Oasis: Supersonic

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L'epopea degli Oasis:una sceneggiatura già scritta Valutazione 4 stelle su cinque

di Giorpost


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mercoledì 9 novembre 2016

Fine anni '80: Liam Gallagher è un bullo di periferia, un ragazzaccio carino ma mentalmente instabile, dedito a zuffe, sfotto' e droghe, che spesso si accanisce con coloro che portano la chitarra in spalla, da lui visti “con sospetto”; ma egli spera, nel frattempo, di trovare finalmente uno sbocco nella sua grigia esistenza. A quel tempo Noel Gallagher, fratello maggiore del primo, ha, invece, le idee piuttosto chiare: fare musica. 
Cresciuti tra conflitti e forti rivalità, intervallate da rari momenti di complicità, ad "unirli" era l'inettitudine del padre, classico alcolizzato che picchiava moglie e figli. Venne il momento in cui Liam, Noel e Paul (il terzo fratello) scapparono da casa nel cuore della notte, insieme a Peggie, la loro amata mamma, abbandonando al proprio destino quell'ubriacone molesto. Fu in quell'istante che qualcosa cominciò a muoversi, allorquando, di lì a pochi mesi, Liam forma un gruppo insieme ad un piccolo stuolo di amici di quartiere e di scuola, fondando i Rain, cover band senza troppe pretese, di quelle che in Inghilterra ne nascono 10 al giorno. Liam scopre improvvisamente di essere portato al canto, realizzando addirittura di esser nato per fare il front man. E null'altro. Ma ci voleva qualcuno che scrivesse belle canzoni melodiche e graffianti al punto giusto per consentirgli di scaricare la rabbia e la frustrazione di una vita fin lì mediocre, passata tra le stradine di Burnage a inalare colle, ed ecco che il fratello serio, Noel (appena saputo da sua madre che Liam si era messo "a fare il cantante") va ad assistere ad una serata dal vivo dei Rain al Boardwalk. Noel resta di pietra, positivamente sorpreso dalla voce e dalla postura del fratellino: “dov'eri nascosto fino ad oggi, Liam?” Una vocalità particolare la sua, morbida ma decisa, le parole allungate in una distorsione naturale; e poi quella posa un po' naif, apparentemente da guascone, ma che nasconde anche tanta fragilità... Il gruppo, sapendo delle doti musicali ed autoriali di Noel, all'epoca impegnato come roadie degli Inspiral Carpets, chiede a questi di entrare a far parte della band, ricevendo come risposta un sì condizionato: “ok, ma a patto che faccio tutto io”. Nasce così la leggenda, siamo nel 1991. 
In breve tempo i cinque di Manchester creano un pugno di pezzi che presentano nei locali della città, facendo serate ovunque fino ad arrivare a partecipare, tramite una componente delle Sister Lovers (gruppo al femminile che frequentava la stessa sala prove dei ragazzacci) ad un mini festival a Glasgow, Scozia; nemmeno iscritti in scaletta e con un nome appena scelto, si esibiscono suonando quattro canzoni e lì, quella sera, per puro caso era presente Alan McGee, proprietario della Creation Records. Fu colpo di fulmine. “Come vi chiamate?” Quel nome, come detto, fu scelto qualche ora prima, loro erano diventati gli Oasis, e nessuno lo avrebbe più scordato. 
Immediatamente scritturati, registrano in un periodo relativamente breve (non senza difficoltà e con una gestazione multipla) l'album d'esordio più venduto della storia: Definetely Maybe. Un titolo azzeccato, proprio come la loro vita: certamente, forse, chissà. Ma i dubbi svaniranno all'alba del giorno dopo allorquando scoppia nel Regno Unito la Oasis-mania, conseguenza dei loro riff, della voce di Liam, del talento compositivo di Noel, di quelle facce un pò così di Bonehead e Guigsy, di quel loro essere Mod, con quel linguaggio da bettola pregno di provocazioni, le risse, le camere d'albergo sfaciate, l'essere tifosi del City e i loro vestiti da working class. Nulla sarà più come prima.


