cavedano
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lunedì 3 agosto 2015
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deluso
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Il mio è stettamente un giudizio personale opinabile.Sono un appassionato di film di guerra e soprattutto quelli riferiti alla I e II guerra mondiale.
Il FIlm di Olmi mi ha personalmente profondamente deluso, trama e dialoghi molto lenti, ambientazione ristretta , singoli episodi visti e rivisti il tutto in un'ora e un quarto di film.
Non mi ha lasciato personalmente nulla e non ho provato alcuna emozione.
Uomuni contro di F. Rosi in confronto è un capolavoro.
Mi sorge un dubbio, ma se il film non fosse stato fatto dal maestro Olmi, le ottime recensioni sarebbero le stesse?
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eugenio
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venerdì 10 aprile 2015
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il gelo della guerra
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Ce ne sono molti di film sulla guerra, farne un conto preciso è impresa difficile. Molti sono quelli che con fare violento hanno esaltato l’istinto patriottico americano durante la seconda guerra mondiali, altri che hanno irriso la stupidità di azioni belligeranti, altri ancora che ne hanno mostrato volutamente la violenza per dire no ad essa.
Il caso o forse il destino mi ha riservato di vivere dentro una guerra che non conoscevo ma solo immagginavo. Mi trovo in un avamposto di alta quota, intorno solo neve e silenzio. La trincea austriaca è cosi’ vicina che pare di udire i loro respiri. Sono più da poco più di un’ora e mi sembra di essere diventato un vecchio al punto che i miei studi, i miei ideali, qui hanno perso il loro significato come la mia giovinezza.
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Ce ne sono molti di film sulla guerra, farne un conto preciso è impresa difficile. Molti sono quelli che con fare violento hanno esaltato l’istinto patriottico americano durante la seconda guerra mondiali, altri che hanno irriso la stupidità di azioni belligeranti, altri ancora che ne hanno mostrato volutamente la violenza per dire no ad essa.
Il caso o forse il destino mi ha riservato di vivere dentro una guerra che non conoscevo ma solo immagginavo. Mi trovo in un avamposto di alta quota, intorno solo neve e silenzio. La trincea austriaca è cosi’ vicina che pare di udire i loro respiri. Sono più da poco più di un’ora e mi sembra di essere diventato un vecchio al punto che i miei studi, i miei ideali, qui hanno perso il loro significato come la mia giovinezza. E anche quelli che torneranno a casa si porteranno dentro la morte che hanno conosciuto e quel pensiero non li abbandonerà più, condannati a morire la cui cosa più difficile sarà perdonare. Se un uomo non sa perdonare, che uomo è?
Questo l’accorato appello di un giovane ufficiale alla madre in uno straziante monologo finale.
E’ il contesto in cui si muove torneranno i prati (rigorosamente in minuscolo), un film viscerale, scostante, senza una precisa trama, immerso nel gelo di ambienti innevati, tutt'altro che affascinanti ma terribili e immortali.
L'altopiano di Asiago, le vicine trincee austriache, nel silenzio etereo nella notte dove risuonano lontani gli echi dei mortai, è lo sfondo di una storia dell'avamposto nord est dopo gli ultimi grandi scontri del 1917.
Vedendo il film suonano evidenti anche altri echi: quelli crudamente vivi alla Remarque, i terribili passati psicologici alla Buzzati col deserto dei tartari nella sequela di attesa che è parte integrante del film, l'imprevedibilità di situazioni legati tutti alla banalità del male consacrata in un territorio inviolato e inviolabile come la montagna, emblema della pace terrena e dei sensi, luogo di vita e di morte dove il passato appartiene a una memoria storica evanescente e lontana.
Poetico, sofferente, istruttivo. questo il film di un ottantreenne, Olmi, dedicato al nonno che la grande guerra l’ha fatta, in grado ancora di saper dire, saper raccontare una storia che riguarda tutti noi, che è sofisticamente resa nota nei libri di storia con distacco, rigido scorrere di eventi. Il regista in un connubio naturale che è palcoscenico eccellente della narrazione sa che il dovere dell'uomo è non dimenticare perchè, un giorno, quei prati, gelati e sconfinati, possano ancora essere fertili senza il male nocivo della guerra, "la brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai".
