Parque Via

Custode di una lussuosa villa a Città del Messico, Beto, un vecchio «indio», abita quelle stanze vuote in attesa che la casa sia venduta. I suoi contatti con l'esterno si limitano agli scambi con la proprietaria che viene a supervisionare il suo lavoro di manutenzione e agli incontri con Lupe, una prostituta che due volte a settimana gli vende un po' di compagnia. Trincerato nella propria solitudine sporadicamente interrotta dalle visite di potenziali acquirenti, Beto vive come un recluso, lontano dall'industriosa capitale - un mondo sovrappopolato e angosciante. Un semplice giro al mercato diventa per lui un vero e proprio supplizio. Per Beto la televisione costituisce l'unica finestra sul mondo esterno, anche se le notizie sono sempre le stesse: manifestazioni che sfociano nel sangue, omicidi raccapriccianti, guerre immonde. Finché la casa viene venduta e il custode è costretto ad andarsene. Nonostante la sua ex padrona si adoperi per trovargli un nuovo lavoro, l'uomo, abituato da più di dieci anni a vivere in quello spazio circoscritto, teme che non sarà capace di lavorare altrove. Al di là del destino di Beto, Parque vía utilizza il rapporto tra il vecchio impiegato e la proprietaria per mostrarci la frattura sociale presente nel Messico di oggi: il divario tra ricchi e poveri, che si intreccia a quello tra bianchi e «indios». Enrique Rivero ritrae la miseria di un individuo, e dunque di un intero popolo, condannato a svolgere i mestieri più ingrati. Basato sulla vita di Nolberto Coria (che interpreta se stesso, Beto), il film combina approccio documentario e finzione: «Bisogna riprendere la bellezza del reale. Per arrivare a farlo abbiamo girato in 16 mm. La qualità dell'immagine di questo formato assomiglia a quella dei documentari, il che ci aiuta ad affezionarci al personaggio,» precisa Enrique Rivero.