vales.
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domenica 4 gennaio 2015
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due solitudini in un dramma violento e scarno
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Questa storia dura, scarna e violenta, ambientata in un desolante e polveroso deserto australiano post-apocalittico, riesce a catturare lo spettatore sino all'ultimo minuto (nonostante il ritmo talvolta piuttosto lento) grazie allo sviluppo che promette un (puntuale) finale inaspettato. Ma il merito è anche, se non soprattutto, della coppia protagonista: un Guy Pearce perfettamente credibile nei panni di un uomo solo, ormai arido di sentimenti empatici e mosso solo dalla rabbia, e un insolito ed altrettanto convincente Robert Pattinson, interprete di un giovane ed ingenuo ladruncolo. Per chi è abituato a vederlo nel ruolo dell'eroe romantico, la prova di quest'ultimo risulterà ancora più sorprendente, anche perchè rinuncia pure alla sua immagine da sex symbol, "abbruttendosi" con un look trascurato, adottando una postura sbilenca e una parlata "sporca" (per chi, come me, ha visto il film in lingua originale - cosa che consiglio vivamente - sarà chiaro che l'attore inglese ha costruito il personaggio anche a livello vocale).
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Questa storia dura, scarna e violenta, ambientata in un desolante e polveroso deserto australiano post-apocalittico, riesce a catturare lo spettatore sino all'ultimo minuto (nonostante il ritmo talvolta piuttosto lento) grazie allo sviluppo che promette un (puntuale) finale inaspettato. Ma il merito è anche, se non soprattutto, della coppia protagonista: un Guy Pearce perfettamente credibile nei panni di un uomo solo, ormai arido di sentimenti empatici e mosso solo dalla rabbia, e un insolito ed altrettanto convincente Robert Pattinson, interprete di un giovane ed ingenuo ladruncolo. Per chi è abituato a vederlo nel ruolo dell'eroe romantico, la prova di quest'ultimo risulterà ancora più sorprendente, anche perchè rinuncia pure alla sua immagine da sex symbol, "abbruttendosi" con un look trascurato, adottando una postura sbilenca e una parlata "sporca" (per chi, come me, ha visto il film in lingua originale - cosa che consiglio vivamente - sarà chiaro che l'attore inglese ha costruito il personaggio anche a livello vocale). Ottimo co-protagonista, Pearce presta i suoi lineamenti duri e il suo fisico asciutto ad un personaggio dal torbido passato, di cui non conosciamo neppure il nome. E' (quasi) incapace di provare pietà per il prossimo, vuoto come lo spazio in cui furiosamente si muove, si appiglia solo all'ultima cosa materiale che gli resta: la sua auto. Che viene però rubata, dando inizio alla pellicola. I pezzi calzanti e quasi ipnotici dell'essenziale colonna sonora, la fotografia satura e la regia spietata come la vicenda raccontata, costruiscono un'opera interessante ma sicuramente non adatta a tutti. Forse conoscere maggiormente le singole vicende dei protagonisti ed avere un'idea più chiara del contesto in cui sopravvivono, avrebbe dato al film qualcosa in più. Ma in fondo è particolare proprio per questa sua essenzialità, che gli conferisce fascino e mistero.
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laurence316
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mercoledì 1 febbraio 2017
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pessimo film dalla trama esile e scontata
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Filmetto distopico sulla falsariga della serie di Mad Max (di cui riprende, abbastanza vistosamente, gran parte delle suggestioni, a partire dalla cornice del deserto australiano), The Rover (lett. Il girovago, il vagabondo), diretto da D. Michod, che già si era fatto notare con il più riuscito Animal Kingdom, presenta una trama minimale, risicata a dir poco, lineare. Non accade mai nulla di realmente interessante, non vi sono particolari sorprese o colpi di scena, non che sia di per sé un male, ma gran parte delle svolte della trama sono veramente risibili e banali, quando non addirittura ridicole (vedi, in particolare, la finale rivelazione circa l’importanza attribuita dal protagonista, Eric, alla propria auto), e, di conseguenza, il film finisce per farsi soporifero e lascia fin troppi spiragli a qualche sbadiglio.
