howlingfantod
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domenica 7 dicembre 2014
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la memoria dei prati
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Non si prova empatia, commozione, il sentimento è escluso, tanto potente e straniante è l’immagine che il maestro Olmi ci dà della vita di trincea da un punto di vista intimista ed umano, straniante e tanto lontano da quello che crediamo di sapere delle guerre soprattutto generazioni che non le hanno fatte e le conoscono solo virtualmente. Anche un escursione sulle Dolomiti nei musei a cielo aperto della guerra come alle Cinque Torri o sulla Marmolada rende un idea solo parziale così come siamo affabulati dal turistico-virtuale. Non sono un amante dei film di guerra e questo è del resto qualcosa di ben diverso, cercavo qualcosa di più stringente come in “La sottile linea rossa” di Malick, qualcosa di più di una denuncia su ogni guerra dove anche se lo si proclama invece se ne fa un elegia come in molto cinema di genere, come nelle grandi produzioni Hollywoodiane sulle guerre di ogni tempo e di ogni dove e grandi campi di battaglia brulicanti di uomini come formiche, obici e grandi fumi, lampi e scoppi,non grandi slanci camerateschi, ma la cupa cosciente rassegnazione e il contatto vivo con la morte di uomini rinchiusi in un avamposto sulle Alpi al confine con l’Austria, poco prima di Caporetto durante la prima guerra mondiale e ad un passo dal nemico invisibile, come invisibili sono gli ordini ai quali devono obbedire come in una sceneggiatura assurda, come assurda è ogni guerra.
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Non si prova empatia, commozione, il sentimento è escluso, tanto potente e straniante è l’immagine che il maestro Olmi ci dà della vita di trincea da un punto di vista intimista ed umano, straniante e tanto lontano da quello che crediamo di sapere delle guerre soprattutto generazioni che non le hanno fatte e le conoscono solo virtualmente. Anche un escursione sulle Dolomiti nei musei a cielo aperto della guerra come alle Cinque Torri o sulla Marmolada rende un idea solo parziale così come siamo affabulati dal turistico-virtuale. Non sono un amante dei film di guerra e questo è del resto qualcosa di ben diverso, cercavo qualcosa di più stringente come in “La sottile linea rossa” di Malick, qualcosa di più di una denuncia su ogni guerra dove anche se lo si proclama invece se ne fa un elegia come in molto cinema di genere, come nelle grandi produzioni Hollywoodiane sulle guerre di ogni tempo e di ogni dove e grandi campi di battaglia brulicanti di uomini come formiche, obici e grandi fumi, lampi e scoppi,non grandi slanci camerateschi, ma la cupa cosciente rassegnazione e il contatto vivo con la morte di uomini rinchiusi in un avamposto sulle Alpi al confine con l’Austria, poco prima di Caporetto durante la prima guerra mondiale e ad un passo dal nemico invisibile, come invisibili sono gli ordini ai quali devono obbedire come in una sceneggiatura assurda, come assurda è ogni guerra. La rappresentazione della vita di trincea è dirompente, la scenografia e la fotografia fatta con lastre a simulare un bianco e nero che non è apre spazi metafisici negli esterni dilatati di neve, cielo e nebbiose nubi asfissianti di alta quota e negli interni claustrofobici, non lascia spazio nello spettatore al pietismo ma allo stupore nel senso etimologico come stupore è la barbarie assurda ed ingiusta della morte che ogni guerra ha come fine ultimo. Grande opera di memoria, al di là di ogni retorica patriottarda che ieri come oggi e come ogni celebrazione vorrebbe dirci e rendere onore a coloro che hanno combattuto per la nostra libertà, forse è anche così, ma più importante sapere che torneranno i prati in quelli stessi luoghi che hanno visto l’orrore e la paura di uomini come carne da macello mandati a morire senza un senso. Film come questo a ricordarcelo sono delle pietre preziose.
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marcellodangelo1979
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sabato 6 dicembre 2014
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bella l'intenzione..
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Che dire..... Ottima opera teatrale...
Ho difficoltà ad incastrare questo film in un opera cinematografica,l'impressione avuta è che siua tutto troppo impostato..
