pepito1948
|
venerdì 21 gennaio 2011
|
il mostro sono io
|
|
|
|
Lasciamo stare per una volta il confronto con il romanzo dell’ebreo Richler da cui il film è tratto; primo perché io non l’ho letto; secondo perché non si può chiedere ad ogni spettatore di conoscere la fonte letteraria dei film che va a vedere; terzo perché detto confronto nel 90% dei casi è a favore del libro; quarto perché la discussione se la trasposizione cinematografica sia o meno conforme alla sua fonte rischia di distogliere dall’analisi e dall’effettiva fruizione del film.
Detto questo, chi è Barney?
“Ho trovato un mostro, e quello sono io”.
B. è tutto ed il contrario di tutto, e ciò che è lo è all’eccesso.
[+]
Lasciamo stare per una volta il confronto con il romanzo dell’ebreo Richler da cui il film è tratto; primo perché io non l’ho letto; secondo perché non si può chiedere ad ogni spettatore di conoscere la fonte letteraria dei film che va a vedere; terzo perché detto confronto nel 90% dei casi è a favore del libro; quarto perché la discussione se la trasposizione cinematografica sia o meno conforme alla sua fonte rischia di distogliere dall’analisi e dall’effettiva fruizione del film.
Detto questo, chi è Barney?
“Ho trovato un mostro, e quello sono io”.
B. è tutto ed il contrario di tutto, e ciò che è lo è all’eccesso. B. è un poliedro dalle tante facce eterogenee, talune specchio altre ombre, lucide o opache, lisce o sfregiate. B. identifica il proprio vissuto nel massimo vivibile, attraversa con inconsapevole audacia il tracciato multiforme della tipologia umana, senza ordine e senza regole precostituite; anzi rifugge dalle regole, è anticonvenzionale, è scorretto. B. è irriverente quasi per trasmissione genetica da parte del padre, più di lui socialmente scorretto ed impavidamente sincero, a lui sempre vicino attraverso l’esempio, il consiglio, il sostegno nelle situazioni controcorrente, l’avallo nelle scelte difficili, la complicità nel colpire il perbenismo anche della loro stessa gente, cioè la comunità ebraica. B. è un carro armato, a volte scassato e insozzato, a volte efficiente e tirato a lucido, ma sempre con i cingoli in movimento e pronto a sparare a colpo sicuro o all’impazzata, a seconda delle diverse contingenze. B. crede nell’amicizia, vi sprofonda, vi cerca appoggio e solidarietà ogni volta che supera i confini, che si flagella con lo staffile dei suoi errori. B. potrebbe avere commesso la peggiore delle infamie, aver cioè ucciso il suo migliore amico fedifrago, ma il caso lo priva della possibilità di assistere al suo ipotetico omicidio, su cui né lui né il poliziotto che lo perseguita senza tregua né nessun altro avrà mai certezze (solo B. rivive in uno sprazzo della sua insania senile lo scenario della scomparsa dell’amico, ma l’immagine è troppo sgranata e priva di dettagli per ricostruire l’accaduto). B. apprezza le donne, disprezza le donne, le strapazza, le manda al diavolo, ne sposa tre diversissime tra loro, così come è irrimediabilmente attratto dai più seducenti strumenti di autodistruzione, quali l’alcool, la droga, l’errore fatale, il senso di colpa. Ma B. ama una donna, e, dal momento che l’ha trovata e poi sposata, non la lascerà più neanche quando lei lascerà lui, e la ama perché è perfetta quanto lui rifugge dalla perfezione, il che gli offrirà la più grande occasione (una di per sé insignificante scappatella) di distruggere se stesso e l’unica, immensa cosa che nella sua lunga peregrinazione esistenziale ha mai costruito. B. invecchia e, quasi per contrappasso, viene privato della memoria, del piacere di riprovare almeno nel ricordo quel misto di eventi e sensazioni che ne hanno fatto un uomo ricco, nel bene e nel male, di esperienze a tutto campo, di vita senza interpunzioni, senza vuoti, senza rimpianti. B. muore nella consapevolezza che la donna amata, ormai da tempo moglie di un uomo aitante e di successo, si ricongiungerà un giorno con il suo corpo al corpo di lui, nell’immobilità senza rischi e senza fallibilità della non vita.