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Filmetto distopico sulla falsariga della serie di Mad Max (di cui riprende, abbastanza vistosamente, gran parte delle suggestioni, a partire dalla cornice del deserto australiano), The Rover (lett. Il girovago, il vagabondo), diretto da D. Michod, che già si era fatto notare con il più riuscito Animal Kingdom, presenta una trama minimale, risicata a dir poco, lineare. Non accade mai nulla di realmente interessante, non vi sono particolari sorprese o colpi di scena, non che sia di per sé un male, ma gran parte delle svolte della trama sono veramente risibili e banali, quando non addirittura ridicole (vedi, in particolare, la finale rivelazione circa l’importanza attribuita dal protagonista, Eric, alla propria auto), e, di conseguenza, il film finisce per farsi soporifero e lascia fin troppi spiragli a qualche sbadiglio. Inoltre, Pearce se la cava, ma Pattinson non è e non è mai stato particolarmente espressivo e, nonostante la naturale simpatia suscitata dal suo personaggio, non convince mai, neppure per un secondo. Le ambientazioni sono comunque suggestive, l’atmosfera è tesa e la fotografia è di ottima qualità, ed esalta perfettamente le larghe distese del paesaggio australiano (riconfermatosi perfetta location in cui calare racconti tragici e disperati, come nel caso dei due Wolf Creek).
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isin89
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sabato 18 luglio 2015
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l'altra faccia dell'australia
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Desertico, arido, spoglio e immensamente silenzioso. The Rover è la sublime prova registica di David Michôd che da sfoggio di tutto il suo talento nel trattare e mettere in scena una sceneggiatura scarna e quasi priva di intensità per puntare interamente sulla potenza visiva delle inquadrature e della fotografia. Quando si dice che la sceneggiatura conta ben poco e che la buona riuscita sta tutta nelle mani del regista e nella sua capacità di dotare ogni immagine dell'intensità necessaria. Qui ci troviamo di fronte a uno di questi esempi.
A stupire non è la storia né i singoli dialoghi ma la claustrofobica rappresentazione del deserto australiano così immenso e inospitale che finisce per opprimere chiunque lo attraversi.
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Desertico, arido, spoglio e immensamente silenzioso. The Rover è la sublime prova registica di David Michôd che da sfoggio di tutto il suo talento nel trattare e mettere in scena una sceneggiatura scarna e quasi priva di intensità per puntare interamente sulla potenza visiva delle inquadrature e della fotografia. Quando si dice che la sceneggiatura conta ben poco e che la buona riuscita sta tutta nelle mani del regista e nella sua capacità di dotare ogni immagine dell'intensità necessaria. Qui ci troviamo di fronte a uno di questi esempi.
A stupire non è la storia né i singoli dialoghi ma la claustrofobica rappresentazione del deserto australiano così immenso e inospitale che finisce per opprimere chiunque lo attraversi. La trama del film non racconta niente che non abbiamo già visto ma attinge da molte altre storie e racconti a cui abbiamo sicuramente assistito in precedenza. Molti spunti vengono dallo stesso 'Mad Max' di George Miller, soprattutto per quanto riguarda le scenografie spoglie e l'ambientazione futuristica in cui vige a pieno l'anarchia e la criminalità. The Rover è un thriller-noir con caratteristiche tipiche del road-movie, un viaggio disperato alla ricerca di un misterioso oggetto contenuto nell'automobile del protagonista Eric, uno straordinario Guy Pearce. La regia di Michôd è titanica e impressiona a ogni fotogramma. Il ritmo è lentissimo e ben suggerisce l'idea di staticità che pervade gli ambienti, la fotografia calda e arida riesce a trasmettere efficacemente il senso di oppressione e di calura che contraddistingue il deserto e i silenzi, che regnano quasi per tutto il film, sono probabilmente gli elementi di maggior impatto dal momento che aumentano la percezione di trovarsi persi in mezzo al nulla. Un alone di mistero avvolge la storia intera e i suoi personaggi, specialmente Eric. Di lui non si sa nulla, non si sa chi sia né da dove venga, non si sa cosa faccia nella vita né quale sia il suo scopo. Tutto ciò che sappiamo è che maneggia le armi con maestria, è probabilmente una persona pericolosa, si sa difendere molto bene e pare aver avuto un lungo passato oscuro.
