dandy
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giovedì 16 novembre 2023
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scolarsi le indagini...
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Dopo un decennio di attesa un non riuscitissimo ritorno alla regia per Zonca,che si ispira al romanzo "Un caso di scomparsa" di Dror Mishani.Polar odierno dalla bella atmosfera squallida ed individui laidi a partire dal protagonista.Lo stile impassibile e la visione desolante dei rapporti umani e della famiglia che emergono col districarsi degli eventi colpiscono,ma i personaggi non hanno il giusto approfondimento e certe sottotrame come i problemi del figlio di Visconti sono superflue.Cassel fa un pò il "cattivo tenente" (con vago nudo integrale)e ogni tanto è caricaturale ma funziona bene.E così il resto del cast.
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annelies
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domenica 21 novembre 2021
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film fatto bene con errori madornali qua e là
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Un film che sa prenderti e coinvolgerti ma che non porta a nessun reale sospetto e nessuna ipotesi. Difficile considerarlo un vero thriller. Totalmente fuori luogo la storia secondaria del figlio del protagonista. Tutto ciò che ha a che fare col sesso è sviluppato in modo frettoloso e quasi ridicolo, con scene messe qua e là senza ragion d'esistere e di cui si poteva volentieri far a meno. Purtroppo arrivati ad un certo punto è tutto troppo corrotto e sporco per essere accettabilmente plausibile. E' una polizia che non è una vera polizia. Peccato
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wolvie
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sabato 25 luglio 2020
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fiume noir
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Vincent Cassel cerca di "appoggiarsi" alla grande interpretazione di Daniel Auteuil ne " L' Ultima Missione" di Olivier Marchal, ma riesce solo in parte, perché la "colpa è nel manico", ovvero, il film, che non è proprio riuscitissimo.
Storia buia, direi nera, che non riesce però a convincere fino in fondo. Questo " fiume nero" è un insieme di anime corrotte, sporche, sudicie, che non riescono a trovare uno spiraglio di luce, perché tutti cercano l' amore, essere amati, non è più di questo mondo.
Il comandante della polizia investigativa, alcolizzato, sgradevole nell' aspetto, nei modi, nell' eloquio ha una famiglia fallita che non riesce a recuperare, il figlio adolescente dedito allo spaccio di droga, l ex moglie che lo ha abbandonato, si trova sul groppone un indagine di scomparsa di un altro adolescente appartenente ad un altra famiglia problematica, con una madre sopraffatta dalla vita con anche una figlia disabile a carico e marito assente per lavoro.
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Vincent Cassel cerca di "appoggiarsi" alla grande interpretazione di Daniel Auteuil ne " L' Ultima Missione" di Olivier Marchal, ma riesce solo in parte, perché la "colpa è nel manico", ovvero, il film, che non è proprio riuscitissimo.
Storia buia, direi nera, che non riesce però a convincere fino in fondo. Questo " fiume nero" è un insieme di anime corrotte, sporche, sudicie, che non riescono a trovare uno spiraglio di luce, perché tutti cercano l' amore, essere amati, non è più di questo mondo.
Il comandante della polizia investigativa, alcolizzato, sgradevole nell' aspetto, nei modi, nell' eloquio ha una famiglia fallita che non riesce a recuperare, il figlio adolescente dedito allo spaccio di droga, l ex moglie che lo ha abbandonato, si trova sul groppone un indagine di scomparsa di un altro adolescente appartenente ad un altra famiglia problematica, con una madre sopraffatta dalla vita con anche una figlia disabile a carico e marito assente per lavoro.
Nelle indagini salta fuori un altra famiglia anomala, con marito, professore di letteratura francese troppo coinvolto emotivamente nelle indagini che confonde la vita con la narrazione soggettiva della stessa.
L indagine farà il suo corso fino allo svelamento finale, ma, appunto è un velo, il male è la famiglia, il fiume nero scorre e trascina tutto con sé.
Poteva essere meglio questo film, ma il tentativo ridondante di volere sprofondare tutto nel "nero" risulta noioso e allontana lo spettatore involontariamente dal risultato complessivo.
