Il lungometraggio di Francesca Archibugi rimanda ai suoi capolavori precedenti. A Venezia 76.
di Paola Casella
La piccola Lucilla Attorre soffre di asma e appare subito evidente che sia un'affezione psicosomatica: la madre Susi, insegnante di danza ad un gruppo di "culone che vogliono dimagrire", è sempre di corsa, dimentica le proprie cose dappertutto e trascina qua e là la sua bambina come un carrello della spesa; il padre Luca è un giornalista freelance "stronzo e sfigatello" con un debole recidivo per le donne; e il fratellastro Pierpaolo è il ricco e viziato erede (da parte di sua madre Azzurra) di una dinastia di avvocati ammanicati con la politica.
In questo quadretto disfunzionale si inserisce Mary Ann, una au pair irlandese cattolica che scardina definitivamente i già precari equilibri domestici. Testimone (quasi) silenzioso degli andirivieni della famiglia è il vicino Perind (soprannome che sta per perito industriale), un tipo inquietante dalle strane abitudini. Riusciranno gli Attorre a sopravvivere o il loro nucleo familiare esploderà definitivamente?
A dispetto del titolo del film, Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Virzì uniscono le forze (come già avevano fatto per Notti magiche) per firmare una sceneggiatura che diventa ad ogni scena più improbabile e più lontana dalla vita vera. Tuti i personaggi sembrano filtrati attraverso un immaginario "borghese" dimenticando l'autenticità delle psicologie e delle reazioni agli eventi.