Il regista Richard J. Lewis, che viene dalla tecno-fiction televisiva di C.S.I., ha affidato il racconto della vita di Barney non ad una voce narrante, ma alla illustrazione filmica attraverso un flash-back lungo 40 anni, come se fosse appunto la sua versione, la versione di tutta la sua vita e non solo della scomparsa dell’amico, su cui il libro, a quanto ne so, insiste molto di più. Una regia equilibrata, tutta concentrata sull’evoluzione dei personaggi e delle loro dinamiche, e lungi dall’essere piatta, accompagna con discrezione e guida sicura l’estro del protagonista, uno straordinario Paul Giamatti, grande astro emergente (sia pure ultraquarantenne) del panorama cinematografico mondiale, grandissimo nel rappresentare alla perfezione le metamorfosi anagrafiche anche fisiche oltre che mentali di Barney, aggiungendo notevoli meriti recitativi a quelli tecnici del truccatore. Da ricordare alcune scene di rara intensità come la dolorosa contemplazione da parte di Barney del padre morto, disteso su un lettino come il Cristo di Mantegna. Così come memorabili sono i “duetti” tra Giamatti /Barney e l’ebreo Dustin Hoffmann/padre, a cui è principalmente affidato lo spirito tipicamente yiddish fatto di ironia, battuta pronta e dissacrante, atteggiamento argutamente scorretto. Ma è Giamatti, con quel corpo sgraziato, goffo ed anonimo ma la versatilità ed il piglio professionale di un veterano, che troneggia dall’inizio alla fine.
Abbiamo trovato un mostro (di bravura), e quello è Paul Giamatti.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a pepito1948 »
[ - ] lascia un commento a pepito1948 »
|
|
d'accordo? |
|
writer58
|
mercoledì 16 febbraio 2011
|
la fenomenologia della bellezza
|
|
|
|
Policromo e suggestivo, evocativo nei luoghi, narrato con un ritmo rapido ma non frenetico, ben caratterizzato nei suoi personaggi principali - tra tutti spicca l'ottima prova di Paul Giamatti-, "La versione di Barney" mi è parso un film che lascia nello spettatore quell'insieme di suggestioni che definiamo con il termine sintetico "bellezza".
La storia di Barney, rivista in flash back nel momento in cui il protagonista si avvicina alla morte, è costellata di bei momenti (Roma nel 1974, ricostruita con il sapore di allora), il matrimonio ebraico (narrato con una vivacità debordante), il rapporto con la terza moglie, conosciuta durante il suo secondo matrimonio, la separazione e il declino degli ultimi anni.
[+]
Policromo e suggestivo, evocativo nei luoghi, narrato con un ritmo rapido ma non frenetico, ben caratterizzato nei suoi personaggi principali - tra tutti spicca l'ottima prova di Paul Giamatti-, "La versione di Barney" mi è parso un film che lascia nello spettatore quell'insieme di suggestioni che definiamo con il termine sintetico "bellezza".
La storia di Barney, rivista in flash back nel momento in cui il protagonista si avvicina alla morte, è costellata di bei momenti (Roma nel 1974, ricostruita con il sapore di allora), il matrimonio ebraico (narrato con una vivacità debordante), il rapporto con la terza moglie, conosciuta durante il suo secondo matrimonio, la separazione e il declino degli ultimi anni. Da un punto di vista squisitamente filmico "la versione di Barney" è una produzione che avvince, genera empatia con i personaggi e stimola l'identificazione da parte del pubblico. Il protagonista è narrato come una persona complessa, che racchiude in sé cinismo e tenerezza, rabbia e stupore, meschinità vendicative e capacità di amare.
Le polemiche sulla fedeltà al libro che ispira il film che avrebbe proposto una versione poco yiddish dell'opera di Richler mi paiono tempo perso. Un film deve essere valutato per il suo lingaggio e per la sua autonoma proposta.
