Per raccontare Versailles l’esuberanza rococò pare scelta obbligata, se persino lo stile del nobile Saint-Simon, che nelle sue Memoires, ne consegna un ritratto acuminato, veniva paragonato da Proust, suo grande estimatore, a un “ramoscello di fiori azzurri che improvvisamente si rivela ai nostri occhi protendendosi da una siepe rigogliosa”. Ed è esattamente come un ramoscello proteso da una siepe rigogliosa che la Maria Antonietta di Sofia Coppola fa la sua epifania in babbucce di seta rosa confetto, adagiata su una dormeuse, una montagna di amaretti vicino, un dito infilato nella panna, e lo sguardo malizioso alla macchina da presa, quasi uno strizzare l’occhiolino complice alle tante adolescenti viziate e spensierate di oggi che potrebbero ricordarla. Lo scanzonato ritratto collima paradossalmente con quanto emerge sulla sovrana nell’illuminante “Maria Antonietta e lo scandalo della collana” di Benedetta Craveri, tuttavia la strada intrapresa dalla Coppola è antitetica a quella del saggio storico concentrato su un singolo episodio rivelatore: essa infatti si è presa la libertà di trasferire sullo schermo, dopo aver letto con i propri occhi di regista la biografia scritta da Antonia Frazer, pressocché l’intera vita della moglie di Luigi XVI, trovando in essa, austriaca trapiantata per Ragion di Stato alla corte di Francia, il motivo dell’esule, declinato in vario modo nella sua filmografia. Ad indirizzare la Coppola verso la regina Deficit, è probabilmente l’intuizione del suo anacronismo : Maria Antonietta è la versione femminile e frivola di Nerone o di Ludwig di Baviera, e di tanti altri incoronati, raffigurati da scrittori e cineasti come dilapidatori di bilanci ed ossessionati dalla passione smodata per l’arte, ed i suoi costumi dispendiosi, il gusto per le meraviglie architettoniche, le sospettate relazioni amorose, sarebbero oggi la delizia del media, mentre all’epoca risultarono invisi alla Parigi affamata e al moralismo intransigente delle classi elevate. Il conflitto fra popolarità e mestiere di regnante è l’ intricato nodo su cui si incentra The queen di Frears con ben altra profondità di sguardo. La Coppola al contrario spoglia il suo personaggio di quanto non sia riconducibile al quadretto colorato e zuccherato della sequenza iniziale e quindi alla stordita inconsapevolezza e agli ardori giovanili. Il fatto è però che in Marie Antoniette la cornice coglie nel segno molto più dell’aggraziato dipinto racchiuso in essa: la prospettiva della giovanissima straniera, sulla melodia antimelodica del rock, illumina la natura asfittica di una gabbia dorata popolata da un’umanità di manichini prigionieri di rituali assurdi. E proprio qui la pellicola, smentendo la sua eroina, svela un’ amara verità: gli orpelli velenosi del potere a nessuno consentono innocenza. http:/slilluzicando.splinder.com
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