“Bisognerebbe provare a essere felici, non fosse altro che per dare l’esempio”. (J. Prevert)
Tredici variazioni su un tema: il raggiungimento del benessere del nostro animo. In una New York scialba e scolorita, Jill Sprecher compone un mosaico di storie/fotogrammi perfettamente incastrati che dovrebbero aiutarci a comprendere come raggiungere la felicità. La fonte d’ispirazione è sempre l’uomo, con le sue angosce e le sue speranze impegnato in un cammino alla ricerca di se stesso e della propria identità. Storie ordinarie, casuali che possiamo osservare continuamente intorno a noi: un avvocato in carriera tormentato dai sensi di colpa, un professore di fisica stanco della routine familiare, una moglie alle prese con l’infedeltà del marito, un uomo d’affari invidioso del collega ottimista, una donna delle pulizie convinta che un miracolo possa cambiare la sua vita. La regista scava delicatamente nelle vite “normali” dei personaggi con ironia e commozione portando alla luce una realtà metropolitana permeata da un forte senso di solitudine, di disagio e di alienazione.
L’impianto frammentario del racconto permette all’uditorio di analizzare il “Tema” mediante una moltiplicazione di punti vista, attraverso diversi tipi umani constatando che c’è un forte bisogno di comunicazione, un’incapacità di uscire dal proprio malessere e di aprirsi al contatto con gli altri.
Le vite dei protagonisti delle varie storie si incrociano grazie ai dialoghi e ai confronti: è un’esperienza che fa parte della vita, spesso passiamo inavvertitamente accanto a qualcuno senza fermarci quando se l’avessimo fatto avremmo forse cambiato il corso della nostra esistenza.
La matassa si dipana grazie a un’alchimia, a un dosaggio attento di minimi particolari; le storie sono costruite su dettagli perché anche gli episodi più insignificanti possono influenzare le nostre esistenze.
I silenzi sono spesso lunghi e gli sguardi dei personaggi statici e inorganici come se la loro vita fosse sospesa e decontestualizzata, forse nelle mani di un destino beffardo che non sa decidersi.
La felicità è uno stato mentale, oppure è diretta dalla sorte che “sorride ad alcuni e ride di altri”?
Il tessuto narrativo è costruito in modo da di-mostrare che per ognuno di noi esiste l’opportunità di aprirci verso l’altro, di superare i nostri rancori e le nostre debolezze con un finale ottimista che concede una chance ai nostri eroi dandogli la possibilità di incontrarsi.
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