In questo senso, mi pare che il film di Lewis stia in piedi tranquillamente da solo.
[-]
[+] bella recensione
(di paola d. g. 81)
[ - ] bella recensione
[+] le tue parole
(di fabi64)
[ - ] le tue parole
|
|
[+] lascia un commento a writer58 »
[ - ] lascia un commento a writer58 »
|
|
d'accordo? |
|
laulilla
|
martedì 25 gennaio 2011
|
barney e la morte dell'autore
|
|
|
|
Mi chiedo quale senso abbia la polemica presente in quasi tutte le recensioni, relativa all'inadeguatezza del film rispetto al romanzo. Il film va, secondo me, giudicato di per sé, poiché si avvale, nel narrare la stessa vicenda del romanzo, di mezzi espressivi, grammaticali e sintattici completamente diversi. Parafrasando il famoso titolo di un'opera di Roland Barthes, "La morte dell'autore", che invitava il lettore a ignorare l'autore, per soffermarsi esclusivamente sul testo, bisognerebbe sostenere "la morte del romanzo ispiratore", per soffermarsi solo su quel particolare testo che è il film, che in questo caso è l'opera da commentare.
[+]
Mi chiedo quale senso abbia la polemica presente in quasi tutte le recensioni, relativa all'inadeguatezza del film rispetto al romanzo. Il film va, secondo me, giudicato di per sé, poiché si avvale, nel narrare la stessa vicenda del romanzo, di mezzi espressivi, grammaticali e sintattici completamente diversi. Parafrasando il famoso titolo di un'opera di Roland Barthes, "La morte dell'autore", che invitava il lettore a ignorare l'autore, per soffermarsi esclusivamente sul testo, bisognerebbe sostenere "la morte del romanzo ispiratore", per soffermarsi solo su quel particolare testo che è il film, che in questo caso è l'opera da commentare. Entriamo nel merito di questo lavoro, dunque, per dare un giudizio, per quanto possibile, oggettivo. Il film ci racconta la vita di Barney Panofsky, singolare personaggio, la cui esistenza si svolge fra Roma, teatro del suo primo e subito fallito matrimonio, e New York, città in cu vive suo padre, poliziotto in pensione, grande ammiratore delle donne anche da vecchio, ma anche luogo in cui avviene la conoscenza della seconda moglie. Proprio durante il pranzo di nozze, Barney incontra, fra gli invitati, Miriam, che sarà il suo vero e unico amore per tutta la vita. Il rocambolesco inseguimento di lei lascia presagire la prossima conclusione di questa seconda vicenda matrimoniale, alla quale è legata, però anche l'oscura storia della scomparsa del suo migliore amico, in seguito alla quale Barney verrà sospettato di omicidio. Il matrimonio fra Miriam e Barney, la nascita dei figli non conclude però le avventure del protagonista, perché, il suo goffo comportamento riesce a mettere in crisi anche l'amore della donna, che decide di lasciarlo. L'ultima parte del film, che ci presenta la decadenza fisica di Barney, la sua vecchiaia triste, accompagnata dalla demenza senile e dalla perdita della memoria, ci presenta però anche il riavvicinamento di Miriam al marito, che conferma la durata, nonostante tutto, dell' amore che li aveva uniti. Ci troviamo, nel film, di fronte a un personaggio singolare, connotato da alcune caratteristiche: Barney è un maldestro pasticcione, che sembra quasi inciampare nelle cose: nonostante la migliore volontà non riesce a raggiungere le mete che gli stanno a cuore per la precipitazione irriflessiva del suo comportamento, per la stolta e incosciente immaturità che lo accompagna anche nei momenti più seri della vita; è anche uno svagato e tenero innamorato, un padre affettuoso e un marito geloso e possessivo; è inoltre molto indulgente con se stesso e portato ad autoassolversi. Tutto ciò viene detto con verità nel film, grazie a una regia attenta a non farsi travolgere dalle contraddizioni del personaggio, dalle sue mille sfaccettature poiché pare privilegiare una lineare e chiara narrazione, col risultato di darci un film coerente e gradevole, commovente nel finale, anche se non un capolavoro. Il lavoro degli attori accompagna bene l'intento del regista: Barney è un bravo Paul Giamatti, che con una espressione sempre un po' trasognata e ottusa si adatta in modo convincente a un ruolo difficile; bravissimo Dustin Hoffmann (ma è ovvio); brave anche le attrici, in modo particolare Rosamund Pike nella parte di Miriam.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a laulilla »
[ - ] lascia un commento a laulilla »
|
|
d'accordo? |
|
maria cristina nascosi sandri
|
lunedì 14 febbraio 2011
|
la versione di barney ovvero the meaning of life
|
|
|
|
La versione di Barney di R. J. Lewis
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Morirai anche tu colpevole, come tutti noi.