La qualità delle immagine è notevole come notevole è la scelta di farlo musicare da Paolo Fresu.
Audio e immagini sono da applausi, per il resto invece rimango perplesso.
Bella la scelta dei luoghi anche se non capisco quanto conti la sponsorizzazione della regione Veneta, forse è tutto troppo circoscritto a quel luogo.
Consigliato
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fabripi
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giovedì 4 dicembre 2014
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tributo ai dimenticati
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"Torneranno i prati" non ambisce a raccontare UNA storia, ma LA storia di tanti anonimi protagonisti della stessa tragica follia. Non è il film degli eroi, è il film degli uomini soli, fragili, impotenti e disperati di fronte a quella "bestia", la guerra, che ancora non ci siamo stancati di evocare e alimentare. Con poche scene cariche di potenza fotografica, Olmi riesce a scaraventare lo spettatore nella realtà della tricea, a farlo tremare e sperare in mezzo ad una generazione a cui è stata rubata la vita e a cui dobbiamo almeno il tributo del ricordo.
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ollipop
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mercoledì 3 dicembre 2014
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per non dimenticare mai
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Nessuna trama perche' la guerra , quella guerra non ha trama .
Dentro a una trincea dove il tempo viene scandito dalla miseria del rancio e dal mortaio che inesorabilmente batte i suoi rintocchi,il dramma di tante anonime vite perdute in una apocalisse senza senso .
In un silenzio surreale di un paesaggio innevato quasi paradossalmente fiabesco ,si consuma il destino di tanti uomini a cui il regista dedica il suo profondo tributo .Immagini di volti in cui leggi disperazione e rassegnazione nella consapevolezza di un sacrificio assurdo .
La stupenda fotografia gli scarni costumi dove misere coperte non possono vincere il freddo di una morte imminente,sono magistralmente usati da un regista che nella sua laicita' riesce tuttavia a portarci a una religiosa riflessione senza enfasi e senza
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Nessuna trama perche' la guerra , quella guerra non ha trama .
Dentro a una trincea dove il tempo viene scandito dalla miseria del rancio e dal mortaio che inesorabilmente batte i suoi rintocchi,il dramma di tante anonime vite perdute in una apocalisse senza senso .
In un silenzio surreale di un paesaggio innevato quasi paradossalmente fiabesco ,si consuma il destino di tanti uomini a cui il regista dedica il suo profondo tributo .Immagini di volti in cui leggi disperazione e rassegnazione nella consapevolezza di un sacrificio assurdo .
La stupenda fotografia gli scarni costumi dove misere coperte non possono vincere il freddo di una morte imminente,sono magistralmente usati da un regista che nella sua laicita' riesce tuttavia a portarci a una religiosa riflessione senza enfasi e senza rettorica
Si perderà il ricordo di tanti anonimi eroi, torneranno i prati , tornerà anche il sole a rischiarare il buio opprimente di una notte una lunga notte durata troppi anni e costata troppe vite
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el brazz
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domenica 30 novembre 2014
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più di così... impossibile
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Niente effetti speciali, trame contorte, gesta eroiche o continui colpi di scena bensì 80 minuti di vita di trincea nuda e cruda.
Una notte di luna piena è bastata a rappresentare cosa realmente sia la vita in prima linea. Ho appena visto il film e non ricordo di aver mai distolto lo sguardo o pensato ad altro. Ottimo.
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angelo umana
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domenica 30 novembre 2014
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la guerra che si sente
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Tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non far poltrire gli uomini nell’ozio: questa direttiva dei comandi superiori riferisce un ufficiale al capitano di un avamposto in trincea sulle montagne della prima guerra mondiale. Il capitano esausto risponde che l’unica direttiva che i suoi uomini sono ancora capaci di riconoscere sarebbe la via di casa. Ermanno Olmi è solito dirci le sue idee, spesso le parole in bocca agli attori sono la didascalia delle sue immagini, ne Il villaggio di cartone ma anche in Cento chiodi erano più le parole a contare.