Il fulcro della narrazione è rappresentato ovviamente dal ritrovamento del misterioso oggetto contenuto nel bagagliaio dell'auto che tanto importa a Eric da costringerlo a una lunga e drammatica impresa. Questo funge quasi da MacGuffin e fino alla fine rimane nascosto mantenendo l'interesse dello spettatore sempre vivo. Ciò che importa e salta all'occhio non è tanto il contenuto ma tutto quello che gravita intorno. Le drammatiche situazioni che si creano, il rapporto bizzarro tra il silenzioso protagonista e il problematico Rey e il realismo con il quale il regista ci racconta una semplice storia. Il nefasto viaggio di Eric verso la meta ci permette di esplorare la realtà spietata di un paese distrutto e degradato, logorato dall'assenza di autorità competenti e dalla vita inospitale che esiste al di fuori dei centri urbani. Un film incredibile che vive delle espressioni disagiate dei suoi protagonisti e dell'incredibile forza d'impatto di ogni singola immagine.
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themaster
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domenica 7 febbraio 2016
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un road movie violento e privo di speranza
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Che i film di genere oggi vengano snobbati è risaputo,tuttavia l'australia,ancor più dell'Inghilterra in questi ultimi anni sta sfornando alcune delle pellicole di genere più interessanti e riuscite e,quando va bene escono anche al cinema.
Non è il caso di questo The Rover di tale David Michod,il quale prendendo sotto la sua ala due attori di livello quali Robert Pattinson e Guy Pearce e gira un post atomico,di quelli che piacevano tanto a Carpenter e che registi interessanti e geniali come lo stesso Michod o Neil Marshall o anche John Hillcoat hanno ampiamente citato e arricchito con film come The Road,Doomsday eccetera,perlopiù non capiti dalla massa di bimbetti e mediocri cinefilini,abituati come sono a buttare giù la peggiore monnezza che gli si propina tutti i giorni.
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Che i film di genere oggi vengano snobbati è risaputo,tuttavia l'australia,ancor più dell'Inghilterra in questi ultimi anni sta sfornando alcune delle pellicole di genere più interessanti e riuscite e,quando va bene escono anche al cinema.
Non è il caso di questo The Rover di tale David Michod,il quale prendendo sotto la sua ala due attori di livello quali Robert Pattinson e Guy Pearce e gira un post atomico,di quelli che piacevano tanto a Carpenter e che registi interessanti e geniali come lo stesso Michod o Neil Marshall o anche John Hillcoat hanno ampiamente citato e arricchito con film come The Road,Doomsday eccetera,perlopiù non capiti dalla massa di bimbetti e mediocri cinefilini,abituati come sono a buttare giù la peggiore monnezza che gli si propina tutti i giorni. The Rover è tra questi film,un luccichio sfavillante e splendente in mezzo al vuoto cosmico.
Guy Pearce porta in scena una delle performance migliori di tutta la sua carriera interpretando un'uomo che intraprende un feroce inseguimento per trovare e uccidere gli uomini che hanno preso il suo mezzo e per recuperare l'automobile. Per tutto il film non si capisce perchè il protagonista voglia QUELLA macchina di preciso,fino all'ultima scena che ovviamente non rivelerò e che fa capire come il mondo sia crudele e quanto il personaggio di Guy Pearce sia distrutto sia nel fisico che nella mente,un cane randagio e un violento,il finale infatti come tutto il film porta alla non sopravvivenza e all'annichilimento di tutto. Pattinson interpreta il fratello di uno dei membri della banda che Pearce cerca di inseguire e lo aiuterà a trovarli e ad eliminarli. Il personaggio di Pattinson,Reynolds è una specie di bambino troppo cresciuto,un piccolo criminale con un visibile ritardo mentale che si vuole vendicare del fratello che lo ha abbandonato morente durante una rapina,la pellicola vista dal punto di vista di Reynolds è una sorta di revenge movie post apocalittico,in quanto in nessun momento uno dei due protagonisti assume più importanza rispetto all'altro,anzi i ruoli dei due attori sono perfettamente calibrati e risultano molto profondi e caratterizzati.
Michod gira benissimo,come Carpenter insegnava,il film infatti è molto carpenteriano,la regia è "invisibile" in senso buono,tallona i personaggi e non li lascia mai un'attimo,oltre che raffigurare l'azione e gli inseguimenti in maniera perfetta e mai troppo sopra le righe.