La frase, tratta da uno stupendo film di parecchi anni fa, Pranzo di Natale, della francese Danièle Thompson, di chiara, intelligente, arguta impronta ebraica, ben si attaglia allo spirito che pervade La versione di Barney, l’ottima pellicola di Richard J. Lewis da poco e con successo nelle sale cinematografiche.
Presentato in concorso a Venezia 67, è tratta dal libro di Mordecai Richler che par essere ancora più pregnante, ironico ed auto-ironico, in puro wiz ebraico, manco a dirlo, anglo-americano nella resa visiva.
Un meaning of the life – senso della vita e la passione con cui la si può vivere e ‘ben spendere’ pervadono il bel racconto filmico, dall’inizio alla fine.
[+]
La versione di Barney di R. J. Lewis
di Maria Cristina NASCOSI SANDRI
Morirai anche tu colpevole, come tutti noi.
La frase, tratta da uno stupendo film di parecchi anni fa, Pranzo di Natale, della francese Danièle Thompson, di chiara, intelligente, arguta impronta ebraica, ben si attaglia allo spirito che pervade La versione di Barney, l’ottima pellicola di Richard J. Lewis da poco e con successo nelle sale cinematografiche.
Presentato in concorso a Venezia 67, è tratta dal libro di Mordecai Richler che par essere ancora più pregnante, ironico ed auto-ironico, in puro wiz ebraico, manco a dirlo, anglo-americano nella resa visiva.
Un meaning of the life – senso della vita e la passione con cui la si può vivere e ‘ben spendere’ pervadono il bel racconto filmico, dall’inizio alla fine.
E lo fa proprio senza falsi perdoni, ripensamenti, ma con occhio ironicamente – è il caso di ribadirlo. a costo di un...calembour – obbiettivo.
Non c’è perdono, non c’è assoluzione, ma cronaca – non fredda, si badi – di fatti che accadono, che travolgono, che sviano, forse, a volte, ma quanto umani, quanto veri, quanto autenticamente vissuti.
Interpretato con sobrietà e grande ricchezza di corde, di stile, di ottima performance da un Paul Giamatti, mattatore dalla grande mimica, corporea e viscerale: il suo viso parla da solo, i suoi occhi esprimono (e dànno) realistica commozione, dall'iniziale gioventù alla discesa agli inferi cui lo conduce l’Alzheimer fino alla fine conclamata.
Un superlativo Dustin Hoffmann, padre non padreterno, pieno d’amore e di errori - ‘colpevole’, dunque, come il figlio – di tutta la sua vita fino alla sua ‘beata morte’.
E splendide le altre interpretazioni, prima su tutti quella di Rosamund Pike,la moglie.
Dialoghi dosatissimi, vivaci, acuti, ma, ancora una volta, non debordanti, come in ‘certo Woody Allen’, oltre alla notevole colonna sonora fatta di vecchi pezzi e di originali di Dario Marianelli, fanno de La versione di Barney un film da non perdere assolutamente e da assaporare: colpevolmente, s’intende!!.