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sabrina lanzillotti
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venerdì 13 marzo 2015
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il lato più umano della grande guerra
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E’ il 1917, il mondo è in guerra già da tre anni e in un avamposto d’alta quota, sul fronte Nord-Est, un gruppo di soldati italiani è bloccato in trincea a pochi metri dall’esercito nemico.
Circondati da metri di neve e sottoposti a continui bombardamenti, la vita in trincea trascorre tra terminabili attese ed eventi imprevedibili. Cresce la paura e si gretola la speranza. La fede, l’amore, la voglia di tornare a casa, sembrano sentimenti impossibili da provare per quei soldati che non possono far altro che contare i secondi che passano tra la bomba schivata e quella che viene dopo.
Nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, Ermanno Olmi porta al cinema i sanguinosi eventi che costarono la vita a milioni di uomini.
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E’ il 1917, il mondo è in guerra già da tre anni e in un avamposto d’alta quota, sul fronte Nord-Est, un gruppo di soldati italiani è bloccato in trincea a pochi metri dall’esercito nemico.
Circondati da metri di neve e sottoposti a continui bombardamenti, la vita in trincea trascorre tra terminabili attese ed eventi imprevedibili. Cresce la paura e si gretola la speranza. La fede, l’amore, la voglia di tornare a casa, sembrano sentimenti impossibili da provare per quei soldati che non possono far altro che contare i secondi che passano tra la bomba schivata e quella che viene dopo.
Nel centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, Ermanno Olmi porta al cinema i sanguinosi eventi che costarono la vita a milioni di uomini. E sono proprio loro i protagonisti del film. Contadini, minatori, artigiani e studenti ad imbracciare le armi per combattere una guerra alla quale non erano preparati, senza che nessuno spiegasse loro le ragioni di tale macello.
In Torneranno i prati non ci sono eroi, ma solo povera gente che attende di morire, soldati traditi dai propri superiori per i quali non sono altro che pedine sulla grande scacchiera europea.
Ermanno Olmi riesce grandiosamente a catturare l’immobilismo e la frustrazione che ormai regnano sovrane, mostrandoci un lato della guerra diverso, quello che madame Storia non si preoccupa di tramandare: i volti e le emozioni di chi ha combattuto, i nomi di quei cadaveri che nessuno reclamerà mai e che sono destinati a giacere sotto metri di candida neve.
La selezione del cast è attenta ed efficace. Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea Di Maria, Camillo Grassi e Niccolò Senni interpretano i propri personaggi con eleganza e maestria, coscienti che il ruolo del protagonista non è affidato a nessuno di loro. E’ il tempo, infatti, il vero protagonista della storia. Il tempo che, presto o tardi, passerà, portando con sé la primavera e cancellando per sempre le loro orme, cosicché nessuno saprà mai cosa sia realmente accaduto in quel luogo.
Torneranno i prati è un film poetico, istruttivo ed essenziale, un’opera senza tempo, adatta a uomini e donne d’ogni età, perché non è mai troppo presto o troppo tardi per rendersi davvero conto delle bestialità che la razza umana è in grado di compiere.
Con questo suo ultimo lavoro, Ermanno Olmi ha dimostrato ancora una volta quanto il cinema italiano abbia bisogno di lui, della sua arte e della sua genialità.
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elgatoloco
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mercoledì 4 marzo 2015
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grande film di olmi
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Ancora un grande Olmi, alla sua non verde età, a dimostrazione del fatto che, se sono veri cineasti, rimangono tali(idem per Bunuel, Hitchock, Fellini, Antonioni)anche in tarda età. Scelta del bianco e nero"evocativo", scene di guerra al minimo, epifanie(apparizioni, perché sono tali, appunto)della volpe, del topolino, dell'albero, a fare da pendant all'orrore della guera. Senza lunghi discorsi e senza insistenze retoriche, senza" manifesti"etico-politici, Olmi ci dà uno straordinario documento-opera d'arte contro la guerra, dove le lezioni di RIgoni Stern, Buzzati e altri(Remarque, pur se non primariamente)sono condensati in un'opera relativamente breve quanto straordinariamente densa.