La fotografia è incredibile e il montaggio è un qualcosa di sublime,il film è incredibilmente ritmato pur senza puntare sull'azione e,nonostante le scene tese non mancano,Michod punta sempre sul mostrare le brutture di questo mondo in cui la società è sull'orlo della deflagrazione totale,tuttavia si intuisce che ciò che Michod vuole far capire è che molto probabilmente la provincia australiana è così anche nel nostro presente e che,i redneck e gli esaltati aspettano solamente l'occasione per uccidere legalmente e cosa meglio di un'apocalisse atomica? La provincia australiana quindi,dopo avere visto questo film o anche These Final Hours mi fa quasi più paura di quella americana o di quella italiana.
The Rover è il classico esempio di come si possa fare cinema di genere dando dei personaggi che non siano sempre i soliti e offrendo un'intrattenimento che mescola sapientemente scene più tese e momenti più rilassati fino a sfociare in un finale di una crudeltà rara. Voto 8,5/10
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filippo catani
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lunedì 24 agosto 2015
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on the road postapocalittico
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Australia a tre anni dal grande collasso. Una banda di delinquenti in fuga ruba l'automobile di un uomo che si metterà sulle loro tracce pronto a tutto pur di riavere indietro la propria macchina. Nelle sue ricerche si imbatterà nel fratello di uno dei malviventi.
Dopo l'ottimo Animal Kingdom molto probabilmente le attese su Michod erano parecchio elevate. Il fatto è che il regista sceglie di adattare una storia borderline all'interno di un contesto postapocalittico dove qualsiasi parvenza di società è collassata e ormai gli uomini sono diventati lupi di se stessi. Ecco forse è proprio quì che la pellicola deraglia o quantomeno perde un po' di nerbo e originalità in quanto quello che appunto succederebbe in una situazione del genere è prevedibile.
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Australia a tre anni dal grande collasso. Una banda di delinquenti in fuga ruba l'automobile di un uomo che si metterà sulle loro tracce pronto a tutto pur di riavere indietro la propria macchina. Nelle sue ricerche si imbatterà nel fratello di uno dei malviventi.
Dopo l'ottimo Animal Kingdom molto probabilmente le attese su Michod erano parecchio elevate. Il fatto è che il regista sceglie di adattare una storia borderline all'interno di un contesto postapocalittico dove qualsiasi parvenza di società è collassata e ormai gli uomini sono diventati lupi di se stessi. Ecco forse è proprio quì che la pellicola deraglia o quantomeno perde un po' di nerbo e originalità in quanto quello che appunto succederebbe in una situazione del genere è prevedibile. Bella invece la costruzione dei due personaggi principali e la scelta di non dilatare troppo nella durata della pellicola. Belle le atmosfere e davvero valide le interpretazioni con l'apprezzabile sforzo di Pattinson di andare alla ricerca di nuovi e difficili ruoli (si pensi anche a Cosmopolis o Maps to the stars) per cercare di staccarsi di dosso la scomoda etichetta di vampiro. Resta comunque un film che si può vedere anche se si poteva fare meglio.
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noia1
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giovedì 18 febbraio 2016
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"la minaccia concede uno spiraglio"
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Un uomo cerca di recuperare la propria auto, si capiranno tante cose nel tragitto.
Un film completamente fuori dagli schemi, tanto per metterci a proprio agio, fin da subito domina la scritta “Dieci anni dopo l’apocalisse”.
Silenzi infiniti, espressioni fondamentali che solo due attori bravissimi come Guy Pearce e Robert Pattinson potevano usare mantenendo credibilità ai propri personaggi. Già perché l’umanità è finita, le persone sono rudi ed instupidite, la vita non vale più niente, senza tener conto di tutto questo il film diventa quasi incomprensibile per quanto brutale.
Silenzi infiniti, sensazioni malinconiche che in realtà sono di rassegnazione, rassegnazione di una civiltà tramontata, ciò che vediamo infatti ne è solo il residuo, e quando le persone non sono più persone allora sono disposte a tutto, si permettono tutto quando niente ha più senso.
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Un uomo cerca di recuperare la propria auto, si capiranno tante cose nel tragitto.
Un film completamente fuori dagli schemi, tanto per metterci a proprio agio, fin da subito domina la scritta “Dieci anni dopo l’apocalisse”.
Silenzi infiniti, espressioni fondamentali che solo due attori bravissimi come Guy Pearce e Robert Pattinson potevano usare mantenendo credibilità ai propri personaggi. Già perché l’umanità è finita, le persone sono rudi ed instupidite, la vita non vale più niente, senza tener conto di tutto questo il film diventa quasi incomprensibile per quanto brutale.