[-]
[+] ben confezionato ma non e' barney
(di cristina66)
[ - ] ben confezionato ma non e' barney
|
|
[+] lascia un commento a maria cristina nascosi sandri »
[ - ] lascia un commento a maria cristina nascosi sandri »
|
|
d'accordo? |
|
sergio dal maso
|
lunedì 29 giugno 2015
|
la versione di barney
|
|
|
|
Irriverente. Incosciente. Goffo. Antipatico. Cinico. Irresistibile. Passionale. Romantico. Sincero.
Può un uomo avere contemporaneamente tutte queste qualità ? Difficile, ma non nel caso di Barney Panofsky, l’eccentrico ebreo canadese, produttore di orribili soap opere televisive, protagonista della storia, anzi della sua versione della storia. Non solo. Come può un uomo tanto sregolato, semi-alcolizzato e inseparabile dal whisky, incallito fumatore di sigari Montecristo, tifoso ai limiti del fanatismo della squadra del Montreal di hockey su ghiaccio, riuscire ad affascinare e far provare allo spettatore quasi una empatia con la sua vita esagerata? La risposta non è scontata né facile, ognuno forse troverà motivazioni diverse.
[+]
Irriverente. Incosciente. Goffo. Antipatico. Cinico. Irresistibile. Passionale. Romantico. Sincero.
Può un uomo avere contemporaneamente tutte queste qualità ? Difficile, ma non nel caso di Barney Panofsky, l’eccentrico ebreo canadese, produttore di orribili soap opere televisive, protagonista della storia, anzi della sua versione della storia. Non solo. Come può un uomo tanto sregolato, semi-alcolizzato e inseparabile dal whisky, incallito fumatore di sigari Montecristo, tifoso ai limiti del fanatismo della squadra del Montreal di hockey su ghiaccio, riuscire ad affascinare e far provare allo spettatore quasi una empatia con la sua vita esagerata? La risposta non è scontata né facile, ognuno forse troverà motivazioni diverse.
Tratto dal romanzo di Mordecai Richler, diventato un caso letterario e un libro di culto per migliaia di lettori (tra i quali il sottoscritto), La versione di Barney ripercorre la vita del protagonista attraverso un flash-back lungo quarant’anni focalizzando le tre fasi fondamentali della sua vita attorno ai suoi tre matrimoni. Nel primo, in una Roma bohemien degli anni 70 dove vive in modo scapestrato con gli amici artistoidi, pensando fosse incinta di un figlio suo, sposa Clara, una pittrice depressa ed irrequieta che finirà suicida. Tornato a Montreal conosce e, senza convinzione, sposa la ricchissima ma logorroica e insopportabile seconda Signora P. E’ proprio durante l’esilarante e scoppiettante matrimonio che incontra per la prima volta la donna della sua vita, la bella e dolce Miriam. E’ un colpo di fulmine, Miriam sarà il suo grande amore e finirà col diventare la terza e ultima moglie, oltre che il punto di riferimento e la pietra angolare della sua vita. Ma la sua esistenza viene traumatizzata anche da un episodio drammatico, la morte del suo grande amico d’infanzia Boogie, affascinante scrittore di talento tossicodipendente, della cui scomparsa sarà da molti ritenuto responsabile Barney. Proprio le accuse di omicidio e di immoralità, rese pubbliche dalla biografia non autorizzata scritta dal livoroso detective O’Hearne che aveva indagato all’epoca della scomparsa di Boogie, convincono Barney a scrivere la sua versione della fatti, a raccontare la sua vita sconsiderata e insolente. Si scopre così il bellissimo rapporto di Barney con l’amato padre Izzy (il grande Dustin Hoffman, come sempre), un ex poliziotto donnaiolo e maldestro come il figlio, con cui dà vita a dialoghi spassosi e battute fulminanti. Dal matrimonio con Miriam nasceranno due figli amati e adorati quanto la madre. Ma tra le contraddizioni di Barney c’è anche l’autolesionismo, una pulsione malinconica e distruttiva che lo porterà a rovinare l’immensa felicità che la vita gli ha riservato e a rompere il rapporto di fiducia e fedeltà con Miriam.