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Ancora un grande Olmi, alla sua non verde età, a dimostrazione del fatto che, se sono veri cineasti, rimangono tali(idem per Bunuel, Hitchock, Fellini, Antonioni)anche in tarda età. Scelta del bianco e nero"evocativo", scene di guerra al minimo, epifanie(apparizioni, perché sono tali, appunto)della volpe, del topolino, dell'albero, a fare da pendant all'orrore della guera. Senza lunghi discorsi e senza insistenze retoriche, senza" manifesti"etico-politici, Olmi ci dà uno straordinario documento-opera d'arte contro la guerra, dove le lezioni di RIgoni Stern, Buzzati e altri(Remarque, pur se non primariamente)sono condensati in un'opera relativamente breve quanto straordinariamente densa. Della sinergia film-musica(il grande Paolo Fresu compositore-esecutore con il suo team)bisognerà occuparsi lungamente, anche in variee opere saggistiche, di estetica filmica e di storia del cinema. Un"mea culpa"necessario: da ragazzo critico-incipiente, vedendo "L'albero degli zoccoli", avevo sottovalutato la grandezza di Olmi, riducendone la portata. UN errore grave, potrei/dovrei dire oggi, ovviamente ex post. El Gato
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rampante
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venerdì 27 febbraio 2015
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la guerra lascia solo dolore
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Inverno 1917, siamo nel Nord-Est a quota 1800 a 50 metri dal nemico
Un maggiore, un capitano, un tenente inesperto affrontano in modo diverso l'inerzia omicida della guerra e dei comandi
Torneranno i prati allude all'ipocresia della Storia riguardo le migliaia di vittime sepolte sotto la neve durante la Grande Guerra, di cui tutti saranno pronti a dimenticarsi al primo riapparire dell'erba, ovvero in tempo di pace
L'appello di Olmi contro una guerra ingiusta ed inaccettabile come qualsiasi guerra, contro il dolore ed il vuoto morale che sempre lascia la guerra
Film crudo, immagini che vorremmo solo dimenticare, quanti morti, quanti orfani, quanto dolore per il capriccio di pochi
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adrian_anders
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venerdì 16 gennaio 2015
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lo stato di grazia di un grande maestro
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Un'altra grande opera di Olmi sulla guerra. Dopo Il mestiere delle armi, un film che ancora di più ci dà il senso dell'inutilità delle guerre e della loro assurdità.
Ho trovato il film perfetto nell'ambientazione e nei tempi, nella descrizione dei caratteri e della vita quotidiana in un avamposto che un poco ci ricorda la Fortezza Bastiani.
La pietas di cui è intriso, la compassionevole empatia che si avverte in ogni scena, fanno di questo film un'opera di riferimento nella memorialistica sulla I guerra mondiale, al pari delle opere di Remarque. Ho notato anche un'attitudine, direi preculturale, alla Rigoni Stern nel rapporto con il "nemico", al punto che lo spietato tiro di artiglieria che porterà all'ordine di ripiegamento pare quasi un evento soprannaturale, la manifestazione di un Fato ostile a tutti.
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Un'altra grande opera di Olmi sulla guerra. Dopo Il mestiere delle armi, un film che ancora di più ci dà il senso dell'inutilità delle guerre e della loro assurdità.
Ho trovato il film perfetto nell'ambientazione e nei tempi, nella descrizione dei caratteri e della vita quotidiana in un avamposto che un poco ci ricorda la Fortezza Bastiani.
La pietas di cui è intriso, la compassionevole empatia che si avverte in ogni scena, fanno di questo film un'opera di riferimento nella memorialistica sulla I guerra mondiale, al pari delle opere di Remarque. Ho notato anche un'attitudine, direi preculturale, alla Rigoni Stern nel rapporto con il "nemico", al punto che lo spietato tiro di artiglieria che porterà all'ordine di ripiegamento pare quasi un evento soprannaturale, la manifestazione di un Fato ostile a tutti. La guerra, si sa, non risparmia nessuno.