Contro quella guerra si schiera apertamente, e il giudizio è condivisibile come per tutte le guerre, ma soprattutto si schiera contro l’ottusità dei comandi che decidevano dal chiuso dei loro uffici, senza rendersi conto delle condizioni degli uomini al fronte e senza nemmeno conoscere i territori dove si combatteva, con mappe approssimative ricopiate da altre e non recanti nemmeno l’altimetria.
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Tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non far poltrire gli uomini nell’ozio: questa direttiva dei comandi superiori riferisce un ufficiale al capitano di un avamposto in trincea sulle montagne della prima guerra mondiale. Il capitano esausto risponde che l’unica direttiva che i suoi uomini sono ancora capaci di riconoscere sarebbe la via di casa. Ermanno Olmi è solito dirci le sue idee, spesso le parole in bocca agli attori sono la didascalia delle sue immagini, ne Il villaggio di cartone ma anche in Cento chiodi erano più le parole a contare.
Contro quella guerra si schiera apertamente, e il giudizio è condivisibile come per tutte le guerre, ma soprattutto si schiera contro l’ottusità dei comandi che decidevano dal chiuso dei loro uffici, senza rendersi conto delle condizioni degli uomini al fronte e senza nemmeno conoscere i territori dove si combatteva, con mappe approssimative ricopiate da altre e non recanti nemmeno l’altimetria. La piccola guarnigione realizza di essere stata mandata a morire invano, ingannata per una inutile guerra di posizione: i soldati sono stremati e vicinissimi alla trincea austriaca, molti hanno la febbre e le coperte non bastano a riscaldarsi, il posto è sepolto sotto quattro metri di neve. E’ un film di guerra, si vedono e sentono le bombe austriache che distruggono il presidio italiano, ma vediamo principalmente l’interno buio della trincea italiana e gli occhi disperati dei soldati. Dio non ha ascoltato nemmeno suo figlio sulla croce, vuoi che ascolti noi poveri cani? Ci rubano la vita prima ancora di viverla. Non c’era la morte nei nostri sogni. Il capitano rifiuterà il grado, grida al suo superiore in visita che è criminale l’ordine datogli di installare una trasmittente in un rudere poco lontano, i suoi soldati sono sotto il tiro perenne degli avversari. E’ cosciente del massacro a cui hanno mandato lui e i suoi uomini e ripiegare è stato possibile solo a una parte dei soldati. L’episodio si riferisce a un fatto vero accaduto negli altipiani del nord-est.
Alle immagini della luna sulla cresta, della neve sulle montagne, dell’interno buio della trincea e agli sguardi spenti dei soldati viene resa giustizia dal bianco e nero del film, né il colore sarebbe stato appropriato per tanta disperazione. Un soldato napoletano cantava “com’è bella a montagna stanotte …” all’inizio del film, quando il rancio e la posta erano in arrivo, riceveva l’approvazione dei commilitoni ma anche di una voce austriaca, tanto vicini erano: dopo non riesce più a farlo perché, dice, per cantare bisogna stare contenti.
Spesso si è parlato del desiderio, dei giovani mandati a morire, di essere ricordati. Lo confermano le parole recitate da una voce narrante e inserite da Olmi, che ha dedicato il film Al mio papà che quand’ero bambino mi raccontava della guerra dove lui era stato. Sono parole tratte anche da nostri scrittori come Rigoni Stern e Buzzati: I sopravvissuti sono condannati a morire due volte. La cosa difficile sarà perdonare. Di tutto quello che c’è stato qui non si vedrà più niente. Quello che abbiamo patito non sembrerà più vero, (etorneranno i prati).
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fabiofeli
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domenica 23 novembre 2014
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… noi, pộri cani
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“Se sei nei guai, è inutile invocare il Padreterno. Non ha ascoltato suo Figlio in croce, vuoi che ascolti noi, pộri cani?” Questo dice uno dei fanti italiani della Grande Guerra nella galleria di una trincea. Dio sembra assente, infatti, nel film di Olmi, una delle pellicole più laiche del regista, ma anche profondamente cristiana: osserviamo una trincea italiana del 1915-18, ma potrebbe essere anche quella austriaca. Qualsiasi sia la guerra in atto, dichiarata o non, di aggressione o di difesa, chi ne subisce le conseguenze è la popolazione civile, sia che questa resti a casa senza braccia forti e giovani, sia che quelle braccia inesperte siano impiegate in una guerra “non loro”. Alla prima neve i soldati escono dalla trincea e affondano nella coltre bianca, quasi bambini divertiti.