Se la prima parte del film ha il tono e i tempi della commedia, divertente e a tratti grottesca, con la vecchiaia di Barney e la scoperta del morbo di Alzheimer l’ironia diventa amara, la tristezza e i vuoti di memoria invadono i ricordi e la confessione diventa triste e commovente. Splendido è il finale del film, quando Barney stanco ed assente guarda l’orizzonte del lago, malgrado la malattia gli abbia azzerato i ricordi, vedendo in azione l’aereo Canadair sull’acqua, ha un ultimo sussulto di memoria e, forse, ricorda finalmente la verità che ha cercato per tutta la vita, quella che avrebbe dato un senso compiuto alla sua versione.
Certamente il film non sfigura di fronte alla indiscutibile bellezza del libro (anche se, a mio avviso, ne è ben lontano). Il merito deve essere riconosciuto senza dubbio a Paul Giamatti, che dà vita a un Barney strepitoso, capace di calarsi nelle varie metamorfosi fisiche e psicologiche con grande bravura. Proprio l’attore americano, nella presentazione del film a Venezia è riuscito a ben sintetizzare il motivo del fascino del personaggio di Barney “... non c’è alcuna lezione da imparare dalla vita di Barney Panofsky. Non è un racconto moralista e di certo non pretende di insegnare a vivere, perchè quello che ti vuole fare capire è che non ci sono regole per vivere la vita. E’ piuttosto un libro che ti fa riflettere sulla gioia e sulla compassione per le nostre esistenze. Per questo motivo si prova empatia con Barney, nonostante sia un adorabile bastardo, un romantico frustrato e un ossessivo compulsivo”.
E se proprio vogliamo trovare una regola per vivere, ce la indica il creatore di Barney, Mordecai Richler: “ci vogliono settantadue muscoli per fare il broncio ma solo dodici per sorridere. E allora provaci per una volta!”.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a sergio dal maso »
[ - ] lascia un commento a sergio dal maso »
|
|
d'accordo? |
|
lucadagostino85
|
martedì 25 gennaio 2011
|
la versione di barney
|
|
|
|
Premetto di non aver letto il romanzo, e dunque il mio punto di vista sulla pellicola è strettamente inerente al film in sé, in quanto opera esclusivamente cinematografica. Certo da quanto osservato sullo schermo deve essersi trattato di una difficile trasposizione, visto lo straordinario quantitativo di materiale davanti al quale ci pone la cinepresa di Richard J. Lewis. Detto ciò, questo è un film di indubbio valore, capace di toccare un ampio raggio di campi emotivi.
La storia raccontata in flashback ci mostra l'intero arco di vita del protagonista, Barney Panofsky. Un personaggio a tutto tondo, amante dell'alcool, delle belle donne e dell'hockey, interpretato magistralmente da un Paul Giamatti innegabilmente al suo meglio.
[+]
Premetto di non aver letto il romanzo, e dunque il mio punto di vista sulla pellicola è strettamente inerente al film in sé, in quanto opera esclusivamente cinematografica. Certo da quanto osservato sullo schermo deve essersi trattato di una difficile trasposizione, visto lo straordinario quantitativo di materiale davanti al quale ci pone la cinepresa di Richard J. Lewis. Detto ciò, questo è un film di indubbio valore, capace di toccare un ampio raggio di campi emotivi.
La storia raccontata in flashback ci mostra l'intero arco di vita del protagonista, Barney Panofsky. Un personaggio a tutto tondo, amante dell'alcool, delle belle donne e dell'hockey, interpretato magistralmente da un Paul Giamatti innegabilmente al suo meglio. La pellicola parte con un tono leggero nel riportare alla luce i trent'anni di Barney, ma prende quasi subito direzioni differenti, che si tingono ora di tragedia, ora di commedia, ora di sentimentalismi mai gratuiti. Nonostante le varie sottotrame, però, risulta evidente che ciò che preme maggiormente al regista è raccontare e descrivere al meglio la testardaggine con la quale Barney ha inseguito, amato, perso e tentato di recuperare l'unico vero grande amore della sua vita, Miriam, conosciuta nientemeno che al suo secondo matrimonio.