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ettore64
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lunedì 12 gennaio 2015
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una non trama (apparente) è ancora una trama?
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Colpisce leggere alcuni commenti: manca una trama, film epidermico, storie inconcluse...; a mio parere un gran bel film non solo sulla guerra, ma sulla guerra interiore, quella che si preferisce NON vedere, NON ascoltare, NON rappresentare, NON capire. "Di quel che c'è stato qui non si vedrà più niente, e quello che abbiamo patito non sembrerà più vero", è la frase conclusiva di uno dei personaggi e uno dei tanti messaggi da non perdere.
Oltretutto un film che sa andare ben oltre - per il racconto, per il linguaggio, per la fotografia, per l'ambientazione - le tradizionali rappresentazioni dei vallori e copioni bellici e anti-bellici di tante opere letterarie e filmiche,anche di grande impatto.
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Colpisce leggere alcuni commenti: manca una trama, film epidermico, storie inconcluse...; a mio parere un gran bel film non solo sulla guerra, ma sulla guerra interiore, quella che si preferisce NON vedere, NON ascoltare, NON rappresentare, NON capire. "Di quel che c'è stato qui non si vedrà più niente, e quello che abbiamo patito non sembrerà più vero", è la frase conclusiva di uno dei personaggi e uno dei tanti messaggi da non perdere.
Oltretutto un film che sa andare ben oltre - per il racconto, per il linguaggio, per la fotografia, per l'ambientazione - le tradizionali rappresentazioni dei vallori e copioni bellici e anti-bellici di tante opere letterarie e filmiche,anche di grande impatto.
Un consiglio: non perdetelo se non volete perdere l'abitudine a mantenere i neuroni collegati e attivi.
René
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matt27
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giovedì 8 gennaio 2015
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una ragione per non dimenticare
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Una storia di uomini ai confini della speranza
L’abbraccio fra due uomini, due esseri umani. È questo uno dei gesti più significativi di questo film. Sì, perché tutti sono in grado di fare ed imporre a dei semplici uomini di abbandonare le loro famiglie, le proprie mogli, le proprie case e città per imbracciare dei fucili e partire per un confine sconosciuto. Spesso trovandosi in una trincea sotto metri di neve, l’unico contatto con il mondo esterno è una piccola feritoia dalla quale entra la luce della luna. Le uniche persone su cui si può contare sono i propri camerati. E spesso capita che in questi compagni si trovi un gesto di conforto e di amore.
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Una storia di uomini ai confini della speranza
L’abbraccio fra due uomini, due esseri umani. È questo uno dei gesti più significativi di questo film. Sì, perché tutti sono in grado di fare ed imporre a dei semplici uomini di abbandonare le loro famiglie, le proprie mogli, le proprie case e città per imbracciare dei fucili e partire per un confine sconosciuto. Spesso trovandosi in una trincea sotto metri di neve, l’unico contatto con il mondo esterno è una piccola feritoia dalla quale entra la luce della luna. Le uniche persone su cui si può contare sono i propri camerati. E spesso capita che in questi compagni si trovi un gesto di conforto e di amore. Il regista Olmi ha voluto infatti riprendere lo scenario di vita della durata di un giornata all’interno di una trincea. Questi soldati vivevano e tuttora vivono nelle varie guerre nel mondo come degli animali in gabbia. Vivono in balia degli eventi. Ricevono dei comandi da una voce che esce da una cornetta di compiere azioni suicide. Sono costretti a combattere contro un nemico sconosciuto. L’unica cosa che conoscono dei loro nemici è il suono delle bombe che gli cadono attorno e il suono dei mortai. Per il resto sono militari senza più alcuna speranza, senza motivo di andare avanti. L’unica cosa che li fa continuare a vivere è la speranza che possa arrivare una lettera da un parente. Ma quando svanisce anche questa speranza, si può soltanto desiderare che Dio li chiami a sè! Un Dio che viene accusato, perché ci si trova in questa guerra. Dio ha dato una ragione a tutti, ma la visione del potere rende ciechi, anche di fronte al pensiero di mandare degli esseri viventi al patibolo. Questi soldati sono solo vittime di persone che giocano con le loro vite, come se fossero di loro proprietà. Diventano solamente degli oggetti, dei giocattoli che quando si rompono vengono sostituiti e rimpiazzati da nuovi. Ma sostituendoli vengono anche dimenticati.
