Irriverente. Incosciente. Goffo. Antipatico. Cinico. Irresistibile. Passionale. Romantico. Sincero.
Può un uomo avere contemporaneamente tutte queste qualità ? Difficile, ma non nel caso di Barney Panofsky, l’eccentrico ebreo canadese, produttore di orribili soap opere televisive, protagonista della storia, anzi della sua versione della storia. Non solo. Come può un uomo tanto sregolato, semi-alcolizzato e inseparabile dal whisky, incallito fumatore di sigari Montecristo, tifoso ai limiti del fanatismo della squadra del Montreal di hockey su ghiaccio, riuscire ad affascinare e far provare allo spettatore quasi una empatia con la sua vita esagerata? La risposta non è scontata né facile, ognuno forse troverà motivazioni diverse.
Tratto dal romanzo di Mordecai Richler, diventato un caso letterario e un libro di culto per migliaia di lettori (tra i quali il sottoscritto), La versione di Barney ripercorre la vita del protagonista attraverso un flash-back lungo quarant’anni focalizzando le tre fasi fondamentali della sua vita attorno ai suoi tre matrimoni. Nel primo, in una Roma bohemien degli anni 70 dove vive in modo scapestrato con gli amici artistoidi, pensando fosse incinta di un figlio suo, sposa Clara, una pittrice depressa ed irrequieta che finirà suicida. Tornato a Montreal conosce e, senza convinzione, sposa la ricchissima ma logorroica e insopportabile seconda Signora P. E’ proprio durante l’esilarante e scoppiettante matrimonio che incontra per la prima volta la donna della sua vita, la bella e dolce Miriam. E’ un colpo di fulmine, Miriam sarà il suo grande amore e finirà col diventare la terza e ultima moglie, oltre che il punto di riferimento e la pietra angolare della sua vita. Ma la sua esistenza viene traumatizzata anche da un episodio drammatico, la morte del suo grande amico d’infanzia Boogie, affascinante scrittore di talento tossicodipendente, della cui scomparsa sarà da molti ritenuto responsabile Barney. Proprio le accuse di omicidio e di immoralità, rese pubbliche dalla biografia non autorizzata scritta dal livoroso detective O’Hearne che aveva indagato all’epoca della scomparsa di Boogie, convincono Barney a scrivere la sua versione della fatti, a raccontare la sua vita sconsiderata e insolente. Si scopre così il bellissimo rapporto di Barney con l’amato padre Izzy (il grande Dustin Hoffman, come sempre), un ex poliziotto donnaiolo e maldestro come il figlio, con cui dà vita a dialoghi spassosi e battute fulminanti. Dal matrimonio con Miriam nasceranno due figli amati e adorati quanto la madre. Ma tra le contraddizioni di Barney c’è anche l’autolesionismo, una pulsione malinconica e distruttiva che lo porterà a rovinare l’immensa felicità che la vita gli ha riservato e a rompere il rapporto di fiducia e fedeltà con Miriam.
Se la prima parte del film ha il tono e i tempi della commedia, divertente e a tratti grottesca, con la vecchiaia di Barney e la scoperta del morbo di Alzheimer l’ironia diventa amara, la tristezza e i vuoti di memoria invadono i ricordi e la confessione diventa triste e commovente. Splendido è il finale del film, quando Barney stanco ed assente guarda l’orizzonte del lago, malgrado la malattia gli abbia azzerato i ricordi, vedendo in azione l’aereo Canadair sull’acqua, ha un ultimo sussulto di memoria e, forse, ricorda finalmente la verità che ha cercato per tutta la vita, quella che avrebbe dato un senso compiuto alla sua versione.
Certamente il film non sfigura di fronte alla indiscutibile bellezza del libro (anche se, a mio avviso, ne è ben lontano). Il merito deve essere riconosciuto senza dubbio a Paul Giamatti, che dà vita a un Barney strepitoso, capace di calarsi nelle varie metamorfosi fisiche e psicologiche con grande bravura. Proprio l’attore americano, nella presentazione del film a Venezia è riuscito a ben sintetizzare il motivo del fascino del personaggio di Barney “... non c’è alcuna lezione da imparare dalla vita di Barney Panofsky. Non è un racconto moralista e di certo non pretende di insegnare a vivere, perchè quello che ti vuole fare capire è che non ci sono regole per vivere la vita. E’ piuttosto un libro che ti fa riflettere sulla gioia e sulla compassione per le nostre esistenze. Per questo motivo si prova empatia con Barney, nonostante sia un adorabile bastardo, un romantico frustrato e un ossessivo compulsivo”.
E se proprio vogliamo trovare una regola per vivere, ce la indica il creatore di Barney, Mordecai Richler: “ci vogliono settantadue muscoli per fare il broncio ma solo dodici per sorridere. E allora provaci per una volta!”.
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