Silenzi infiniti, sensazioni malinconiche che in realtà sono di rassegnazione, rassegnazione di una civiltà tramontata, ciò che vediamo infatti ne è solo il residuo, e quando le persone non sono più persone allora sono disposte a tutto, si permettono tutto quando niente ha più senso.
Sguardi senza sentimento, rabbia perché senza speranza, senza poter costruire, non si farebbe niente privi di un motivo per distruggere. Le persone non sanno rapportarsi, i dialoghi sono scarni, alla prima occasione ci si fa di tutto e di più.
Niente viene spiegato, tutto viene a galla, una serie di pugni nello stomaco da una regia che sa cosa non fare quando non va fatto, un anti-film, un anti-eroe, un’anti-storia. Tutto ciò che non vorresti qui accade, proprio dai pochi momenti di purezza ci si accorge di quanto tutto sia perduto.
Preparatevi, non è il solito film sul mondo devastato dove si sa dove potersi appoggiare, la bontà c’è, le persone – tutte le persone – a tratti sono umane e si vede, sono perdute però. Un’allegoria quasi, il deserto Australiano come scenario post apocalittico, un corso accelerato di come sopravvivere alla brutalità delle persone, un concetto molto semplice in realtà: diventare a propria volta brutale.
Senza spoilerare, non vi dirò cosa succede, bensì vi dirò cosa vorreste succedesse arrivati alla fine, ci spererete, spererete che il protagonista muoia, spererete si punti la pistola alla testa e si ammazzi. Forse, per come le cose sono presentate, quella sarebbe l’unica redenzione.
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lgiulianini
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giovedì 8 dicembre 2016
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feroce, autentico, durissimo
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Il genere del "futuro dopo il disastro" e l'immaginazione di un futuro distopico conseguente, costituiscono come è noto un genere "classico" per Hollywood e non soltanto, i film che descrivono il "dopo" non si contano, qualunque appassionato di cinema ne ha visti innumerevoli anche di molto notevoli.
In ciascuna di queste pellicole però, tra architetture devastate ed umanità sopravvissute preda quasi sempre di brutti sporchi e cattivi villain, c'è sempre un barlume di speranza, una luce in fondo al tunnel, qualcosa di umano, un combattimento"morale" ovvero un obiettivo, un sentimento da difendere e potrei scrivere per ore : da Codice Genesi a The Road, gli esempi sono innumerevoli, nel disastro generale il nostro eroe lotta sempre per qualcosa contro qualcuno, vuoi per salvare la memoria di un libro o difendere la speranza e la vita di un bambino.
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Il genere del "futuro dopo il disastro" e l'immaginazione di un futuro distopico conseguente, costituiscono come è noto un genere "classico" per Hollywood e non soltanto, i film che descrivono il "dopo" non si contano, qualunque appassionato di cinema ne ha visti innumerevoli anche di molto notevoli.
In ciascuna di queste pellicole però, tra architetture devastate ed umanità sopravvissute preda quasi sempre di brutti sporchi e cattivi villain, c'è sempre un barlume di speranza, una luce in fondo al tunnel, qualcosa di umano, un combattimento"morale" ovvero un obiettivo, un sentimento da difendere e potrei scrivere per ore : da Codice Genesi a The Road, gli esempi sono innumerevoli, nel disastro generale il nostro eroe lotta sempre per qualcosa contro qualcuno, vuoi per salvare la memoria di un libro o difendere la speranza e la vita di un bambino. Ed ho fatto solo i primi esempi che mi sono venuti alla mente.
"The Rover" esula da questa classificazione a tutto merito di David Michod che realizza una storia in cui il disastro non ha lasciato nulla di umano nei sopravvissuti.
Non vedremo paesaggi devastati o architetture crollate : qui è proprio l'umanità ad essersi perduta, una umanità sopravvissuta che si aggira in un paesaggio desolato ed assolato, popolato da squallide baracche fatiscenti e maleodoranti ( è incredibile come Michod riesca a trasmetterne l'odore fatto di sudore insetti e sporcizia dappertutto), una umanità allo sbando in cui si aggirano strani soldati rappresentati da figuri in mimetica che non si capisce quali autorità rappresentino che popolano baracche senza bandiera anch'essi, in cui sfilano interminabili treni provenienti da miniere che non si sa cosa scavino e per chi, ma non possono sfuggire i simboli orientali sui carri merci che indicano forse i veri padroni di questo futuro; mentre gli altri aspettano sotto la canicola..... armati di tutto punto..... e si uccidono, al limite per dollari che non valgono più nulla, ovvero senza alcun motivo almeno rivelato, la violenza appare l'unica attività praticata da una umanità devastata, senza alcun obiettivo, senza più nulla di morale, in cui come rivela Guy Pearce nell'illuminante dialogo con lo strambo soldato : "puoi ormai fare tutto quello che vuoi senza che nessuno venga a cercarti".