Così ci troviamo all'improvviso di fronte ad una vera storia d'amore, protratta negli anni, intensa quanto intensi sono i suoi amanti, e allora il film rallenta leggermente. Ciò, comunque, non è assolutamente un male, perché le vicende raccontate sono realmente interessanti, coinvolgenti e piene di vita. Si distaccano fortemente dalla banalità che avrebbe potuto incombere in una storia del genere, ed è proprio questa "originalità a priori" a sorreggere continuamente la pellicola e a renderla, sotto tutti gli aspetti, un ottimo prodotto. L'utilizzo del termine "prodotto", poi, in genere rimanda il pensiero a opere commerciali, in cui la storia, spesso, passa in secondo piano, per far spazio a battute o situazioni in grado di "piacere" letteralmente al pubblico. Bene, qui è esattamente il contrario. Il film si prende i suoi tempi; vive dei suoi ritmi senza concedere nulla tanto per farlo; si porta addosso tutta la drammaticità di chiara matrice letteraria e non se ne libera per lasciar spazio a facili risate che, comunque, non mancano. In questo modo, riesce ad emozionare senza annoiare o sembrare mai scontato. Ci fa sorridere, ridere e piangere, coinvolgendoci in pieno nella vita di un protagonista capace di tenere davvero la scena da solo, e di lasciare un ricordo di sé ben nitido nello spettatore, anche a distanza di tempo dopo la visione.
Non bastasse, c'è Dustin Hoffman, che nei panni dello strampalato padre di Barney è semplicemente immenso. A lui è sufficiente strizzare gli occhi per farci ridere o commuovere alla stessa maniera, come se niente fosse, da un momento all'altro. E per ricordarci cosa significhi essere un grande attore.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a lucadagostino85 »
[ - ] lascia un commento a lucadagostino85 »
|
|
d'accordo? |
|
giacomogabrielli
|
sabato 22 gennaio 2011
|
giamatti da oscar! ****
|
|
|
|
Un Paul Giamatti da urlo (oltre che da Oscar) per un film che può all'apparenza essere comune, ma che invece spicca di originalità e bellezza. Era ora che qualcuno si rendesse conto che il fantastico attore americano sa sorreggere un film tutto da solo! La vita del produttore televisivo ebreo Barney Panofsky, tra matrimoni falliti e tristi vicende passate, vista da un punto intelligente che rende il film avvincente e per nulla scontato, che caratterizza molto bene i personaggi sin dai primi minuti. Impeccabile l'interpretazione di Giamatti. Ottima la fotografia. Co-prodotto da Domenico Procacci. GIAMATTI DA OSCAR! ****
|
|
[+] lascia un commento a giacomogabrielli »
[ - ] lascia un commento a giacomogabrielli »
|
|
d'accordo? |
|
c.v.b.
|
domenica 16 gennaio 2011
|
difficile dopo aver letto il romanzo...
|
|
|
|
Difficile,come sempre,ridurre la complessa materia di un romanzo in un film.E non sempre operazione lecita,neanche per invogliare alla lettura.Le persone che erano con me al cinema e non hanno letto il libro hanno capito poco di questo strano personaggio che è Barney,hanno solo visto magari l'ubriacone irriverente,non l'uomo buono,simpatico,capace di amare,generoso con gli altri che lui è.Non hanno colto il vitalismo che c'è dietro quel suo comportamento che sembra autodistruttivo,né la sua malinconia.
Cito dal libro una frase,é ciò che Barney pensa dopo aver tradito Miriam per la prima volta dopo 31 anni,consapevole della solitudine he lo aspetta: "Da anni,godendomi lo sfarzo della mia immeritata felicità con Miriam
[+]
Difficile,come sempre,ridurre la complessa materia di un romanzo in un film.E non sempre operazione lecita,neanche per invogliare alla lettura.Le persone che erano con me al cinema e non hanno letto il libro hanno capito poco di questo strano personaggio che è Barney,hanno solo visto magari l'ubriacone irriverente,non l'uomo buono,simpatico,capace di amare,generoso con gli altri che lui è.Non hanno colto il vitalismo che c'è dietro quel suo comportamento che sembra autodistruttivo,né la sua malinconia.
