente di sinistra (meglio se comunista), fare finta di amare il "poppolo", lisciare il pelo per il giusto verso ai produttori e/o ha chi ha i soldi, dove di solito, dopo, sputano nel piatto dove hanno lautamente banchettato! Se volete fare il regista di successo (solo per certa critica, però) sapete cosa dovrete fare... in Italia è così. Fellini, Visconti, Maselli, Antonioni, erano i prototipi di questo "andazzo".
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(di poggi)
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(di giorgio)
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