In questa realtà disperata e disperante, al protagonista tre balordi rubano l'auto, che contiene qualcosa cui egli tiene più di tutto, potrebbe assere anche il nulla nello scenario che Michod magistralmente delinea, ma questo basta a scatenare una caccia spietata e senza tregua, che porterà il protagonista a "percorrere" brandelli di questa umanità disperata, con come compagno di strada proprio il fratello di uno dei balordi responsabili del furto, che Pearce salva da una ferita contratta in una sparatoria anche questa senza una ragione rivelata, che lo avrebbe irrimediabilmente ucciso.
Proprio questo, il fatto che Pearce lo abbia salvato mentre il fratello (ferito pure lui nella sparatoria di cui sopra) lo abbia abbandonato morente, crea tra il protagonista Pearce ed il ragazzo disagiato impersonato da un Robert Pattinson da Oscar, un legame inesorabilmente forte e progrerssivo, che si realizzerà lentamente tra i rari ma tutti significativi dialoghi, i molti momenti di tensione e di azione condivisi, fino all'inevitabilmente tragico epilogo finale.
Un film molto duro, atroce nel suo messaggio ultimo: dopo la devastazione resta il niente, non c'è niente per cui lottare, niente in cui credere, più niente da realizzare, se non difendere strenuamente quel poco che si ha, o "si crede" di avere.
Un film importante e durissimo, che ho apprezzato molto per la sua originalità nel mettere in scena la verità nuda e cruda senza alcun rirerimento pseudomoraleggiante, insieme ad una fotografia rilevante, una ambientazione indimenticabile, una colonna sonora chiaramente ridotta all'osso visto il tipo di messa in scena ove anche il ritmo di un respiro ha la sua rilevanza, ma efficace e nei punti giusti, ed una prova d'attore soprattutto di Rober Pattinson degna del riconoscimento più ambito.
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gianleo67
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sabato 11 giugno 2016
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dramma post-apocalittico on the...rover
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Dopo il furto della sua auto da parte tre uomini in fuga da un conflitto a fuoco con l'esercito, il solitario e disilluso Eric si mette sulle loro tracce, anche grazie all'aiuto del giovane e disadattato fratello di uno dei tre che era rimasto indietro a causa di una grave ferita. Il rapporto che si crea tra i due cambierà le aspettative di entrambi ma non servirà a salvarli da una resa dei conti finale in un mondo senza più regole nè umanità.
Abile e arruolato dal precedente e fortunato exploit del regista australiano, Guy Pearce sembra avere la faccia giusta e le phisique du role per impersonare un anti eroe tormentato ed solitario che si muove come un fantasma nelle spettrali e polverose lande di un paesaggio post-apocalittico, alla ricerca di una identità morale che passi necessariamente attraverso l'autodistruzione dell'incipit o l'espiazione dell'epilogo.
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Dopo il furto della sua auto da parte tre uomini in fuga da un conflitto a fuoco con l'esercito, il solitario e disilluso Eric si mette sulle loro tracce, anche grazie all'aiuto del giovane e disadattato fratello di uno dei tre che era rimasto indietro a causa di una grave ferita. Il rapporto che si crea tra i due cambierà le aspettative di entrambi ma non servirà a salvarli da una resa dei conti finale in un mondo senza più regole nè umanità.