Supersonic (UK, 2016) è un documentario musicale spiazzante, caldo e avvolgente, senza troppi fronzoli. La pellicola di Mat Whitecross riesce nel difficilissimo compito di non annoiare nemmeno per un nano secondo, focalizzandosi anche, e non senza un pizzico di commozione, sulla difficile vita dei due Gallagher da giovanissimi, cresciuti amorevolmente dalla sola Peggie, che giustamente ha il suo spazio nel film. E non va dimenticato il raggiungimento -involontario- di un altro obiettivo, ancor più complicato: aver saputo coinvolgere anche coloro che gli Oasis non li hanno mai sopportati. E proprio lì sta la riuscita di questo docu-biopic che non ha nulla, ma proprio nulla, di ruffiano; non c'è stata alcuna intenzione di accattivarsi un pubblico diverso da quello che ci si sarebbe aspettati. Gli Oasis sono questi, prendere o lasciare, come quegli artisti pazzi tutto genio e sregolatezza che o li ami o li detesti. E quest'opera, proprio perché non cerca nuovi adepti, alla fine ha conquistato anche quelli. In sala c'erano molti fans della band più influente del decennio di Trainspotting, ma anche semplici curiosi, nostalgici del rock e critici della prima ora... Il film ricalca fedelmente i pensieri di questi due fratelli che si sono odiati tanto da non parlarsi per anni, in una perenne lotta fratricida (reale e per nulla costruita a tavolino) che ricalca la storia di Caino e Abele, anzi, come comicamente blaterano all'inizio, “Abel and Cabel”. 
Piacciano o no, gli Oasis hanno lasciato il segno, sono stati un fenomeno musicale e di costume e se stiamo qui a parlarne a 25 anni dall'esordio, qualcosa vorrà pur dire. Ma, più di ogni altra parola, l'eloquenza è data da quel concerto del 1996 in quel di Knebworth: 250.000 spettatori più 2 milioni di richiedenti il biglietto: in pratica l'ultimo grande assembramento spontaneo prima dell'era digitale che ha spiegato meglio di qualsiasi parola il loro caso, fatto di canzoni che ti prendono al primo ascolto, pezzi punk alternati a melodie classiche, violini che danzano con il frastuono del non sense. 
Noel è un personaggio carismatico e per certi versi con una vena decisamente ironica; Liam il guascone di turno, il tipico “scemo” guasta feste che ha dalla sua, però quel fascino libero di colui al quale molti vorrebbero somigliare. Partendo da Supersonic, passando per una versione acustica di Live Forever, proseguendo sulle note punk di Bring it on down, o psichedeliche di Champagne Supernova, il rock “psico chitarrista” di Some might say, la canzone da pogo Morning Glory, il classico Wonderwall, l'eversiva ed operaia Cigarettes and alcool, la struggente Sad song. la biografica Talk Tonight, fino ad arrivare all'inno per eccellenza di Don't look back in anger, per intenderci la loro Albachiara.

Il tutto in un film bello e scorrevole, cantato e raccontato, snodabile e ricalcabile che ripercorre i primi 3 anni di un'ascesa inarrestabile, tra infiniti tour in giro per il mondo, abbandoni e ritorni, ospitate da Letterman e apparizioni a TOTP. Quella degli Oasis è una sceneggiatura già scritta, un po' come quella di Maradona o Cassius Clay, una corsa sfrenata in stile Ferrari, tanto veloce quanto pericolosa, ma a volte, dopo la cima, può essere difficile andare oltre. 
A prescindere dalle influenze che ogni uno di noi ha più meno subito nelle rispettive gioventù, credo sia stato giusto questo tributo alla rock-band più famosa ed importante degli anni Novanta

Come recitava uno slogan in voga all'epoca: nessuno come loro.

Voto: 8.5

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paolorol mercoledì 9 novembre 2016
meglio di sacchi
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Complimenti, superi Emanuele Sacchi per l'accuratezza delle informazioni e per la distaccatae obiettiva razionalità dell'esposizione.Gli Oasis nelle due ore di durata del film non pronunciano neppure un decimo delle parole che hai usato tu. E sospetto che nell'improbabile caso in cui dovessero mai leggere il tuo scritto avrebbero reazioni facilmente prevedibili.

[+] grazie (di giorpost)
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