Se non ci si ricorda di coloro che sono morti in passato non si smetterà mai di combattere, si continuerà a uccidere e non impareremo mai dagli errori del passato. Il regista vuole fare trasparire con il titolo “Torneranno i prati” che su quei ricordi, su quelle guerre torneranno a fiorire i prati e la vita andrà avanti. E le generazioni future devono ricordarsi quello che è successo e non far sì che tutto rimanga sepolto e nascosto da quello che nascerà sopra. Si deve mantenere vivo il ricordo e non lasciarlo morire come sono morti quei soldati. Accettiamo il passato e perdoniamo per tutto il male che è stato fatto e subito, ma non dimentichiamo. Infondo: “Chi è un uomo che non sa perdonare?”
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paolo patrone
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sabato 13 dicembre 2014
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le trincee dimenticate
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Luogo: una trincea. Tempo: 1915-1918, la grande guerra.
Ermanno Olmi non è stato mai un regista di ‘cassetta’. I suoi film nascono sempre da una forte spinta interiore. Ed è per questa forte istanza d’origine che i suoi film creano l'impressione che i suoi personaggi e le situazioni si evolvano spontaneamente in una cronologia di tempo reale, sia che la vicenda sia, indipendentemente, di un’epoca contemporanea o di un tempo passato.
È questa concentrazione ‘soul’ e non forzata sul dettaglio cronologico, ristretto all’attualità della vita ordinaria, che rende il suo lavoro così coinvolgente.
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Luogo: una trincea. Tempo: 1915-1918, la grande guerra.
Ermanno Olmi non è stato mai un regista di ‘cassetta’. I suoi film nascono sempre da una forte spinta interiore. Ed è per questa forte istanza d’origine che i suoi film creano l'impressione che i suoi personaggi e le situazioni si evolvano spontaneamente in una cronologia di tempo reale, sia che la vicenda sia, indipendentemente, di un’epoca contemporanea o di un tempo passato.
È questa concentrazione ‘soul’ e non forzata sul dettaglio cronologico, ristretto all’attualità della vita ordinaria, che rende il suo lavoro così coinvolgente.
Nei suoi film la condizione umana è ritratta con un amore che con gli anni è passata dalla tristezza alla malinconia, quasi rassegnata ma mai sopita nel pensare l’esistenziale dell’uomo, in qualsiasi contrada o cronologia storica.
È la consapevolezza che non ci saranno mai le condizioni giuste. È il sapere anche, però, oltre qualsiasi ragionamento alle prese con la bieca realtà, che non vi è, non potrà mai esservi rassegnazione ad accettare lo stato di avvilimento morale dell’uomo, sia per “ l’umanità povera analfabeta” ma di profonda incisività esistenziale sia per l’anafalbetismo dotto a venire.
'torneranno i prati’ è un film asciutto, scabro di ornamentii formali. Una stupenda fotografia in bianco e nero in cui esistono in modo manicheo soltanto il bianco e nero, non vi è nessun passaggio graduale di tonalità grigia da un estremo all’altro. È, così, il mettere in chiara evidenza che l’uomo È o Non-È, una terza possibilità non è data.