Abile e arruolato dal precedente e fortunato exploit del regista australiano, Guy Pearce sembra avere la faccia giusta e le phisique du role per impersonare un anti eroe tormentato ed solitario che si muove come un fantasma nelle spettrali e polverose lande di un paesaggio post-apocalittico, alla ricerca di una identità morale che passi necessariamente attraverso l'autodistruzione dell'incipit o l'espiazione dell'epilogo. Tra queste due condizioni terminali dell'uomo e del personaggio, si snoda la costruzione di un film che anche grazie agli accorgimenti del montaggio, sviluppa il suo itinerario on the road alla ricerca del punto remoto di un orizzonte esistenziale che gli sconfinati paesaggi del deserto australiano non ci lasciano intravedere, maturando piuttosto la graduale consapevolezza di una prostrazione umana costretta ad attraversare tutte le tappe di una dolorosa e desolata via crucis fatta di morti ammazzati e tenutarie ammonitrici, solitarie interniste bisognose d'affetto e minorati dal grilletto facile in cerca di una figura paterna. L'ombra minacciosa di un destino cupo e sanguinario insomma ritorna ad offuscare il cielo di un devoto della cabala (First Snow - 2006) in cerca di scampo, laddove la fiducia nella solidarietà tra simili è ormai irrimediabilmente compromessa e l'unico riscatto possibile alla propria disumanità sembra l'atto di devozione di un rito funebre destinato al miglior amico dell'uomo. Astraendo il discorso nichilista già principiato con Animal Kingdom (nome che è tutto un programma!) dalle suggestioni di una ricostruzione narrativa che si ispira alla cronaca nera ed a fatti realmente accaduti, Michod mette in scena un dramma tetro e disperato in cui la desolazione dell'animo umano è mirabilmente evocata dalle brulle asperità di un paesaggio arido e assolato e tenendo alta l'attenzione dello spettatore attraverso un motore narrativo che punta dritto al cuore di una motivazione tanto banale quanto fondamentale; perchè quando non si ha più nulla da perdere anche i piccoli gesti possono valere il senso di una vita. Contributi tecnici di buon livello, comprese le sincopate sonorità delle musiche di Antony Partos. Bravo Pearce, che invecchiando sembra migliorare come il buon vino, ma bravo anche un sorprendente Robert Pattinson uscito dal patinato clichè del bel tenebroso delle saghe teen-horror ed approdato ad un mondo adulto e crudele in cui l'auto-da-fè non si riserva solo ai vampiri. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2014 non avrà avuto i riconoscimenti ed i meriti della ribalta internazionale dell'opera prima, ma conferma la qualità di un cinema che non può lasciare indifferenti.
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carloalberto
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sabato 15 agosto 2020
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western moraleggiante
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Deserto australiano, terra rossa e polvere, una striscia d’asfalto punteggiata da stazioni di servizio simili a fortini e bordelli improbabili, rombi di motori e auto che si inseguono. La scena è incentrata sull’eroe, ogni suo gesto, ogni piccola smorfia o ghigno è catturato dalla cinepresa. Tutt’intorno domina la desolazione del paesaggio, fondale inerte. Il senso di vuoto interiore si proietta metaforicamente negli spazi infiniti senza orizzonte. Dopo il crollo della convivenza cosiddetta civile, caduto il diaframma degli ipocriti convenevoli, gli uomini dialogano con i fucili in una, ormai esplicita, guerra di tutti contro tutti. Una macchina rubata giustifica l’omicidio, forse la strage, se trasfigurata in un sacrario dove riposa l’ultimo essere degno di venerazione.
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Deserto australiano, terra rossa e polvere, una striscia d’asfalto punteggiata da stazioni di servizio simili a fortini e bordelli improbabili, rombi di motori e auto che si inseguono. La scena è incentrata sull’eroe, ogni suo gesto, ogni piccola smorfia o ghigno è catturato dalla cinepresa. Tutt’intorno domina la desolazione del paesaggio, fondale inerte. Il senso di vuoto interiore si proietta metaforicamente negli spazi infiniti senza orizzonte. Dopo il crollo della convivenza cosiddetta civile, caduto il diaframma degli ipocriti convenevoli, gli uomini dialogano con i fucili in una, ormai esplicita, guerra di tutti contro tutti. Una macchina rubata giustifica l’omicidio, forse la strage, se trasfigurata in un sacrario dove riposa l’ultimo essere degno di venerazione. Come nel vecchio west, chi ruba un cavallo merita la forca. La sopravvivenza dei sentimenti si nutre del poco rimasto incontaminato, ritorna alla fonte, rintraccia una visione originaria dell’empatia, nata nella notte dei tempi come impulso enigmatico a proteggere le creature indifese, il cane, il ragazzo. Gli esordi dell’umanità.