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“Se sei nei guai, è inutile invocare il Padreterno. Non ha ascoltato suo Figlio in croce, vuoi che ascolti noi, pộri cani?” Questo dice uno dei fanti italiani della Grande Guerra nella galleria di una trincea. Dio sembra assente, infatti, nel film di Olmi, una delle pellicole più laiche del regista, ma anche profondamente cristiana: osserviamo una trincea italiana del 1915-18, ma potrebbe essere anche quella austriaca. Qualsiasi sia la guerra in atto, dichiarata o non, di aggressione o di difesa, chi ne subisce le conseguenze è la popolazione civile, sia che questa resti a casa senza braccia forti e giovani, sia che quelle braccia inesperte siano impiegate in una guerra “non loro”. Alla prima neve i soldati escono dalla trincea e affondano nella coltre bianca, quasi bambini divertiti. Un soldato addirittura canta una canzone napoletana: “Tu ca nun chiagne”. Ma nella trincea tutti capiranno in poco tempo che la neve porta malanni e che il “chinino di stato” non stronca la polmonite. Tempo è la parola giusta. Quello atmosferico porta la morsa del gelo. Nel senso di durata, il tempo in trincea, in una guerra di posizione, non passa mai, come per Drogo nel Deserto dei Tartari di Buzzati. Si attende l’assalto del nemico, annunciato dal brontolio dei mortai; il temporale prima o poi si scatenerà. Si aspetta l’ora del rancio o del sonno, ma ancora più la distribuzione della posta. Una lettera ricevuta è un pezzetto di casa, come mormorava E.T.: avvicina moglie, genitori, figli lontani oppure l’innamorata. Sono casa le fotografie appiccicate sopra la branda del letto a castello, che si guardano prima di dormire. A qualcuno nessuno scrive mai. I parenti non sanno scrivere oppure il soldato non ha più nessuno a casa: non ha foto appese e guarda i mattoni del basso soffitto. Qualcuno non resiste alla nostalgia della lontananza e all’angoscia di quella attesa senza senso, di quella vita-non vita: si suicida davanti al capitano. Stavolta la canzone napoletana, dolente, è “Fenesta ca luciva”. Il tempo che passa elimina le differenze fisiche dei soldati: con barbe lunghe e volti affilati, giovani e meno giovani sembrano uguali, la stessa persona con gradi diversi sul cappotto militare. Il grado più alto è quello di capitano, perché maggiori, colonnelli e generali stanno altrove, nei “letti di lana” come dice la canzone “Gorizia”. Arriva infine il diluvio di fuoco dall’alto, con fiammate distruttrici. Sparisce la neve e scorrono immagini di repertorio di un popolo festante. La guerra è finita. I soldati della trincea sono sopravvissuti? No. Nonostante sangue, sudore e lacrime versate gli italiani fanno festa, come nelle belle pagine di Terra Matta di Rabito, sgrammaticate e coinvolgenti …
Olmi sceglie un registro sommesso per un film contro la guerra, perché nella guerra perdono sempre gli stessi, anche se vincono. La fotografia di Fabio Olmi è impareggiabile: quasi un bianco e nero con tracce di verde e di ocra; e poi le improvvise fiammate gialle delle esplosioni. Il montaggio lento comunica l’angoscia dell’attesa. Gli attori sono misurati. Il regista ultraottantenne è un nonno che ci racconta la Grande Guerra; ascoltiamolo come lui ascoltò da bambino i racconti del padre sul 1915-18. Da non dimenticare e da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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clavius
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martedì 18 novembre 2014
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lezione magistrale
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Un film toccato dalla grazia. Olmi è regista intelligente e sensibilissimo. Le vicende umane che ci ha raccontato in tanti anni di carriera sono spesso piccole, intime, modeste. Così anche per rievocare la Grande Guerra e la sua assurdità usa come metro l'uomo. Impartisce una lezione di cinema che fa impallidire molti giovani autori proprio perchè rifiuta il gusto imperante, perchè si stacca sia da un punto di vista estetico che etico dalla maggior parte dei prodotti attualmente nelle sale. Perchè si fa esperienza unica, evocazione poetica a cui non siamo più avvezzi. Nessuna ruffianeria, nessun cedimento alla moda, nessuna caduta di stile.
