Il cineasta parigino Jacques Audiard approda negli Stati Uniti per il suo ultimo lavoro, e lo fa con cast di tutto rispetto, andando ad esplorare il genere più caro alla tradizione statunitense.
La scrittura pellicola, sin dal suo titolo, si dichiara mossa e tesa all’ironia, riuscendo a combinare gli elementi classici del western: cavalcate nelle radure, immensi cieli con alba, tramonti e piogge, inseguimenti da “Prova a prendermi” ed il più caro tema del back home, dolce luogo di riposo e riparo, epilogo di una densa avventura a suon di bossoli.
Velatamente commedia quindi, almeno nella costruzione delle battute, con sequenze da vero far west,non sopprimendo lo spazio dato alle logiche ed i pensieri più profondi dei personaggi. Protagonisti tra i quali si configura una sorta di triangolo tra il ricercatore-detective Morris, interpretato da Jake Gyllenhaal, i cacciatori di taglie, John C. Reilly e Joaquin Phoenix, e il ricercato Riz Ahmed, possessore del bene tanto anelato.
In realtà, dopo una lunga parentesi da cercatori d’oro, la storia indaga, nella maniera più complessa possibile, la vita dei Sisters Brothers, dalle profonde contraddizioni che li uniscono, valicando il legame di sangue legato ai rimpianti dell’adolescenza, al what’s next di una condotta il cui esito non potrà che essere la morte o l’essere braccati a vita.
Il leit motiv del film, infatti, si ritrova nel cambiamento interiore delle proprie opinioni sul mondo e sulla società, e quale ruolo occupare in essa. Lì dove il conflitto paterno accomuna trasversalmente i protagonisti, la ricerca insistente di una via d’uscita dalla propria condizione è il carburante che, insieme alla polvere da sparo dei numerosi bozzoli roventi provoca scie di cadaveri che si accumulano lungo il loro cammino, che sia esso di evasione dal passato, di conquista di un nuovo ruolo per il futuro, o il nascondersi dalla fama del proprio nome.
Un film che rimane nel complesso leggero e facile da seguire, non adrenalinico quanto Quel Treno per Yuma (2007), meno estatico e fotografico di Sweet Country (2017), ma pur sempre in grado di regalare qualche risa, si, ma nella visione integrale una più pura connessione con l’evoluzione stessa dei Fratelli, che a volte eccede nello stereotipo, a volte in un cambio fin troppo radicale, senza una reale attenzione al processo.
Il tutto condito dalle musiche di Desplat, che, riprendendo le sonorità tipiche della california di metà ottocento, si re-inventa, come solo la sua poliedricità sa fare, introducendoci in un vero e proprio neo-western.
10/01/2019
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antonio montefalcone
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sabato 11 maggio 2019
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la riflessiva odissea sentimentale di due fratelli
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Il film, basato sul romanzo di Patrick DeWitt, è un discorso legato alla violenza dei padri fondatori americani contrapposta ad un'utopia di civilizzazione e realtà democratica. Viaggio western, fisico, iniziatico e morale, la prima pellicola americana di Audiard ('Sulle mie labbra', 'Il profeta'), compie uno scavo molto intimistico sulla natura dei rapporti umani, e sull'eventualità che questa possa mutare a seconda delle diverse prospettive in campo e di un sentimento di solidarietà lontana da violenze e aberrazioni. L'opera filtra l'epoca western americana attraverso il singolare rapporto di questi due fratelli, violenti ma anche gentili, esplorandone la complessa e sfaccettata dimensione umana.
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Il film, basato sul romanzo di Patrick DeWitt, è un discorso legato alla violenza dei padri fondatori americani contrapposta ad un'utopia di civilizzazione e realtà democratica. Viaggio western, fisico, iniziatico e morale, la prima pellicola americana di Audiard ('Sulle mie labbra', 'Il profeta'), compie uno scavo molto intimistico sulla natura dei rapporti umani, e sull'eventualità che questa possa mutare a seconda delle diverse prospettive in campo e di un sentimento di solidarietà lontana da violenze e aberrazioni. L'opera filtra l'epoca western americana attraverso il singolare rapporto di questi due fratelli, violenti ma anche gentili, esplorandone la complessa e sfaccettata dimensione umana. Lo script, mirabilmente sviluppato, sa avvincere lo spettatore, portarlo a profonde riflessioni, immergerlo in uno spettacolo pregno di divertente humor nero ed efficace realismo. La regia calibra con sapienza il ritmo, le atmosfera, le inquadrature e i primi piani. Gli attori sono tutti convincenti e credibili, e i dialoghi acuti e interessanti. L'accurata messinscena inoltre sa come travalicare il genere che racconta nelle sue convenzioni. E' insomma un western insolito, anomalo, lontano dall'epica ma anche dall'elegia, perché non offre la prospettiva del tramonto di un'epoca, ma l'utopia nascosta nel genere western, che si proietta verso un futuro diverso (i commoventi piano sequenza finali), e che coincide con una pacifica ricomposizione dei rapporti umani in un senso veramente più giusto e fraterno...
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