Partiamo da questo: Ozpetek è un bravo regista, ha realizzato delle commedie deliziose, anche con qualche contenuto, facendo sempre scelte intelligenti in tutte le fasi della realizzazione cinematografica. Ma questo “Allacciate le cinture” è però semplicemente un brutto film, veramente brutto. La trama, se così si può dire, è talmente povera che non vale tanto considerarla. Il punto più critico sono gli attori. La Smutniak nella prima parte del film persevera in una espressione imbalsamata, con alcuni abbozzi di stati emotivi mai portati a compimento. E il peggio arriva con Francesco Arca: recitazione costantemente imbarazzata (a poco servono i tagli del montaggio), con una tenuta veramente miserabile dei – purtroppo molti – primi piani, impaccio totale nei movimenti. Qualcuno dovrebbe pur dirgli che, oltre alle palestre, esistono anche le scuole di recitazione (che comunque non fanno miracoli…). Infine, vorrei dire, già i tatuaggi per un attore vanno male, perché ostacolano nell’eventualità la completezza di una caratterizzazione, ma Arca più che tatuato sembra uno che è andato a finire sotto una rotativa tipografica! Un’esperienza sbagliata, insomma, questo “Allacciate le cinture”, dove si salvano, per buona volontà, nell’ordine, Scicchitano, Scianna e Crescentini, bravi attori che riescono a nuotare nella paludosa sceneggiatura e a sopravvivere professionalmente alla banalità dei dialoghi. Bella la fotografia, netta, che ritaglia le sagome dei protagonisti e dà brillantezza alle immagini. Pregevole la musica, a tratti intensa, che si pone però a commento di una drammaticità non sempre reperibile. Una cosa del film salverei: l’eleganza narrativa del finale, dove la tragicità dell’epilogo viene sfumata con maestria, evitando di gonfiare elementi che avrebbero spinto in modo scontato verso la commozione.
Un’ultima considerazione, neanche un modestissimo consiglio al valido Ozpetek, ma che esprimerei con un esempio: se un regista è anche un provetto scalatore e praticante di ascensioni, non per questo si deve sentire obbligato ad infilare un accordato gruppo di alpini in ogni sceneggiatura… Il problema non sta nell’omofobia, ma nella ossessività con cui spesso si presentano gli orientamenti sessuali (anche etero, vedi Tinto Brass), tanto da condizionare le proprie scelte fino a rischiare l’errore (già nella composizione del casting, per esempio), o da indurre quasi forzatamente all’allestimento di una segnaletica di appartenenza, quale ideale tributo a una comunità con cui, si ritiene, si deve essere solidali.
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