Il film è un western rivisitato in chiave post apocalittica con tutti gli stereotipi del genere, il pistolero senza cuore, taciturno e solitario, con un passato misterioso, interpretato dal laconico Guy Pearce, il crudele reverendo di Brimstone, dal volto espressivo alla Clint Eastwood, il giovane emulo, senza famiglia, che ne ammira il coraggio, la risolutezza, l’abilità nel maneggiare la pistola, l’amicizia impossibile tra i due, i cattivi che rubano il cavallo dell’eroe sottovalutandone la volontà di rivalsa, la difesa dei più deboli, il saloon che affaccia sulla strada polverosa, il bancone con il whisky e le prostitute in attesa del forestiero di passaggio.
David Michôd ripropone la figura dell’adolescente sprovveduto, al suo ingresso nel mondo degli adulti, di Animal kingdom, affetto questa volta da una evidente disabilità, resa in modo realistico da Robert Pattinson. Il ragazzo non conoscendo altre regole al di fuori di quelle del gruppo di appartenenza, nel ribellarvisi, le adotterà egli stesso senza rendersene conto, finendo annichilito. L’eroe, o meglio il cattivo maestro, gli ha fornito l’occasione per la rivolta, lo ha illuso, in verità involontariamente, che il suo esser contro la società, motivato da ragioni personali, fosse un’ideale alternativo valido in assoluto e perciò da seguire ciecamente.
David Michôd è affascinato dal fallimento del rito di iniziazione che spezza la catena del ritorno dell’uguale nel rinnovarsi senza speranza delle generazioni, vi intravede una possibilità di riscatto, un conato di rivolta, subito tuttavia pessimisticamente seppellito, come Guy Pearce alla fine farà con il proprio amato cane sotterrandolo nella terra della desertificazione morale, molto simile al mondo presente governato dai soldi e dalle armi.
Tanto sangue e dolore perché dalla terra resa fertile da quella carcassa possa rinascere, come una ginestra, la speranza, in una estrema fioritura, di una nuova umanità.
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cinemaniac98official
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lunedì 30 marzo 2015
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un road movie alla terrence malick
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Ieri sera dopo qualche mese di attesa , ho visto fibalneare The rover , bene , questo film non mi è piaciuto più di tanto , guardando il trailer ti aspetti un filmone post apocalittico alla Mad Max , qualcosa del genere , invece The rover si butta sul filosofico , un po come era già stato sperimentato nel bellissimo The Road di John Hillcoatt , in cui c'era filosofa e c'era poesia , ma questo lo si doveva al grande Cormac Mccarthy .
Comunque The rover , è un film girato bene , guardabile .... È un film post apocalittico un po alla Terrence Malick , per come sono girate certe scene ricorda anche Joe di David Gordon Green .
Robert Pattinson , fa il ritardato mentale e viene "raccolto" sulla strada , da un uomo stanco di combattere per la sua vita e costantemente incazzato , interpretato magnificamente da Guy Pierce .
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Ieri sera dopo qualche mese di attesa , ho visto fibalneare The rover , bene , questo film non mi è piaciuto più di tanto , guardando il trailer ti aspetti un filmone post apocalittico alla Mad Max , qualcosa del genere , invece The rover si butta sul filosofico , un po come era già stato sperimentato nel bellissimo The Road di John Hillcoatt , in cui c'era filosofa e c'era poesia , ma questo lo si doveva al grande Cormac Mccarthy .
Comunque The rover , è un film girato bene , guardabile .... È un film post apocalittico un po alla Terrence Malick , per come sono girate certe scene ricorda anche Joe di David Gordon Green .
Robert Pattinson , fa il ritardato mentale e viene "raccolto" sulla strada , da un uomo stanco di combattere per la sua vita e costantemente incazzato , interpretato magnificamente da Guy Pierce .
Questo film piacerà agli amanti di Malick , di David Gordon Green e Hillcoatt e piacerà soprattutto a quelli che odiano Pattinson , che pur essendo bravissimo in questo film ...... Chi non aspettava di vederlo fare il down ... Come spesso veniva considerato già da tempo dagli spettatori dai tempi di Twilight .
Non piacerà invece a chi si aspetta un filmone post apocalittico alla Mad Max e Codice Genesi ... Resterete a bocca asciutta perché è un film totalmente diverso .
Filosofia nel post apocalittico , bravi attori , buona regia , un buon film che va avanti grazie a queste poche cose , si poteva fare di meglio , ma è godibile .
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