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carloalberto
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sabato 13 giugno 2020
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istrionico cassel
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Gli elementi drammatici per fare qualcosa di interessante c’erano probabilmente tutti nella storia, tratta da un romanzo di Dror Mishani, ma si sono persi nella trasposizione di Érick Zonca, sono rimasti sullo sfondo, dimenticati o banalizzati dalla sceneggiatura incentrata totalmente sulla caratterizzazione estrema e quasi caricaturale del protagonista, peraltro bene interpretato da Cassel, fino a farne un personaggio da fumetto, trasandato come un barbone, alcolista cronico, che beve davanti ai suoi colleghi ed interroga i testimoni ubriaco fradicio. L’ennesimo poliziotto riprodotto in celluloide con un matrimonio fallito alle spalle che vive in solitudine, beve, fuma e va a prostitute.
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Gli elementi drammatici per fare qualcosa di interessante c’erano probabilmente tutti nella storia, tratta da un romanzo di Dror Mishani, ma si sono persi nella trasposizione di Érick Zonca, sono rimasti sullo sfondo, dimenticati o banalizzati dalla sceneggiatura incentrata totalmente sulla caratterizzazione estrema e quasi caricaturale del protagonista, peraltro bene interpretato da Cassel, fino a farne un personaggio da fumetto, trasandato come un barbone, alcolista cronico, che beve davanti ai suoi colleghi ed interroga i testimoni ubriaco fradicio. L’ennesimo poliziotto riprodotto in celluloide con un matrimonio fallito alle spalle che vive in solitudine, beve, fuma e va a prostitute. Consequenziale la scelta di un tratteggio marcato degli altri protagonisti, fino a renderli macchiettisticamente buffi come il nevrotico professore di francese che si crede uno scrittore rappresentato come un maniaco psicopatico con una cantina da serial killer, o inverosimili come la madre del ragazzo scomparso perennemente allucinata e in stato di catalessi. Stereotipati risultano anche i comprimari. Il figlio ribelle è un piccolo spacciatore per reazione al padre poliziotto, la moglie del professore è una scialba casalinga, affannata tra la madre al telefono e le cure del figlioletto, che non s’accorge delle frustrazioni del marito, il padre dello scomparso è un marinaio mercantile corpulento e col barbone rosso, come lo avrebbe raffigurato un pubblicitario sulla scatola di un surgelato di merluzzo. Il doppio colpo di scena nel finale naufraga nella banalità dei dialoghi e nelle inquadrature televisive che ostinatamente il regista ripropone fin dall’inizio ed in ogni sequenza, distratto forse dall’uso eccessivo di toni scuri, per ottenere un’ambientazione più cupa e tetra, che si sforza di rendere nelle penombre delle stanze, nelle tenebre degli scantinati, nel buio del parco, che nelle intenzioni dovrebbe racchiudere, come fosse un fitto bosco impenetrabile, il mistero della scomparsa ed invece risulta poco più di un giardinetto pubblico dove la sera si incontrano uomini e ragazzi in cerca di avventure. Nonostante tutto, il film si lascia vedere, anche grazie all’istrionismo di Cassel e al fascino del genere noir, in cui si cimentano ancora i francesi, e che risulta raro o addirittura assente in Italia.
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gianleo67
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martedì 2 luglio 2019
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missing dany, loosing dennis
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Il capitano di polizia Francois Visconti è un laido alcolista, abbandonato dalla moglie e con un figlio adolescente invischiato in piccoli spacci; ma è anche un segugio dal fiuto infallibile in grado di penetrare i più oscuri recessi della natura umana. La scomparsa di un giovane studente senza tanti grilli per la testa lo mette sulle tracce di un suo professore che sembra avere troppi scheletri nell'armadio. Come da sinossi e conformemente al soggetto letterario cui si ispira (Un caso di scomparsa di Dror Mishani) questo terzo lungometraggio dell'autrore francese di origini italiane Erik Zonca, ricapitola un po' meccanicamente tutti gli stereotipi del tardo noir degli anni 2000, forse più ispirato alle atmosfere umbratili del thriller poliziesco di casa nel sud degli States che dalla lunga tradizione del polar francofono, più attento alla geometrica precisione della trama ed all'inesorabile fatalismo che accompagna i suoi sordidi protagonisti.