Cito dal libro una frase,é ciò che Barney pensa dopo aver tradito Miriam per la prima volta dopo 31 anni,consapevole della solitudine he lo aspetta: "Da anni,godendomi lo sfarzo della mia immeritata felicità con Miriam e i bambini,vivevo nel terrore della rappresaglia divina:"
[-]
[+] concordo pienamente con la tua valutazione.
(di donpedrito)
[ - ] concordo pienamente con la tua valutazione.
[+] concordo con la tua recensione
(di henrietta77)
[ - ] concordo con la tua recensione
|
|
[+] lascia un commento a c.v.b. »
[ - ] lascia un commento a c.v.b. »
|
|
d'accordo? |
|
cararosa
|
sabato 22 gennaio 2011
|
bello e commovente****
|
|
|
|
Film molto intenso contro ogni aspettativa..Ha la capacità di coinvolgerti dall'inizio sino alla fine con un finale
imprevedibile..ma che è il senso di tutto il film: far di tutto per costrurci la vita che vogliamo..ma non sempre quello che vogliamo è nostro per sempre.Perdiamo via via le persone care..tutto ci sfugge, anche la memoria, la lucidità,ma
anche la vita...Film che racconta la storia di una vita quasi normale in modo straordinario.
|
|
[+] lascia un commento a cararosa »
[ - ] lascia un commento a cararosa »
|
|
d'accordo? |
|
giuliog02
|
venerdì 21 gennaio 2011
|
forza vitale e dissacrazione delle buon maniere
|
|
|
|
Una vicenda umana, molto umana, intrigante, raccontata con brio, talvolta con carattere picaresco. Finale amarissimo.
Un film ben recitato da tutti i protagonisti di una vicenda in cui si libera la forza vitale e l'estro dei personaggi, al di fuori degli schemi della buona educazione. A parte Miriam, impersonata dalla splendida Rosamund Pike.
La narrazione si regge in primis sull'eccezionale Paul Giamatti ( assolutamente degno di candidatura a un Oscar) e la complementarietà di Dustin Hoffman nella parte del padre, ex-poliziotto, che ben sa rendere lo spirito yddish. Bellissima e accattivante la terza moglie, Miriam. Ottima anche la recitazione di Minnie Driver nella parte della seconda moglie, la ricca e acculturata ereditiera ebraica, dai tratti ninfomani.
[+]
Una vicenda umana, molto umana, intrigante, raccontata con brio, talvolta con carattere picaresco. Finale amarissimo.
Un film ben recitato da tutti i protagonisti di una vicenda in cui si libera la forza vitale e l'estro dei personaggi, al di fuori degli schemi della buona educazione. A parte Miriam, impersonata dalla splendida Rosamund Pike.
La narrazione si regge in primis sull'eccezionale Paul Giamatti ( assolutamente degno di candidatura a un Oscar) e la complementarietà di Dustin Hoffman nella parte del padre, ex-poliziotto, che ben sa rendere lo spirito yddish. Bellissima e accattivante la terza moglie, Miriam. Ottima anche la recitazione di Minnie Driver nella parte della seconda moglie, la ricca e acculturata ereditiera ebraica, dai tratti ninfomani. La professionalità hollywoodiana si dispiega appieno nella sceneggiatura e nella costruzione del film. La vita sociale ebraica ed il suo spirito sono ben resi, in particolare nelle gustose scene del coreografico pranzo nuziale. Un film da vedere, per spendere due ore, appassionandosi, ridendo e/o sorridendo e con più di un groppo alla gola alla fine.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a giuliog02 »
[ - ] lascia un commento a giuliog02 »
|
|
d'accordo? |
|
|