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Un film toccato dalla grazia. Olmi è regista intelligente e sensibilissimo. Le vicende umane che ci ha raccontato in tanti anni di carriera sono spesso piccole, intime, modeste. Così anche per rievocare la Grande Guerra e la sua assurdità usa come metro l'uomo. Impartisce una lezione di cinema che fa impallidire molti giovani autori proprio perchè rifiuta il gusto imperante, perchè si stacca sia da un punto di vista estetico che etico dalla maggior parte dei prodotti attualmente nelle sale. Perchè si fa esperienza unica, evocazione poetica a cui non siamo più avvezzi. Nessuna ruffianeria, nessun cedimento alla moda, nessuna caduta di stile. Questa unicità rende anche questo ultimo film di Olmi, una pellicola da guardare con ammirazione, fino all'amaro finale dove i prati che torneranno non sono la Pace e la prosperità, ma l'oblio che si stenderà sulle gesta degli uomini. Quanta saggezza e quanta poesia. Nella sua semplicità evocativa sta la forza di un film perennemente sospeso (in questo aiutato dalla splendida fotografia), che rimanda diritti al "Deserto dei Tartari". Un film che sa arrivare al cuore e alla testa in modo gentile, che ribadisce con forza la caducità dell'esistenza, che diventa omaggio alla memoria del padre e di intere generazioni spazzate via dalla guerra. Il film di un maestro.
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brian77
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martedì 11 novembre 2014
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opprimente
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Non sembra di essere al cinema, sembra di essere in chiesa con un prete che ti fa la predica. Tutto sempre dimostrativo, anche i momenti "poetici" non hanno una vera autonomia, non ti spingono in dimensioni più complesse, ma ti riportano sempre a una morale che ti si sta imponendo. Alla fine, tra l'altro, c'è bisogno della voce fuori campo che tragga le conclusioni, perché dopo un'ora e mezza di film evidentemente lo stesso regista sospetta di non essere riuscito a farsi capire attraverso le immagini e il racconto. Per carità, film dignitosissimo e accorato, ma se un film passa il tempo a farmi la morale sta usando minimamente le potenzialità espressive del cinema.
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Non sembra di essere al cinema, sembra di essere in chiesa con un prete che ti fa la predica. Tutto sempre dimostrativo, anche i momenti "poetici" non hanno una vera autonomia, non ti spingono in dimensioni più complesse, ma ti riportano sempre a una morale che ti si sta imponendo. Alla fine, tra l'altro, c'è bisogno della voce fuori campo che tragga le conclusioni, perché dopo un'ora e mezza di film evidentemente lo stesso regista sospetta di non essere riuscito a farsi capire attraverso le immagini e il racconto. Per carità, film dignitosissimo e accorato, ma se un film passa il tempo a farmi la morale sta usando minimamente le potenzialità espressive del cinema. Ho il sospetto che questi film, come quello su Leopardi di Martone, vengano fatti per poi costringere gli studenti ad andarli a vedere in orario scolastico e cacciar fuori i soldi del biglietto che servono ad alimentare produttori ed esercenti... a spese dei poveri ragazzi che così poi scappano a gambe levate appena vedono l'insegna di un cinema.
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(di plexone)
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dvdfrnc
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martedì 11 novembre 2014
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per palati fini
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Non mi aspettavo di andare a vedere un film così bello nella sua crudezza. Che dire, regia ottima, fotografia stupenda (davvero, è sorprendente!), attori eccezionali. Non cerca la commozione forzata ma la riflessione. Però, se avete avuto nonni o bisnonni combattenti, qualche lacrima scenderà anche a voi.
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