Indimenticabili momenti di calda umanità il canto modulato e triste del soldato sul costone della montagna, illuminato in controluce dall’asciutta e fredda luce lunare, fra l’onirico e l’ancestrale universale richiamo di antichi ricordi, (nell’assenza di richiami religiosi); le riprese della volpe e lo sguardo attento del soldato che l’osserva nelle sue lunghe veglie; il topolino che si muove a divorare le pallottoline di mollica di pane che l’uomo gli ha preparato, e nella cui mano non ha nessun timore a ‘passeggiarvi’;
‘ Preferisco finirla qui ', il soldato che detto fatto appoggia rapidamente il calcio del moschetto a terra e la canna sotto il mento e…spara.
Un film che lascia un profondo e sofferto richiamo ‘interno'.
torneranno i prati perché l’uomo di_ menti_ca la sua storia (cancella dalla mente ciò la cui cognizione servirebbe alla non ripetizione degli errori nel futuro);
torneranno i prati perché l’uomo s_cor_da (toglie dal cuore anche gli affetti ed i ricordi più cari);
torneranno i prati a coprire ed a nascondere nel rifiorire della cieca e nemica natura dell’uomo quello che è stato, la scintilla dell’uomo, che sola dà calore e vita ad
"una scena triste e muta [dove] L'universo tace [e] il silenzio e la notte se ne impadroniscono.
Tutto si muta in una vasta solitudine”, (Diderot)
Qualcuno interpreterà il ricrescere dei prati come un segnale della bellezza della natura, perennemente rifiorente, finalizzata alla vita ‘bella’ dell’uomo.
La mia chiave di lettura del ‘torneranno i prati’ resta quella che ho qui appena tracciato.
torneranno i prati, nella realtà della ottusa staticità umana; il perché del titolo tutto in minuscolo.
(paolo patrone)
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giuliog02
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venerdì 12 dicembre 2014
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deluso, oppresso, perplesso
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" torneranno i prati " é un film antimilitarista, avverso alle superiori gerarchie militari italiane nella Grande Guerra, di assai breve respiro, privo di quell'ampiezza concettuale e di quell'approfondimento ai quali ci aveva abituato il maestro Olmi. E' un film epidermico, privo d'azione, persino privo di una trama o di un filo conduttore con alcune azioni, slegatissime, che iniziano e non si sa come finiscono. Lento ed opprimente. I giudizi positivi, che ho letto, penso nascano da una veramente eccellente qualità della fotografia, inclusa quella dei panorami alpini invernali, notturni o sul far della sera, e dalla presenza di animali selvatici che muovono il nostro animo di spettatori verso sentimenti positivi.
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" torneranno i prati " é un film antimilitarista, avverso alle superiori gerarchie militari italiane nella Grande Guerra, di assai breve respiro, privo di quell'ampiezza concettuale e di quell'approfondimento ai quali ci aveva abituato il maestro Olmi. E' un film epidermico, privo d'azione, persino privo di una trama o di un filo conduttore con alcune azioni, slegatissime, che iniziano e non si sa come finiscono. Lento ed opprimente. I giudizi positivi, che ho letto, penso nascano da una veramente eccellente qualità della fotografia, inclusa quella dei panorami alpini invernali, notturni o sul far della sera, e dalla presenza di animali selvatici che muovono il nostro animo di spettatori verso sentimenti positivi. Ho notato alcune dissonanze. Ne cito alcune: la lepre é dissonante con l'ambiente perché non é una lepre alpina, che d'inverno diventa bianca per mimetismo; il cannoneggiamento austriaco é troppo preciso sulla copertura del rifugio del caposaldo italiano, mancano del tutto i tiri di aggiustamento e soprattutto non ci sono tiri sul reticolato, che di norma é un obiettivo da rimuovere o smembrare prima di un attacco; il fante italiano che canta due romanze é napoletano, ma cosa ci faceva un napoletano in una squadra di veneti ? il reclutamento a quell'epoca avveniva su base regionale o addirittura di vallata Insomma, una raccolta di particolari e di fatti negativi della guerra e della vita in trincea, conditi da alcune frasi saporite o aneddoti provenienti da racconti di chi aveva fatto la guerra. Niente di nuovo, niente di creativo, una sorta di feuilleton filmistico, realizzato in prossimità del centenario dell'entrata in guerra del Regno d'Italia..
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