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Il capitano di polizia Francois Visconti è un laido alcolista, abbandonato dalla moglie e con un figlio adolescente invischiato in piccoli spacci; ma è anche un segugio dal fiuto infallibile in grado di penetrare i più oscuri recessi della natura umana. La scomparsa di un giovane studente senza tanti grilli per la testa lo mette sulle tracce di un suo professore che sembra avere troppi scheletri nell'armadio. Come da sinossi e conformemente al soggetto letterario cui si ispira (Un caso di scomparsa di Dror Mishani) questo terzo lungometraggio dell'autrore francese di origini italiane Erik Zonca, ricapitola un po' meccanicamente tutti gli stereotipi del tardo noir degli anni 2000, forse più ispirato alle atmosfere umbratili del thriller poliziesco di casa nel sud degli States che dalla lunga tradizione del polar francofono, più attento alla geometrica precisione della trama ed all'inesorabile fatalismo che accompagna i suoi sordidi protagonisti. L'antieroe di turno è qui rappresentato da un irriconoscibile Vincet Cassel che smessi i panni dell'aitante tombeur de femmes, ne conserva però funzioni e prerogative, quale squallido frequentatore di un sottobosco di perversioni domestiche che principiano dalla sua disastrata condizione familiare di marito abbandonato e padre snaturato e trovano nuove e più sordide varianti in casa della vittima designata od in quella di un eccessivamente solerte e petulante condomino. Presto abbandonata la vena autoriale da cinema sociale del suo folgorante esordio con La vita sognata degli angeli (1998), sul disagio giovanile e lo smarrimento generazionale degli anni '90, Zonca ricompare a scadenza decennale con due analisi romanzate sul disagio etilico che sembra aver segnato la sua esperienza personale: Julia del 2008 e questo Fleuve noir del 2018, tentando la carta di un cinema di genere che conserva uno sguardo caustico sulla deriva etica di una società in cui il concetto stesso di famiglia sembra aver abdicato definitivamente al proprio ruolo pedagogico e affettivo, per trasformarsi in una trappola mortale fatta di genitori degeneri, segreti coniugali inconfessabili e figli vittime-sacrificali. Fondato su di un meccanismo di genere che gioca un po' troppo a carte scoperte e con più di un passaggio a vuoto sul versante della logica narrativa (l'epilogo-confessione ricattotorio di una madre snaturata chiude emblematiamente questa deriva, lasciando in sospeso giudizi e consenguenze), il film soffre di un evidente raccordo nell'alternarsi delle sue dinamiche, tentando goffamente di intorbidare le acque e concludendo con un finale tutt'altro che a sorpresa che sembra scimmiottare l'escamotage del paradosso di informazione di un capolavoro dell'ambiguità e del depistaggio (meta)cinematografico come il Caché di Michael Haneke. Resta, pur nel fastidioso overacting che la parte richiede e nelle numerose scene al limite del grottesco (l'investigatore che si fa offrire da bere dalle testimoni che visita in casa e lo stupro 'consenziente' che opera in danno di una di queste), la figura di un investigatore trasandato e cialtrone che sembra conoscere perfettamente sospettati e rei, cui assomiglia fin troppo, ed aggiornando la lunga galleria di detective borderline che vanno dal sornione e disilluso Philip Marlowe di Elliott Gould al mefistofelico Harry Angel di Michey Rourke, non lasciando però alcun segno tangibile di un passaggio (sul grande schermo) decisamente a vuoto.
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astromelia
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domenica 2 giugno 2019
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torbido come cassel
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cassel sfodera uno dei suoi personaggi sempre sulla falsariga del brutto cattivo pervertito,un film aggrovigliato non sempre capibile e forse troppo farcito,alla fine la matassa non si dipana come dovrebbe ....
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